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lunedì 31 ottobre 2016

TUTTI I SANTI – 1 Novembre


 
 

Ap 7,2-4.9-14: Vidi una grande moltitudine immensa che nessuno poteva contare

Sal 23 (24): Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Signore

1Gv 3,1-3: Ciò che saremo non è stato ancora rivelato

Mt 5,1-12a: Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli

           

I cristiani possiamo riprendere le parole del salmo 23 perché pure noi siamo in cammino, pellegrini verso il luogo santo, verso la dimora del Signore, verso “la città del cielo, la santa Gerusalemme che è nostra madre” (prefazio). Ricuperando e attualizzando il messaggio del salmo, la Chiesa ribadisce che saranno ammessi all’assemblea festosa della gloria e vedranno Dio “i puri di cuore”. 

 

La prima lettura, tratta dall’Apocalisse, propone due visioni di san Giovanni: nella prima, contempliamo la schiera dei santi che si trovano ancora nel tempo del loro pellegrinaggio terrestre; nella seconda, vediamo la moltitudine di quelli che già godono della gloria eterna. Il numero degli eletti è simbolico, ad indicare la pienezza: 144.000, il quadrato di dodici moltiplicato per mille. Esso ha inoltre il carattere dell’universalità; infatti gli eletti o “segnati con il sigillo” provengono da “ogni nazione, tribù, popolo e lingua”. Nel brano del vangelo viene proclamata una pagina centrale del messaggio di Gesù, il programma di vita che egli propone a coloro che intendono seguirlo: le Beatitudini. E’ un programma impegnativo; un progetto costruito non secondo i valori del mondo e le possibilità di successo ad essi collegate ma secondo i valori di Dio e i doni che da lui ci vengono offerti gratuitamente. La santità è, come in Cristo, donazione totale dell’essere nella “povertà”, cioè nell’apertura dell’essere intero a Dio, al suo regno e al prossimo.

 

La santità non è impresa per pochi eroi: tutti “siamo chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità” (Lumen Gentium, n. 40). Il traguardo della santità è per tutti  perché, come dice san Giovanni nella seconda lettura, tutti siamo stati oggetto dell’amore di Dio. Infatti la santità è anzitutto il dono di Dio che ci ama e ci si dona nel suo proprio Figlio. Il progetto del Padre è che noi siamo simili all’immagine del Figlio suo Gesù Cristo. In ciascuno di noi è quindi presente il germe della santità; compito nostro è svilupparlo in pienezza per la vita eterna. Al traguardo della santità ci si arriva attraverso un impegno costante, come ricorda san Giovanni: “Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli - cioè Gesù - è puro”. In modo simile, san Paolo afferma: “purifichiamoci da ogni macchia della carne e dello spirito, portando a compimento la nostra santificazione, nel timore di Dio” (Secondi vespri, lettura breve: 2Cor 7,1).

 

L’eucaristia è la sorgente di ogni santità e il nutrimento spirituale “che ci sostiene nel pellegrinaggio terreno” verso il traguardo (orazione dopo la comunione).

domenica 30 ottobre 2016

IL PAESAGGIO RELIGIOSO NELLA SVEZIA VISITATA DA PAPA FRANCESCO

Cattedrale di Stoccolma
 

Di solito, durante un fine settimana, solo circa il 5,5% degli svedesi partecipa a una forma di culto, cristiano o altro. La situazione religiosa in Svezia oggi viene descritta da molti come secolare post-cristiana. Si tratta di una societàa fortememente individualista. Questo individualismo ha conseguenze anche a livello religioso. Chi cerca Dio, preferisce farlo nella solitudine della natura piuttosto che insieme ad altri in una liturgia. Una specie di misticismo della natura – spesso con accenti emotivi malincolici e sentimentali – viene considerata da molti come la  forma più autentica di religione. Perciò non meraviglia che la religione venga vista soprattutto come una questione privata.

 

Accanto alla visione svedese – tradizionalmente individualista – della religione, si è aggiunto, negli ultimi anni un altro fenomeno: un pluralismo religioso notevolmente accresciuto. Il cittadino svedese non associa più la religione soltanto alla forma luterana di cristianesimo, ma può collegarla anche al culto nella moschea che ormai si trova nel suo stesso quartiere.

 

In Svezia c’è un’unica diocesi cattolica, con sede a Stoccolma. Essa è guidata dal vescovo Anders Arborelius, nato in Svizzera da genitori svedesi luterani. Il numero di cattolici registrati nella diocesi è di circa 115.000. Ad essi si devono aggiungere forse altrettanti cattolicii battezzati che non compaiono nei registri della Chiesa, ma che vivono nel Paese. In Svezia generalmente ogni domenica partecipano alla Messa circa 30.000 persone. Ancora cinquant’anni fa in Svezia c’era un diffuso scetticismo verso tutto ciò che fosse cattolico. Attualmente la Chiesa cattolica viene vista con favore. Studi di filosofi e teologi cattolici vengono fatti conoscere e apprezzare anche attraverso la rivista dei gesuiti Signum e la loro università filosofico-teologica Newmaninstitutet a Upsala (l’unica istituzione cattolica per studi superiori nei Paesi nordici).

 

(Dati tratti da Ulf Jonsson s.i., Verso la visita del Papa: il paesaggio religioso in Svezia, in “La Civiltà Cattolica” n. 3991, 8 ottobre 2016, 3-14).

venerdì 28 ottobre 2016

XXXI DOMENCIA DEL TEMPO ORDINARIO (C) - 30 OTTOBRE 2016


 

Sap 11,22-12,2: Signore, tu ami tutte le cose che esistono

Sal 144 (145): Benedirò il tuo nome per sempre, Signore

2Ts 1,11-2,2: Dio vi renda degni della sua chiamata

Lc 19,1-10: Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua

 

Con parole di sant’Ireneo, possiamo fare una  particolare lettura del salmo responsoriale: grandezza, maestà, gloria e splendore rifulgono nelle opere di Dio; ma è sempre l’uomo la manifestazione più alta dell’opera di Dio: “la gloria di Dio è l’uomo vivente”.

 

L’assioma “la gloria di Dio è l’uomo vivente” è atto ad esprimere la “giusta” relazione tra Dio e l’uomo. Come ciò si realizza lo illustrano le letture bibliche di questa domenica. La prima lettura ci ricorda che siamo piccola cosa davanti a Dio, ma siamo pur sempre oggetto del suo amore, per questo siamo preziosi: Dio ama tutte le cose esistenti e nulla disprezza di quanto ha creato. Inoltre c’è in noi una particella, un riflesso dello “spirito incorruttibile” di Dio, quindi siamo gloria di Dio e sua manifestazione. Il racconto evangelico parla di Zaccheo, piccolo di statura e pubblicano, anzi capo dei pubblicani, e quindi un dannato agli occhi dei zelanti farisei. Per Gesù Zaccheo è invece anzitutto un figlio di Abramo da ricuperare, perché è chiamato anche lui all’eredità promessa da Dio (cf Ef 3,6). Dio cerca l’uomo, in particolare il peccatore, nella sua stessa casa per offrirgli la sua amicizia. La seconda lettura afferma che Dio si avvicina all’uomo, ma vuole che anche l’uomo faccia la sua parte, come d’altronde ha fatto pure Zaccheo riparando le ingiustizie commesse, anzi andando molto più in là di quanto la legge prescriveva o anche solo consigliava: l’autore della seconda lettera ai Tessalonicesi dopo aver affermato che Dio con la sua potenza è all’opera nella nostra vita, ci invita ad assumerla dando ad essa un significato in funzione dell’attesa del regno di Dio. Così anche l’orazione colletta chiede al Signore che “camminiamo senza ostacoli” verso i beni da lui promessi.

 

La parola di Dio che viene proclamata oggi ci invita a contemplare ed onorare la dignità della persona umana, la nostra dignità di creature di Dio. Tutto ciò che offende la dignità dell’uomo, offende anche Dio, creatore e redentore dell’uomo. La dignità dell’uomo esige che egli agisca secondo scelte consapevoli e coerenti con la sua vocazione. Siamo gloria di Dio, se ci apriamo alla sua onnipotente misericordia. Infatti, solo Dio può darci il dono di servirlo “in modo lodevole e degno” (colletta). Secondo san Giovanni la gloria nascosta di Dio è apparsa nel Cristo fra gli uomini (cf. Gv 1,14; 11,4.40). Perciò Dio è veramente glorificato in noi  nella misura in cui portiamo a compimento nel vissuto quotidiano la chiamata ad essere lode vivente del Padre, a immagine di Cristo, capolavoro di tutto il creato. Ogni uomo è chiamato a realizzare questa sublime vocazione. Ad imitazione del Signore, dobbiamo onorare questa eccelsa dignità in noi e negli altri.

martedì 25 ottobre 2016

ISTRUZIONE DELLA CONGREGAZIONE DELLA FEDE SULLA CREMAZIONE




Il Vaticano: le ceneri dei defunti non possono diventare gioielli

La Congregazione per la Dottrina della Fede ribadisce che la cremazione non è vietata, ma i resti non vanno dispersi né conservati in ricordi commemorativi o altri oggetti

 

Vaticano: non è permessa la dispersione delle ceneri dei defunti

 
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25/10/2016

iacopo scaramuzzi

Città del Vaticano

Il Vaticano chiarisce che non è permessa la dispersione delle ceneri dei defunti «nell’aria, in terra o in acqua o in altro modo» né la loro conversione «in ricordi commemorativi, in pezzi di gioielleria o in altri oggetti», in un documento con il quale la Congregazione per la Dottrina della Fede ribadisce «le ragioni dottrinali e pastorali per la preferenza della sepoltura dei corpi» ma ricorda, come la Chiesa cattolica sostiene già dagli anni Sessanta, che la cremazione del cadavere «non è vietata» poiché «non tocca l’anima e non impedisce all’onnipotenza divina di risuscitare il corpo».  

 

L’istruzione «Ad resurgendum cum Cristo», per risuscitare con Cristo, pubblicata oggi, è stata firmato lo scorso 15 agosto, solennità dell’Assunzione della Madonna in Cielo, dal cardinale prefetto dell’ex Santo Uffizio, il tedesco Gerhard Ludwig Mueller, e dal segretario, il gesuita spagnolo Luis Ladaria, ed è stata approvata dal Papa il 18 marzo scorso. È la prima istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede durante il pontificato di Francesco.  

 

Il documento ricorda che sin dal 1963, con l’istruzione «Piam et constantem», l’allora Santo Uffizio stabilì che la cremazione non è «di per sé contraria alla religione cristiana», indicazione poi ripresa nel 1983 tanto dal Codice di Diritto canonico che dal Catechismo della Chiesa cattolica (la cremazione dei corpi è permessa «se attuata senza mettere in questione la fede nella risurrezione dei corpi»).  

 

«Nel frattempo la prassi della cremazione si è notevolmente diffusa in non poche Nazioni, ma nel contempo si sono diffuse anche nuove idee in contrasto con la fede della Chiesa», spiega la Congregazione per la Dottrina della Fede, che ha pertanto «ritenuto opportuno la pubblicazione di una nuova Istruzione, allo scopo di ribadire le ragioni dottrinali e pastorali per la preferenza della sepoltura dei corpi e di emanare norme per quanto riguarda la conservazione delle ceneri nel caso della cremazione».  

 

Seguendo «l’antichissima tradizione cristiana», l’istruzione «raccomanda insistentemente che i corpi dei defunti vengano seppelliti nel cimitero o in altro luogo sacro. Nel ricordo della morte, sepoltura e risurrezione del Signore, mistero alla luce del quale si manifesta il senso cristiano della morte, l’inumazione è innanzitutto la forma più idonea per esprimere la fede e la speranza nella risurrezione corporale».  

 

Tuttavia, «laddove ragioni di tipo igienico, economico o sociale portino a scegliere la cremazione, scelta che non deve essere contraria alla volontà esplicita o – sottolinea l’Istruzione vaticana – ragionevolmente presunta del fedele defunto, la Chiesa non scorge ragioni dottrinali per impedire tale prassi, poiché la cremazione del cadavere non tocca l’anima e non impedisce all’onnipotenza divina di risuscitare il corpo e quindi non contiene l’oggettiva negazione della dottrina cristiana sull’immortalità dell’anima e la risurrezione dei corpi. La Chiesa continua a preferire la sepoltura dei corpi poiché con essa si mostra una maggiore stima verso i defunti; tuttavia – prosegue il provvedimento dottrinale – la cremazione non è vietata, “a meno che questa non sia stata scelta per ragioni contrarie alla dottrina cristiana”».  

 

In tal caso, «le ceneri del defunto devono essere conservate di regola in un luogo sacro, cioè nel cimitero o, se è il caso, in una chiesa o in un’area appositamente dedicata a tale scopo dalla competente autorità ecclesiastica» e, solo «in caso di circostanze gravi ed eccezionali, dipendenti da condizioni culturali di carattere locale, l’Ordinario, in accordo con la Conferenza Episcopale o il Sinodo dei Vescovi delle Chiese Orientali, può concedere il permesso per la conservazione delle ceneri nell’abitazione domestica».  

 

Ma «per evitare ogni tipo di equivoco panteista, naturalista o nichilista, non sia permessa la dispersione delle ceneri nell’aria, in terra o in acqua o in altro modo oppure la conversione delle ceneri cremate in ricordi commemorativi, in pezzi di gioielleria o in altri oggetti, tenendo presente che per tali modi di procedere non possono essere addotte le ragioni igieniche, sociali o economiche che possono motivare la scelta della cremazione. Nel caso che il defunto avesse notoriamente disposto la cremazione e la dispersione in natura delle proprie ceneri per ragioni contrarie alla fede cristiana – conclude l’Istruzione – si devono negare le esequie, a norma del diritto». 

 

Sulla conservazione, o dispersione, delle ceneri dei defunti, i differenti episcopati nazionali hanno preso, nel corso del tempo, posizioni diverse. Nel novembre 2009, per esempio, l’assemblea della Cei, dopo un vivace dibattito, aprì alla possibilità di spargere le ceneri, sebbene con una circonlocuzione, stabilendo, in una prima bozza del rito delle esequie, che «la memoria dei defunti attraverso la preghiera liturgica e personale e la familiarità con il camposanto costituiranno la strada per contrastare, con un’appropriata catechesi, la prassi di disperdere le ceneri o di conservarle al di fuori del cimitero o di un luogo sacro» e sottolineando che «ciò che sta a cuore ai vescovi è che non si attenui nei fedeli l’attesa della risurrezione dei corpi, temendo invece che la dispersione delle ceneri affievolisca la memoria dei defunti». Successivamente, però, la stessa Cei precisò, già nel 2012, che le ceneri non possono essere sparse né conservate in luogo diverso dal cimitero. 

 

Papa Francesco celebrerà Messa per i defunti, il 2 novembre, al cimitero di Prima Porta, quest’anno, anziché al cimitero centrale del Verano. Lo ha reso noto il direttore della Sala stampa vaticana, Greg Burke. Due giorni dopo, il 4 novembre, Francesco presiederà la Celebrazione per i cardinali defunti a San Pietro.  
 
 

domenica 23 ottobre 2016

QUESTO È IL MIO CORPO


 

Giovanni Cesare Pagazzi, Questo è il mio corpo. La grazia del Signore Gesù. Prefazione del card. Gianfranco Ravasi. (Nuovi Saggi Teologici 113), EDB 2016. 135 pp.

 

La teologia cristiana riconoce alla “grazia” di Dio quasi esclusivamente il senso del “dono” e del “perdono”, trovandosi non di rado in seria difficoltà nell’articolare la generosità divina e l’effettivo contributo della libertà umana.

Questo libro segue un’altra corrente della teologia biblica della grazia, per nulla alternativa ma diversa e complementare a quella che confluisce nell’epistolario paolino. Essa passa per il Libro di Giosuè, l’Esodo, la Genesi, i libri storici, profetici e sapienziali, attraversa i quattro Vangeli, la Lettera agli Ebrei (e molti altri testi), per sfociare nell’ultima riga della Bibbia: “La grazia del Signore Gesù sia con tutti”. Tale “corrente” del grande fiume biblico scorge nel “potere di muoversi” e nel “senso pratico” i primi doni dati da Dio all’uomo; la grazia non si compirebbe dunque nel dono poiché trattandosi del “dono di un potere” provoca ed esige l’effettivo esercizio. Solo se tale potere viene praticato in maniera congruente alla realtà uscita dalle mani del Creatore diviene savoir-faire, portamento e comportamento garbato, sapiente, giusto, ag-graziato, cioè grazia. Non per nulla l’ebraico biblico adotta le espressioni “goffo” e “maldestro” per definire l’empio, l’insipiente e l’ingiusto.

 

(Quarta di copertina)

giovedì 20 ottobre 2016

XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 23 Ottobre 2016


 

 

Sir 35,12-14.16-18: Il Signore ascolta la preghiera dell’oppresso  

Sal 33 (34): Il povero grida e il Signore lo ascolta

2Tm 4,6-8.16-18: Il Signore mi libererà da ogni male

Lc 18,9-14: Chiunque si esalta sarà umiliato

 

Il Sal 33 è un canto di gioia e di speranza di un povero, che si sente amato dal Signore sperimentando la gioia e i frutti della sua fedeltà. Il “povero”, di cui parla il testo, è colui che con cuore umile e riconoscente cerca rifugio solo in Dio, sfidando le manovre degli ingiusti con la sua fede nuda. C’è una certa continuità tra le letture della domenica scorsa e quelle odierne; è ancora il tema della preghiera, infatti, che ritorna con insistenza, sia pure da un particolare angolo visuale, che è quello della speciale attenzione che Dio rivolge alla preghiera dell’umile e del povero.

 

La prima lettura ci ricorda che Dio è giusto; non v’è presso di lui preferenze di persone e, quindi, non può essere né comprato, né corrotto. Davanti a lui non contano le apparenze. Egli esaudisce colui che con umiltà e amore lo supplica. L’insegnamento della parabola del fariseo e del pubblicano, riportata dal vangelo, si muove sulla stessa linea: il pubblicano, che si riconosce umilmente peccatore, torna a casa giustificato; il fariseo, che si vanta delle sue opere e disprezza gli altri, non viene invece giustificato. Nella seconda lettura ascoltiamo san Paolo che, ormai al termine della sua vita, ne fa un bilancio fiducioso e sereno e si affida al Signore, giusto giudice, che gli darà la corona di giustizia. La società in cui viviamo esalta i potenti, i forti, coloro che con la loro attività hanno raggiunto denaro, sicurezza e prestigio. Sono essi ad avere successo ed a diventare i modelli a cui facciamo volentieri riferimento. Presso Dio invece è il povero, l’oppresso e l’umile che ha garanzia di successo. I criteri di valutazione appaiono rovesciati.

 

Siamo tutti nudi davanti a Dio, tutti mendicanti. La giustificazione, cioè la salvezza, non è certo frutto della nostra giustizia, né delle nostre risorse di creature. La giustificazione è anzitutto un dono, è una grazia che viene dalla misericordia di Dio. Afferma san Giovanni che il cristiano non è figlio di Dio per nascita (Gv 1,13) ma perché è rinato, perché è stato rigenerato dall’alto mediante lo Spirito (Gv 3,5-8). Nella nostra vita tutto è dono, tutto è grazia. San Paolo riconosce che “per grazia di Dio” è  quello che è (1Cor 15,10). D’altra parte, l’orazione colletta ci ricorda che per ottenere il dono di Dio, dobbiamo amare ciò che egli comanda; la giustificazione chiama in causa l’uomo che con la sua libertà è chiamato a corrispondere al dono di Dio. Infatti, la giustificazione non è un atto magico che avviene ineluttabilmente ma una azione che inserisce la nostra libertà in una situazione nuova originata dal dono di Dio.

 

L’eucaristia è la mensa alla quale il Cristo invita i poveri, i piccoli e gli umili come al convito del regno di Dio (cf Mt 5,3; Lc 6,20). Prima di avvicinarci alla comunione proclamiamo con il centurione del vangelo: “O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma dì soltanto una parola e io sarò salvato” (cf Mt 8,8). Ma l’eucaristia è anche il massimo della azione salvifica del Risorto e la anticipazione della condizione definitiva del salvato.

domenica 16 ottobre 2016

È URGENTE UNA CATECHESI LITURGICA


 

 

Claudio Magnoli, Parole gesti silenzi della Messa. Brevi catechesi liturgiche, Àncora, Milano 2016. 46 pp.

 

Poche pagine e scritte con uno stile chiaro ma al tempo stesso profondo. L’autore è un noto liturgista Docente di liturgia a Milano presso la Facoltà Teologica. Queste pagine conducono il lettore a comprendere alcuni gesti e momenti della Messa ai quali spesso non si fa attenzione, ma che sono fondati in una fede antica quanto la Chiesa stessa. A più di cinquant’anni del Vaticano II e della conseguente riforma liturgica, bisogna riconoscere che il cammino intrapreso per promuovere la partecipazione liturgica dei fedeli all’azione sacra attraverso una paziente introduzione ai santi segni della liturgia sta segnando il passo. Questo volumetto intende riprendere il cammino tracciato dal Concilio, fornendo un sussidio agile ma al tempo stesso stimolante.

 

Sono illustrati brevemente tre momenti di silenzio nella celebrazione della Messa, tre gesti per la Comunione, tre elevazioni del pane e del vino, tre segni di croce.

sabato 15 ottobre 2016

XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 16 Ottobre 2016



 


Es 17,8-13: Le mani di Mosè rimasero ferme fino al tramonto del sole

Sal 120 (121): Il mio aiuto viene dal Signore

2Tm 3,14-4,2: Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è utile…

Lc 18,1-8: E’ necessario pregare sempre senza stancarsi mai

 

Il Signore copre con la sua vigilante protezione tutto il percorso della nostra vita, dall’uscita dal grembo materno fino all’ingresso nel grembo della terra.

 

Il brano evangelico illustra come Dio sia buono e giusto e venga in aiuto a chi lo prega con fede e con perseveranza. L’accostamento col vangelo invita a vedere nel gesto di Mosè con le mani alzate, di cui parla la prima lettura, un gesto di preghiera insistente ed efficace. Questa è poi l’interpretazione che fa del testo l’antifona al Magnificat dei Primi Vespri: “Le mani di Mosè rimasero alzate in preghiera fino al tramonto del sole”. La lettura apostolica esalta il ruolo della parola di Dio nella vita cristiana. In fine, il canto al vangelo esalta l’efficacia della parola di Dio: “La parola di Dio è viva ed efficace, discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” (cf. Eb 4,12).

 

La liturgia odierna ci invita a riflettere sull’efficacia della preghiera, in particolare di quella di supplica. Non si tratta di una efficacia meccanica, quasi che il pregare fosse un’attività magica. La preghiera è anzitutto un’esperienza profonda di fede e di fiducia in Dio. Quando Gesù ci esorta a “pregare sempre, senza stancarsi”, a “gridare” e “importunare” non intende indurci a pregare per ottenere favori casuali. Egli ci spinge a pregare perché il regno di Dio si compia, come ci ricorda il Padrenostro: “Venga il tuo regno” (Mt 6,33). Tutte le suppliche, anche quelle dirette alla propria salvezza personale, mirano in ultimo termine alla venuta del regno di Dio, nel quale la nostra individualità è inserita senza nel contempo scomparire, e il cui arrivo porta con sé il nostro essere salvati. E’ necessario però ricordare che il compimento del regno di Dio si attua attraverso il cammino della croce che conduce alla pasqua. La prima lettura ci insegna che preghiera e impegno debbono andare insieme: la preghiera dà all’impegno il suo riferimento essenziale a Dio, e l’impegno dà alla preghiera la sua serietà e coerenza. La preghiera non sostituisce lo sforzo quotidiano nel servire Dio “con lealtà e purezza di spirito” (colletta).

 

domenica 9 ottobre 2016

LA RIFORMA GREGORIANA


 

Nella Chiesa antica l’ecclesiologia procedeva ‘dal basso’, nel senso che si privilegiava la concezione della Chiesa come popolo di Dio, al servizio del quale è costituita nel suo seno ogni autorità. Con Gregorio VII (1073-1085) invece la Chiesa è dedotta ‘dall’alto’, a partire dal papa, il quale è considerato capo, fondamento, radice, sorgente e origine di ogni autorità e potere nella Chiesa. D’altra parte, se la Chiesa dell’epoca dei Padri si autocomprendeva come la parte della Chiesa celeste in cammino nella storia terrena, ora essa diviene la ‘Chiesa militante’, che conduce alla ‘Chiesa trionfante’ della gloria celeste.

 

La visione gregoriana della Chiesa contempla: da un lato, la gerarchia che governa, santifica, insegna, ecc.; dall’altro, il popolo che ascolta, riceve la grazia divina, obbedisce, mette in pratica le disposizioni della gerarchia. Più ancora, si intende la gerarchia come costitutiva propriamente la Chiesa, in modo che ‘gerarchia’ e ‘Chiesa’ sono termini che possono essere scambiati reciprocamente! Ecco perché la riforma gregoriana, per ciò che concerne la liturgia, è stata di prevalenza clericale e ha provocato, di conseguenza, una retrocessione graduale dei fedeli, sino a ridurli ad un’assistenza prevalentemente passiva all’azione liturgica. In altre parole, la liturgia è stata considerata un affare proprio del clero.

 

Per quanto concerne la liturgia, le mete alle quali mira la riforma gregoriana sono: coltivare la stima per il sacerdozio, mettendo a forti colori sia l’esigenza della santità in ordine alla celebrazione liturgica, sia l’indegnità dei preti nicolaiti e simoniaci così da dispensare i fedeli dall’assistenza ai riti sacri piuttosto che presenziare a tali indegnità; coltivare il senso del mistero di fronte all’azione liturgica; coltivare le  devozioni sia pure in veste liturgica.

 

Sull’argomento, cf. E. CATTANEO, Il culto cristiano in Occidente. Note storiche [Bibliotheca “Ephemerides Liturgicae” – “Subsidia” 13], CLV – Edizioni Liturgiche, Roma 19842, 198-207. Vedi anche B. NEUNHEUSER, Storia della Liturgia attraverso le epoche culturali [Bibliotheca “Ephemerides Liturgicae” – “Subsidia” 11], Edizioni Liturgiche, Roma 1977, 85-98).

sabato 8 ottobre 2016

XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 9 Ottobre 2016


 

 

2Re 5,14-17: Ora so che non c’è Dio su tutta la terra se non in Israle

Sal 97 (98): Il Signore ha rivelato ai popoli la sua giustizia

2Tm 2,8-13: Sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza

Lc 17,11-19: La tua fede ti ha salvato

 

La tradizione cristiana ha visto nel Sal 97 una profezia dell’avvento di Cristo e della vocazione di tutti gli uomini alla fede. Però la salvezza che Dio offre a tutti, diventa veramente efficace per la vita eterna soltanto nei cuori che si aprono al Signore in atteggiamento riconoscente e adorante.

 

La prima lettura narra la guarigione di Naamàn, un ufficiale siro non appartenente al popolo di Israele, che riconosce l’opera della salvezza compiuta dal Signore in lui. Il brano della lettera a Timoteo riporta la testimonianza di san Paolo in catene per il vangelo, che esclama: “sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza”. In fine, il vangelo racconta che dei dieci lebbrosi guariti da Gesù solo un samaritano, uno straniero, dopo la guarigione, torna indietro a ringraziare il Signore che gli dice: “La tua fede ti ha salvato”. Il messaggio è chiaro: anche gli “esclusi” ed i “non privilegiati”, come i lebbrosi e gli stranieri sono chiamati a godere dei benefici della salvezza

 

Tutti sono chiamati alla fede e quindi alla salvezza. Diciamo di vivere nel tempo della globalizzazione. I nostri problemi sono i problemi degli altri, vicini e lontani. I moti migratori fanno sì che le nostre città siano diventate sempre più eterogenee, multiraziali. Parliamo di “extracomunitari”, ma in fondo sappiamo che tutti siamo membri di una grande e unica comunità umana. Il momento storico che stiamo attraversando può divenire il grande segno che Dio chiama tutti a creare un mondo riconciliato, unito nella diversità, armonioso e pacifico, in cui uomini e donne di diverse razze e popoli si ritrovino tutti fratelli e sorelle, figli e figlie di Dio e riconoscano in Gesù Cristo il loro Salvatore. Se la salvezza è per tutti i popoli, dobbiamo guardare i fenomeni odierni con serenità e aprirci alla speranza. Al di là dei problemi che possa creare l’attuale situazione, il cristiano deve saper scorgervi il disegno salvifico di Dio. Chiudersi in se stessi egoisticamente non è da credenti. Con questi nostri fratelli “non ci stanchiamo mai di operare il bene” (colletta), quel bene che diventa segno del bene supremo della salvezza che Dio offre a tutti.

venerdì 7 ottobre 2016

LA SOPRAVALUTAZIONE DELL’OFFERTORIO

 

Il card. Robert Sarah ha pubblicato recentemente un libro dal titolo La force du silence. Contre la dictature du bruit, Fayard 2016. In questa occasione, nel blog La nef è apparsa una lunga intervista sull’argomento del silenzio in cui il cardinale risponde ad alcune domande fatte dall’intervistatore. Sono pagine che meritano la nostra attenzione, in particolare quelle che riguardano la liturgia. Il cardinale deplora giustamente, tra l’altro, le celebrazioni piene di parole e di commenti in cui manca “a tempo debito, il sacro silenzio”, come vuole Sacrosanctum Concilium, 30. Qui mi limito a proporre il testo in lingua originale di una delle domande e risposte dell’intervista in cui il cardinale parla dell’offertorio della Messa.
 
Vous défendez ardemment la constitution conciliaire sur la liturgie en déplorant qu’elle ait été si mal appliquée. Comment l’expliquez-vous avec le recul des cinquante dernières années ? Les autorités dans l'Eglise n'en sont-elles pas les principales responsables ?

Je crois que nous manquons d'esprit de foi quand nous lisons le document du Concile. Envoutés par ce que Benoît XVI appelle le Concile des médias, nous en faisons une lecture trop humaine, cherchant les ruptures et les oppositions là où un cœur catholique doit s'efforcer de trouver le renouveau dans la continuité. Plus que jamais, l'enseignent conciliaire contenu dans Sacrosanctum concilium doit nous guider. Il serait temps de nous laisser enseigner par le Concile plutôt que de l'utiliser pour justifier nos soucis de créativité ou pour défendre nos idéologies en utilisant les armes sacrés de la liturgie. Un seul exemple : Vatican II a admirablement défini le sacerdoce baptismal des laïcs comme la capacité à nous offrir en sacrifice au Père avec le Christ, pour devenir, en Jésus, des «Hosties saintes, pures et immaculées». Nous avons là le fondement théologique de la véritable participation à la liturgie.

Cette réalité spirituelle devrait se vivre en particulier à l'offertoire, ce moment où tout le peuple chrétien s'offre, non pas à côté du Christ, mais en lui, par son sacrifice qui sera réalisé à la consécration. La relecture du Concile nous permettrait d'éviter que nos offertoires soient défigurés par des manifestations qui tiennent plus du folklore que de la liturgie. Une saine herméneutique de la continuité pourrait nous conduire à remettre en honneur les anciennes prières de l'offertoire relues à la lumière de Vatican II.
 
Non è la prima volta che il card. Sarah parla del significato dell’offertorio della Messa e propone di riabilitare nella forma ordinaria del rito romano le antiche preghiere dell’offertorio presenti nel Messale del 1962. Non è neppure la prima volta che io rispondo a queste proposte. Qui vorrei solo esprimere la mia perplessità, con il dovuto rispetto e con parresia, su quanto afferma il cardinale quando dice che l’offertorio è “ce moment où tout le peuple chrétien s'offre, non pas à côté du Christ, mais en lui, par son sacrifice qui sera réalisé à la consécration. Secondo me, questa sopravalutazione dell’offertorio non ha a suo favore una “tradizione” costante nella storia della Messa. Il vero offertorio si realizza nella preghiera eucaristica: “Accetta anche noi, Padre santo, insieme all’offerta del tuo Cristo” (Preghiera eucaristica della riconciliazione II); “Accogli, o Padre, con il sacrificio di Gesù, l’offerta della nostra vita” (Preghiera eucaristica per la messa dei fanciulli III); “Egli faccia di noi un sacrificio a te gradito” (Preghiera eucaristica III); “a tutti coloro che mangeranno di quest’unico pane e berranno di quest’unico calice, concedi che [...] diventino offerta viva in Cristo, a lode della tua gloria” (Preghiera eucaristica IV); “Accetta con benevolenza, o Signore, l’offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e tutta la tua famiglia” (Preghiera eucaristica I); ecc.
 
Come ho ricordato più volte, lo stesso teologo Joseph Ratzinger diceva delle antiche preghiere dell’offertorio: “Erano preghiere belle e profonde, ma si deve pur riconoscere che esse comportavano un certo grado di equivocabilità. Esse erano sempre formulate come anticipazione dell’evento vero e proprio del canone” (Il Dio vicino. L’eucaristia cuore della vita cristiana, San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, 67-68).  Aggiungo io che la soppressione di queste preghiere è stata fatta in ossequio a quanto decreta Sacrosanctum Concilium, al n. 50, quando dice: “Il rito della messa sia riveduto in modo che si manifestino più chiaramente la natura specifica delle singole parti e la loro mutua connessione…”
 
M. A.


mercoledì 5 ottobre 2016

LITURGIA E PIETÀ POPOLARE


 

Gonzalo Matias Guzmán Karadima, ‘Lo popular’ como un lugar teológico de encuentro entre la liturgia y la piedad (Bibliotheca “Ephemerides Liturgicae”- “subsidia” 178), CLV -Edizioni Liturgiche, Roma 2016. 405 pp.

 

En la Iglesia Católica de rito latino liturgia y piedad no siempre coexisten armónicamente. El magisterio universal post Vaticano II ha abordado este argumento en reiteradas ocasiones. Es posible leer un claro desarrollo y posicionamiento adecuado de la piedad popular en referencia a la liturgia, fuente y culmen de la vida eclesial, desde un escueto pronunciamiento en Sacrosanctum Concilium (1963) hasta la Exhortación Evangelii gaudium (2013) en la que Papa Francisco la denomina lugar teológico al momento de pensar la evangelización.

 

‘Lo popular’ y sus consecuencias son el palco escénico del misterio de la redención. Sus categorías y lenguaje hablan de quiénes y cómo son sus actores. Este estudio hace una lectura sociológica, antropológica y teológica de sus componentes, tales como su lenguaje simbólico y ritual. Se buscará demostrar el cómo y el porqué ‘lo popular’ es un lugar antropológico y teológico donde la liturgia y la piedad-relligiosidad de la Iglesia se encuentran.

 

En un análisis de las diferentes concepciones de ‘lo popular’ que se desprenden de las publicaciones teológicas atingentes durante la segunda mitad del siglo pasado, se llega a aquella que esta tesis desea ofrecer como necesaria para una sana y correcta relación entre liturgia y piedad-relligiosidad. Por ello desde la ciencia litúrgica, con el auxilio de la “Teología del pueblo” latinoamericana, se hace una re-lectura teológica desde ‘lo popular’ de las categorías eclesiológicas claves del Concilio Vaticano II buscando comprender como la identidad de pueblo, que toca todo el ser de la Iglesia, se expresa en su culto.

 

(Quarta di copertina)

domenica 2 ottobre 2016

San Bruno, monaco (6 ottobre)


 

Bruno nacque a Colonia, nel 1035 circa, ed è morto in una località solitaria della Calabria, detta La Torre, il 6 ottobre del 1101. Senza mai essere stato canonizzato ufficialmente, la sua memoria è entrata nei libri liturgici romani nel 1622. Già maestro di teologia a Reims, e avendo rifiutato l’episcopato di questa prestigiosa diocesi, si ritirò a vita semieremetica e, in seguito, andò a Grenoble dove il vescovo gli assegnò un luogo solitario e ivi diede vita all’Ordine certosino con sei compagni. Dopo un periodo a Roma come consigliere di Urbano II, suo antico discepolo, andò a Calabria e fondò una certosa vicino a Serra (oggi Serra San Bruno) nel luogo La Torre, dove riposa il suo corpo. La memoria di san Bruno si celebra nella stessa data della sua morte sia nel MR 1962 che nel MR 2002.

 

Colletta del MR 1962:

Sancti Brunonis Confessoris tui, quaesumus, Domine, intercessionibus adiuvemur: ut, qui maiestatem tuam graviter delinquendo offendimus, eius meritis et precibus, nostrorum delictorum  veniam consequamur.

 

Colletta del MR 2002:

Deus, qui sanctum Brunonem ad serviendum tibi in solitudine vocasti, eius nobis intercessione concede, ut per huius mundi varietates, tibi iugiter vacemus.

“O Dio, che hai chiamato san Bruno a servirti nel silenzio e nella solitudine, per la sua intercessione e il suo esempio donaci di conservare, nella dispersione della vita quotidiana, una  continua unione con te”.

 

La colletta del MR 1962 si ispira ad una colletta del Commune Confessoris non Pontificis dello stesso Messale e sviluppa il tema dell’intercessione del santo, dei suoi meriti e delle sue preghiere in favore di noi peccatori. La nuova colletta del MR 2002 mette in evidenza il tratto caratteristico di san Bruno, amante del silenzio e della solitudine. La supplica, in cui si chiede per intercessione del santo di conservare la continua unione con Dio, fa riferimento alla Regola certosina che invita a rimanere con se stesso e di fronte a Dio.

 

sabato 1 ottobre 2016

XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 2 Ottobre 2016


 


Ab 1,2-3; 2,2-4: Il giusto vivrà per la sua fede

Sal 94 (95): Ascoltate oggi la voce del Signore

2Tm 1,6-8.13-14: Non vergognarti di dare testimonianza al Signore

Lc 17,5-10: Accresci in noi la fede

 

La parola di Dio illumina i sentieri del nostro camminare. Perciò il salmo responsoriale ci invita a non chiudere il cuore alla voce del Padre che conduce e protegge “il popolo del suo pascolo”.

 

La fede è centrale nel processo di ricezione della salvezza, e giunge a noi come annuncio, come parola, come buona notizia che per essere ricevuta dev’essere creduta. “A Dio che si rivela è dovuta l’obbedienza della fede, con la quale l’uomo si abbandona tutto a Dio liberamente” (Dei Verbum, n. 5). La fede si attua come un gratuito e libero incontro tra Dio che si comunica e l’uomo che accoglie la sua autocomunicazione aprendosi all’azione di Dio. La fede non è credere in qualcosa, ma credere in qualcuno, in Dio salvatore. Nell’evento della nostra salvezza, l’iniziativa è sempre di Dio. La fede è quindi anzitutto un dono. Non a caso il vangelo d’oggi  inizia con la supplica degli apostoli a Gesù: “Accresci in noi la fede!”. La risposta di Gesù è immediata e, come al solito, sconcertante: “Se aveste fede quanto un granello di senapa, potreste dire a questo gelso:  Sradicati e vai a piantarti nel mare, ed esso vi obbedirebbe”.

 

Ma questa fede che, anche se minuscola, è capace di sradicare e trapiantare nel mare un gelso, albero gigante dalle radici difficilmente sradicabili, non è da confondersi con una tecnica con cui ottenere effetti prodigiosi come lo spostamento di una montagna o il radicamento di un albero nelle acque del mare. La potenza della fede di cui parla Gesù è la potenza di Dio che si manifesta e si sprigiona nella vita di noi credenti. La fede lascia passare sempre e solo l’azione di Dio attraverso di noi; non costringe Dio a fare quello che vogliamo noi ma permette a noi di fare quello che vuole Dio. Infatti, Gesù parla in seguito del servo che “ha eseguito gli ordini ricevuti”.

 

La lettura apostolica ci invita a dare una coraggiosa testimonianza della nostra fede. E la prima lettura, tratta dal libro di Abacuc, conclude affermando che colui che non ha l’animo retto soccombe, mentre “il giusto vivrà per la sua fede”. La parola “fede”, nella lingua semitica in cui si esprimeva Gesù, significa fermezza e certezza, sicurezza e fiducia. La fede non ha niente a che fare con l’angustia degli orizzonti. La fede non intimidisce, non riduce la voglia di vivere e di crescere che c’è in ognuno di noi ma apre a questa nuovi ed insospettabili orizzonti.