In
queste ultime settimane, in molte parrocchie sono state celebratele le prime Comunioni
dei bambini. Un parroco mi ha parlato delle sue perplessità sulla previa
confessione sacramentale richiesta a questi bambini. Il tema l’ho trattato nel
mio volume “L’iniziazione cristiana. Battesimo e confermazione”, pubblicato
dalla LAS nel 2010 [ristampa 2014] (pp. 328-331). Riproduco in seguito qui sotto il testo. In
questo contesto, invito anche a leggere l’interessante e recentissimo post di
Andrea Grillo sull’argomento nel suo blog “Come se non”: http://www.cittadellaeditrice.com/munera/il-dispositivo-ratzinger-una-delle-radici-dellattuale-paralisi-ecclesiale/.
Per coloro che sono stati
battezzati da bambini, la prassi pastorale, fedele alla normativa della Chiesa
latina, colloca la “prima confessione” – cioè la prima celebrazione del
sacramento della penitenza o riconciliazione – in un tempo anteriore rispetto
alla prima ricezione del sacramento dell’eucaristia. Cosa pensare di questa
consuetudine che dura ormai da diversi secoli?
Fino al VI secolo la Chiesa
antica sviluppò la prassi penitenziale indicata in Mt 18,18 e 1Cor 5, la
quale sostanzialmente prevede che colui che ha peccato gravemente viene escluso
pubblicamente dalla comunione eucaristica e, dopo un certo periodo di
purificazione caratterizzato da duri esercizi penitenziali, viene di nuovo
solennemente riammesso. Nei secoli successivi, il sacramento della
riconciliazione assumerà diverse forme fino all’attuale, mantenendo, comunque,
sempre la verità sostanziale, che è quella di essere il sacramento del perdono
di Dio per i cristiani. Viene allora spontanea la domanda: quando si diventa
cristiani, membri della Chiesa? Una prima risposta elementare è che si diventa
cristiani con il battesimo. Notiamo però che, come abbiamo visto nella parte
storica, nelle antiche fonti bibliche e patristiche, quando si parla di
“battesimo (nello Spirito)”, in realtà si fa ricorso ad un termine
‘onnicomprensivo’: il battesimo è solo l’inizio del cammino sacramentale che
introduce nel mistero di Cristo e della Chiesa, così che esso non va visto in
sé e per sé ma come premessa per quella piena inserzione, che, passando
attraverso la confermazione, si raggiunge nella partecipazione all’eucaristia.
Paolo, nella medesima lettera in cui scrive che “siamo battezzati in un solo
Spirito per formare un solo corpo” (1Cor
12,13), afferma che diventiamo Chiesa non semplicemente per il battesimo ma
anche per l’eucaristia: “poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo
un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane” (1Cor 10,17).
Come abbiamo detto sopra,
esiste una sorta di intrinseca finalizzazione del battesimo e della
confermazione all’eucaristia, la quale è da considerarsi il sacramento vertice,
simbolicamente più ricco e oggettivamente più realizzante la comunità storica
di salvezza. La finalità dell’iniziazione cristiana – introdurre il credente
nella Chiesa – è propriamente raggiunta quando il credente partecipa all’eucaristia,
il sacramento che fa la Chiesa. Non si è ancora ‘iniziati’, cioè non si è
ancora pienamente cristiani, finché non ci siano ricevuti tutti e tre i
sacramenti dell’iniziazione.
Se la penitenza è il
sacramento del perdono di Dio per chi è già cristiano e, d’altra parte, si
diventa cristiani attraverso la ricezione dei tre sacramenti dell’iniziazione,
allora la logica intrinseca vuole che la penitenza sia, e non possa che essere,
il quarto sacramento, cioè il sacramento del perdono offerto solo a chi
(bambino o adulto), con l’ammissione all’eucaristia, ha già compiuto il
percorso dell’iniziazione cristiana. Il sacramento della riconciliazione, pur
essendo ritenuto dalla tradizione un secondo battesimo, riguarda il cristiano
peccatore che ha ricevuto già i tre sacramenti dell’iniziazione.
Stando così le cose, non si
può non condividere le perplessità e il senso di contraddizione percepiti da
alcuni Autori di fronte alla prassi oggi generalizzata che distanzia i tre
sacramenti dell’iniziazione cristiana e vi inserisce la confessione
sacramentale. Se la natura del sacramento della riconciliazione si definisce
fondamentalmente in termini di ‘riammissione all’eucaristia’, non è facilmente
comprensibile che la sua celebrazione venga posta nel cammino antecedente
all’eucaristia e, quindi, prima della piena appartenenza alla comunità
ecclesiale.
Con l’obbligo di confessarsi e
comunicarsi a partire dall’età della discrezione, stabilito, come noto, dal
concilio Lateranense IV (1215), per un verso è sancito il distacco
dell’eucaristia dal battesimo, ricevuto nei primi giorni di vita, per un altro,
più o meno consapevolmente, si ratifica e si introduce la prassi secondo la
quale, per accostarsi degnamente all’eucaristia (anche per la prima volta),
bisogna ricevere il perdono sacramentale delle proprie colpe; in tal modo la
confessione individuale dal XIII secolo in poi viene sempre più severamente
richiesta come condizione per ammettere alla prima comunione. Anche il concilio
di Trento, nel Decreto sul santissimo sacramento
dell’eucaristia, del 11 ottobre 1551, si colloca nella linea dell’anticipo
della confessione rispetto alla comunione eucaristica, aggiungendo che questa è
una consuetudine della Chiesa: “La consuetudine della Chiesa dichiara che
quell’esame è necessario perché nessuno, consapevole di essere in peccato
mortale, per quanto possa ritenersi contrito, si accosti alla santa eucaristia
senza aver premesso la confessione sacramentale. Il santo sinodo stabilisce che
questa norma debba essere sempre osservata da tutti i cristiani”[1].
A prima vista il testo del
concilio di Trento sembrerebbe fare un’affermazione generale che vale per
tutti, bambini o adulti, già ammessi alla prima eucaristia o non ancora
ammessi. E’ lecito però ritenere che il problema di cui ci stiamo occupando qui
sia assente dalle intenzioni di Trento, dato che la disarticolazione dei
sacramenti dell’iniziazione era da tempo un fatto consumato: al concilio non
sta a cuore dare delle indicazioni per chi viene ammesso per la prima volta
all’eucaristia, ma intende semplicemente obbligare alla previa riconciliazione
sacramentale chi già si accosta all’eucaristia e ha coscienza di essere in
peccato mortale, sostenendo che per lui, nel caso della presenza del sacerdote
e quindi della possibilità concreta di accedere al sacramento del perdono, la
semplice fede (della dottrina luterana) e la contrizione non sono sufficienti
per accedere degnamente all’eucaristia.
In ogni modo, notiamo che
l’attuale normativa ecclesiale è chiara. Dopo la celebrazione del concilio
Vaticano II, nel 1973, la Dichiarazione
congiunta tra la Congregazione del clero e la Congregazione per la disciplina
dei sacramenti, dichiarazione approvata da Paolo VI, riprende una disposizione
dell’Allegato al Direttorio catechistico generale del 1971 che recita: “… la Santa
Sede ritiene opportuno che la consuetudine vigente nella Chiesa di premettere
la confessione alla prima comunione, si debba conservare”, e si dichiara che è
necessario porre termine ad ogni esperimento contrario fino a quel momento
tollerato[2]. La stessa normativa
troviamo nell’attuale CIC, al can. 914: “E’ dovere innanzi tutto dei genitori e
di coloro che ne fanno le veci, oltre che del parroco, curare che i fanciulli,
pervenuti all’uso di ragione, siano debitamente preparati e che al più presto, premessa
la confessione sacramentale, siano nutriti con questo cibo divino…”
Il riferimento primo resta
sempre, come precisa bene la Declaratio,
la prescrizione del concilio Lateranense IV, segnalata sopra. Anche il CCC, al
n. 1457, afferma che “i fanciulli devono accostarsi al sacramento della
penitenza prima di ricevere per la prima volta la santa comunione”. Eppure il
problema non sembra che sia stato risolto in modo soddisfacente per tutti
nell’attuale momento ecclesiale di riscoperta e rivalutazione dei sacramenti
dell’iniziazione come processo sacramentale unitario. Trattandosi di una prassi
frutto di una scelta legislativa, sembra che ci sia sempre spazio per ulteriori
approfondimenti dottrinali e, se è il caso, per introdurre opportuni
correttivi. Un acuto teologo afferma:
“inserire la penitenza non
solo stabilmente, ma addirittura originariamente nel passaggio
tra battesimo ed eucaristia significa compromettere precisamente questo
passaggio, e tende non soltanto a rendere ordinario ciò che è straordinario
–cioè il caso della necessità della penitenza per ricongiungere battesimo ed
eucaristia (e questo sarebbe il meno), ma soprattutto, e con molto maggior
disagio, a rendere straordinario ciò che è ordinario – ossia il
“normale” passaggio dal battesimo all’eucaristia”[3].
Concludendo notiamo che
proporre eventualmente – come fanno oggi alcuni Autori – la posticipazione
della confessione rispetto alla prima comunione non significherebbe negare la
necessità di un cammino penitenziale di conversione che porti alla
riconciliazione con Dio chi sta facendo il cammino d’iniziazione cristiana;
significherebbe piuttosto affermare che in questo caso, tale riconciliazione
può essere ottenuta in una forma diversa rispetto a quella di coloro che sono
già pienamente cristiani. Per quanto riguarda i bambini, occorrerà che essi
prima di avvicinarsi all’eucaristia per la prima volta, siano iniziati alle
forme ‘quotidiane’ di vivere la penitenza (perdono vicendevole, preghiera,
carità, accettazione della correzione, piccoli sacrifici per gli altri,
solidarietà...) alle quale si possono aggiungere adeguate celebrazioni
penitenziali non propriamente sacramentali.
[2]
AAS 65 (1973) 410; EV 4, p. 398.
[3] A. Grillo, Battesimo, esperienza e fede.
Riflessione sull’insegnamento della “iniziazione cristiana” in alcuni sviluppi
della teologia attuale, in M. Aliotta
(ed.), Il sacramento della fede. Riflessione teologica sul battesimo in
Italia = ATI Library 6, San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, p.192.