29 maggio 2019
Nel
delineare il profilo liturgico del Papa san Paolo VI, occorre far parola
dell’intero arco della sua esistenza. Importante fu il periodo della sua
formazione, negli anni in cui il movimento liturgico lievitava nuove
sensibilità e acquisizioni in campo teologico-liturgico, con risvolti anche
celebrativi.
Giovane
prete, a partire dal 1930, promosse sulle pagine di “Azione Fucina” una cronaca
liturgica che attesta la sintonia con il fermento liturgico che premeva per
venire a galla nel tessuto ecclesiale; sono preziose anche le Lettere che
Montini scrisse da sostituto della Segreteria di Stato in occasione delle
Settimane liturgiche nazionali italiane. Di tale fermento fu poi interprete
negli anni di episcopato a Milano, di cui è celebre la Lettera pastorale che
scrisse nel 1958 su L’educazione
liturgica, volta a comunicare ai fedeli la convinzione della
«stupenda forza formatrice della Liturgia».
Questa
esperienza la portò al Vaticano II, come ben manifesta il discorso che il
cardinale Montini pronunciò in Concilio il 22 ottobre 1962, in cui ricordava la
differenza tra essentia
«quae omnino defendi debet atque servari» e forma
della liturgia, «scilicet modo, quo celebratio divinorum mysteriorum quasi
vestitur», osservando che la forma «mutari potest, prudenter tam sapienterque
et ad aptiores rationes revocari», con l’unico fine — che era quello dello
schema in discussione tra i Padri — non di scalfire il «cultus catholici
patrimonium divinum et a maioribus acceptum» bensì di renderlo «magis
comprehensibile et utilius hominibus nostrae aetatis»; e giungeva a formulare
un principio di innegabile rilevanza: «Liturgia nempe pro hominibus est
instituta non homines pro Liturgia». Ecco il filo rosso che ha guidato la visione
montiniana di liturgia, compresa quale mediazione attraverso cui la vita divina
si riversa nel cuore dei credenti, edificando il Popolo di Dio, la Chiesa.
Questo è il punto fondamentale del nesso tra Paolo VI e la liturgia: nel suo
pensiero come nella sua opera, la riforma
liturgica post-conciliare, in obbedienza a Sacrosanctum
concilium, non era finalizzata semplicemente alla revisione della
forma celebrativa, ma al rinnovamento della Chiesa, realtà-mistero su cui il
Papa si era soffermato nella sua enciclica programmatica, l’Ecclesiam suam.
Con la
sollecitudine del Pastore, Paolo VI ha voluto spiegare e illustrare, in vari
modi e occasioni, nel corso degli anni, sia ai laici come al clero, i motivi
della riforma liturgica, la sua portata e l’estensione che andava assumendo,
aiutando a cogliere tutto il positivo senza tacere delle resistenze che si
opponevano al cambiamento come delle fughe fuori pista. Ne sono documentazione
eloquente i suoi atti pontifici e i numerosi discorsi pronunciati, specie alle
udienze generali del mercoledì come nei Concistori.
Se
l’input e i princìpi della riforma liturgica venivano dalla Sacrosanctum Concilium, fu
Paolo VI a ordinarne e guidarne la progressiva attuazione, in due fasi: la
preparazione della riforma e le prime realizzazioni dal 1963 al 1969 e, quindi,
dal 1969 l’edizione dei libri liturgici riformati.
Dopo
l’importante discorso di promulgazione della Sacrosanctum
Concilium a chiusura della seconda sessione del Concilio, il 4
dicembre 1963, con il Motuproprio Sacram
liturgiam (25 gennaio 1964), Paolo VI istituiva il Consilium ad exsequendam Constitutionem
de sacra Liturgia, organismo composto da Vescovi ed esperti di
tutto il mondo, allo scopo di dare concretezza ai principi indicati dai Padri
conciliari e dalle scelte compiute. Presieduto dal cardinale G. Lercaro e
avendo come segretario il padre A. Bugnini, il Consilium ha lavorato alacremente, in diretta
sintonia con Paolo VI; lo attestano i quattro importanti discorsi che il Papa
rivolse allo stesso Consilium
in occasione delle sue riunioni, oltre alla costante informazione e diretta
supervisione dei suoi lavori. Al Consilium,
è subentrata la Sacra
Congregatio pro Cultu Divino, istituita da Paolo VI il 9 maggio
1969: con tale organismo, inquadrato ormai nella Curia Romana, la Sede
Apostolica ha pubblicato le edizioni tipiche dei rinnovati libri liturgici e i
documenti che hanno disciplinato il loro uso e la vita liturgica (Decreti,
Istruzioni, Notificazioni, Dichiarazioni).
Nel
prendere decisioni rilevanti e vincolanti in materia di celebrazioni
liturgiche, Paolo VI adottò pronunciamenti magisteriali adeguati, quali
anzitutto cinque Costituzioni apostoliche. Con la Costituzione Pontificalis Romani recognitio
(28 giugno 1968), approvava il Rito dei sacri Ordini del Diaconato,
Presbiterato ed Episcopato, preparato dal Consilium
e sentito il parere dei Vescovi di varie parti del mondo. Con la Costituzione Missale Romanum (3 aprile
1969) veniva promulgato il Messale rinnovato per decreto del Concilio Ecumenico
Vaticano II; in essa, ricordando che il Concilio «aveva posto le basi della
riforma generale del Messale Romano, stabilendo che (...) l’Ordinamento rituale
della Messa sia riveduto in modo che apparisca più chiaramente la natura
specifica delle singole parti e la loro mutua connessione, e sia resa più
facile la pia e attiva partecipazione dei fedeli (cfr Sacrosanctum Concilium 50)»,
il Papa indicava e motivava i cambiamenti più rilevanti apportati in questo
libro liturgico, quali la Preghiera eucaristica, il Rito della Messa e il
Lezionario. Quindi con la Costituzione Laudis
canticum (1° novembre del 1970) veniva promulgato l’Ufficio Divino
rinnovato per decreto del Concilio Ecumenico Vaticano II; in essa Paolo VI
illustrava l’opera di revisione compiuta per la Liturgia delle Ore. Con la
Costituzione Divinae
consortium naturae (15 agosto 1971), Paolo VI promulgava il Rito
della Confermazione, stabilendo e dichiarando gli elementi relativi al rito
essenziale del sacramento, ed indicando che dal 1° gennaio 1973 «tutti gli
interessati dovranno fare uso soltanto del nuovo Rito». Infine, con la
Costituzione apostolica Sacram
unctionem infirmorum (30 novembre 1972), approvava il Rito
dell’Unzione degli Infermi, stabilendo e dichiarando gli elementi relativi al
rito essenziale del Sacramento; stabiliva anche che dal 1° gennaio 1974, «tutti
gli interessati dovranno fare uso soltanto del nuovo Rito».
Oltre al
già citato Motuproprio Sacram
liturgiam, con cui si stabiliva l’entrata in vigore di alcune prescrizioni
della Sacrosanctum Concilium,
Paolo VI intervenne con altri pronunciamenti in forma di Motuproprio in materia
liturgica. Col Peculiare ius
(9 febbraio 1966) furono date norme circa l’uso dell’altare papale nelle
Patriarcali Basiliche Romane. Col Sacrum
diaconatus (18 giugno 1967) vennero impartite norme per il
ristabilimento del diaconato permanente nella Chiesa latina. Col Pontificalis Domus (28 marzo
1968) furono date norme, tra l’altro, circa la Cappella Pontificia, ossia le
persone che partecipano alle celebrazioni liturgiche presiedute dal Papa o
svolte alla sua presenza. Anche il Pontificalia
insignia (21 giugno 1968) aveva risvolti per l’ambito celebrativo.
Col Mysterii Paschalis
(14 febbraio 1969), Paolo VI disciplinava le norme generali circa l’Anno
liturgico e il Calendario Romano. Infine, col Ministeria quaedam (15 agosto 1972), veniva
riformata nella Chiesa latina la disciplina riguardo alla tonsura, agli ordini
minori e al suddiaconato, ormai denominati “ministeri” del Lettore e dell’Accolito,
affidati anche ai laici e non più riservati ai candidati al sacramento
dell’Ordine.
Come è
noto, il nome di Paolo VI resterà perennemente legato ai libri liturgici del
Rito Romano, custodi ed espressione del mistero della Chiesa in preghiera. In tal
senso l’opera liturgica paolina è davvero grande. Basti ricordare quali libri
portano nel frontespizio la dicitura “ex decreto Sacrosancti Oecumenici
Concilii Vaticani ii instauratum auctoritate Pauli pp. vi promulgatum”: De ordinatione Diaconi, Presbyteri et
Episcopi (15.8.1968); Ordo
celebrandi matrimonium (19.3.1969); Calendarium Romanum (21.3.1969); Ordo Missae cum Institutio generalis
Missalis Romani (6.4.1969); Ordo
Baptismi parvulorum (15.5.1969); Ordo
lectionum Missae (25.5.1969); Ordo
Exsequiarum (15.8.1969);
Ordo Professionis Religiosae (2.2.1970); Missale Romanum (26.3.1970,
editio altera 1975); Ordo
Consecrationis Virginum (31.5.1970); Lectionarium Missalis Romani (30.9.1970); Ordo benedictionis Abbatis et Abbatissae
(9.11.1970); Ordo benedicendi
olea cathecumenorum et infirmorum et conficendi chrisma
(3.12.1970); Liturgia Horarum (11.4.1971);
Ordo Confirmationis
(22.8.1971); Ordo Initiationis
Christianae adultorum (6.1.1972); Ordo Cantus Missae (24.6.1972); Graduale Simplex (editio altera
1975); De institutione
Lectorum et Acolythorum (3.12.1972); Ordo Unctionis Infirmorum eorumque pastoralis curae
(7.12.1972); De Sacra
Communione et de Cultu Mysterii Eucharistici extra Missae (21.6.1973);
Ordo Paenitentiae (2.12.1973);
Ordo dedicationis ecclesiae et
altaris (29.5.1977).
Questi Ordines sono stati rinnovati
e pubblicati per autorità apostolica di Paolo VI. Lo ricordava egli stesso in
questi termini all’udienza generale del 19 novembre 1969: «La riforma che sta
per essere divulgata corrisponde ad un mandato autorevole della Chiesa; è un
atto di obbedienza; è un fatto di coerenza della Chiesa con se stessa; è un
passo in avanti della sua tradizione autentica; è una dimostrazione di fedeltà
e di vitalità, alla quale tutti dobbiamo prontamente aderire. Non è un
arbitrio. Non è un esperimento caduco o facoltativo. Non è un’improvvisazione
di qualche dilettante» (Insegnamenti
di Paolo VI, VII [1969] 1122).
Che il
Santo Papa abbia seguito personalmente i lavori di revisione della lex orandi del Messale
Romano, lo attestano esemplarmente due scritti. Il primo è un autografo
concernente l’Ordo Missae:
«Mercoledì, 6 novembre 1968 – ore 19-20.30. Abbiamo letto nuovamente, col Rev.
P. Annibale Bugnini, il nuovo “Ordo Missae”, compitato dal “Consilium ad
exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia”, in seguito alle osservazioni
fatte da noi, dalla Curia Romana, dalla S. Congregazione dei Riti, dai
partecipanti alla xi sessione plenaria del “Consilium” stesso, e da altri
ecclesiastici e fedeli; e dopo attenta considerazione delle varie modifiche
proposte, di cui molte sono state accolte, abbiamo dato al nuovo “Ordo Missae”
la nostra approvazione, in Domino. Paulus pp. vi». Il secondo riguarda il
Lezionario del Messale: «Non ci è possibile, nel brevissimo spazio di tempo che
ci è indicato, prendere accurata e completa visione di questo nuovo ed ampio
“Ordo Lectionum Missae”. Ma fondati sulla fiducia delle persone esperte e pie,
che lo hanno con lungo studio preparato, e su quella dovuta alla sacra Congregazione
per il Culto Divino, che lo ha con tanta perizia e sollecitudine esaminato e
composto, volentieri noi lo approviamo, in nomine Domini. Nella Festa di S.
Giovanni Battista, 24 Giugno 1969 Paulus pp. vi» (gli autografi sono stati
pubblicati su «L’Osservatore Romano» del 6 aprile 2019, pag. 7).
Con la
stessa autorità apostolica egli conferma la bontà della riforma liturgica nel
discorso al Concistoro del 24 maggio 1976: «È nel nome della Tradizione che noi
domandiamo a tutti i nostri figli, a tutte le comunità cattoliche, di
celebrare, in dignità e fervore la Liturgia rinnovata. L’adozione del nuovo
“Ordo Missae” non è lasciata certo all’arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli: e
l’Istruzione del 14 giugno 1971 ha previsto la celebrazione della Messa nell’antica
forma, con l’autorizzazione dell’Ordinario, solo per sacerdoti anziani o
infermi, che offrono il Divin Sacrificio sine populo. Il nuovo Ordo è stato
promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in
seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. Non diversamente il nostro santo
Predecessore Pio v aveva reso obbligatorio il Messale riformato sotto la sua
autorità, in seguito al Concilio Tridentino. La stessa disponibilità noi
esigiamo, con la stessa autorità suprema che ci viene da Cristo Gesù, a tutte
le altre riforme liturgiche, disciplinari, pastorali, maturate in questi anni
in applicazione ai decreti conciliari. Ogni iniziativa che miri a ostacolarli
non può arrogarsi la prerogativa di rendere un servizio alla Chiesa: in effetti
reca ad essa grave danno» (Insegnamenti
di Paolo VI, XIV [1976] 389).
Ed
ancora, ai Cardinali riuniti in Concistoro il 27 giugno 1977 si esprime in modo
chiaro circa l’applicazione della riforma liturgica: «È venuto il momento, ora,
di lasciar cadere definitivamente i fermenti disgregatori, ugualmente
perniciosi nell’un senso e nell’altro, e di applicare integralmente nei suoi
giusti criteri ispiratori, la riforma da Noi approvata in applicazione ai voti
del Concilio. Ai contestatori che, in nome di una mal compresa libertà
creativa, hanno portato tanto danno alla Chiesa con le loro improvvisazioni,
banalità, leggerezze — e perfino con qualche deplorevole profanazione — Noi
chiediamo severamente di attenersi alla norma stabilita: se questa non venisse
rispettata, ne potrebbe andare di mezzo l’essenza stessa del dogma per non dire
della disciplina ecclesiastica, secondo l’aurea norma: “lex orandi, lex
credendi”. Chiediamo fedeltà assoluta per salvaguardare la “regula fidei”.
[...] Ma con pari diritto ammoniamo coloro che contestano e si irrigidiscono
nel loro rifiuto sotto il pretesto della tradizione, affinché ascoltino com’è
loro stretto dovere, la voce del Successore di Pietro e dei vescovi,
riconoscano il valore positivo delle modificazioni “accidentali” introdotte nei
sacri riti (che rappresentano vera continuità, anzi spesso rievocazione
dell’antico nell’adattamento al nuovo), e non si ostinino in una chiusura
preconcetta, che non può essere assolutamente approvata» (Insegnamenti di Paolo VI, XV
(1977), 663).
Nel Pensiero alla morte, Paolo
VI si congeda dalla scena di questo mondo confessando di aver sempre amato la
Chiesa, suprema confidenza che egli ha ormai il coraggio di dire apertamente.
Il rinnovamento liturgico è stato uno dei modi concreti con cui Paolo VI ha
amato una Chiesa che voleva prendesse coscienza di se stessa e che fosse
strumento di annuncio del Vangelo, che dà a Dio il primo posto ma non dimentica
l’umanità di oggi, sapendo che la «Liturgia è per gli uomini». In questa
“passione” vissuta per la Chiesa c’è anche la sofferenza causatagli da quanti,
per opposte ragioni, contestavano apertamente la “sua” riforma liturgica,
offendendo la voce del Successore di Pietro e arrecando danno alla Chiesa, sia
in nome di una mal compresa libertà creativa e sia in nome di una mal compresa
fedeltà alla tradizione. Nel portare avanti la riforma della liturgia, di così
ampie proporzioni, ha dato prova della saggezza e della determinazione del
Pastore che non cerca il proprio interesse ma quello dell’intero gregge che il
Signore gli ha affidato. Lo ha ricordato Papa Francesco nell’omelia di
canonizzazione lo scorso 14 ottobre: «Paolo VI, anche nella fatica e in mezzo
alle incomprensioni, ha testimoniato in modo appassionato la bellezza e la
gioia di seguire Gesù totalmente. Oggi ci esorta ancora, insieme al Concilio di
cui è stato il sapiente timoniere, a vivere la nostra comune vocazione: la
vocazione universale alla santità». Sappiamo che la vocazione alla santità e la
risposta ad essa passano attraverso la liturgia della Chiesa.
di
Corrado Maggioni
L’Osservatore Romano 30 maggio 2019