1Beato l'uomo che non entra nel consiglio dei malvagi,
non resta nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli arroganti,
2ma nella legge del Signore trova la sua gioia,
la sua legge medita giorno e notte.
3È come
albero piantato lungo corsi d'acqua,
che dà frutto a suo tempo:
le sue foglie non appassiscono
e tutto quello che fa, riesce bene.
4Non così,
non così i malvagi,
ma come pula che il vento disperde;
5perciò non
si alzeranno i malvagi nel giudizio
né i peccatori nell'assemblea dei giusti.
6poiché il
Signore veglia sul cammino dei giusti,
ma la via dei malvagi va in rovina.
La Liturgia delle Ore propone
questo salmo nell’Ufficio delle letture della domenica della prima settimana.
Il primo salmo del Salterio appartiene alla letteratura didattico-sapienziale
che seguì al tempo dell’esilio d’Israele. Con la distruzione del tempio di
Salomone era scomparsa anche l’arca dell’alleanza; la pietà d’Israele si
organizzò allora attorno alla Legge e alla parola di Dio, che diventò il centro
vitale della spiritualità dei saggi del popolo eletto. In questo contesto è comparsa la sinagoga,
non più incentrata sul culto sacrificale come il tempio, ma sullo studio,
l'insegnamento e la meditazione della Legge.
Compaiono nel Sal 1 due figure che sono continuamente presenti in
tutto il Salterio. Da una parte, l’uomo giusto; dall’altra, l’uomo malvagio e
peccatore; due volti, due vie, due destini, in cui è riassunta la storia
dell’umanità dopo il peccato delle origini. Ponendoci davanti queste due
figure, il salmo ci colloca di fronte a noi stessi e al conflitto tra il bene e
il male che agita la storia dell’umanità e la vita intima di ognuno di noi, e
che costituisce, in un certo modo, il tessuto di tutte le preghiere del
Salterio; per questo la tradizione della Chiesa considera questo primo salmo
una vera e propria introduzione programmatica all’intero Salterio.
Il nostro salmo si apre con un vocabolo ebraico (‘ašre) che la traduzione italiana della
CEI ha reso con la parola “beato”. Altri preferiscono il sostantivo “felicità dell’uomo che…”, o
semplicemente l’aggettivo “felice”. Non è un problema, dato che il dizionario
italiano dice che beato è colui “che gode di una felicità piena” e la parola
ebraica usata dal salmista accentua uno stato di felicità. Tutti gli umani
aspiriamo alla felicità, “tutti vogliono vivere felici (beate vivere) – dice Seneca – ma quando si tratta di veder chiaro
cos’è che rende felice la vita, sono avvolti dall’oscurità”. Ebbene, per il
nostro salmo, e per la Bibbia in genere, felice è chi dimora nel cammino, chi
compie passi e trova vie che fanno avanzare se stesso verso una vita degna di
questo nome o, con le parole del salmo, colui che obbedisce alla legge di Dio.
Il salmo ci ricorda, però, che ogni umano può scegliere di percorrere vie di
giustizia (vv. 1-3) o di malvagità (vv. 4-5), il cui diverso esito è abbozzato
nel versetto conclusivo (v. 6). Un noto testo delle origini cristiane, la Didaché, si apre con questa netta
opposizione: “Le vie sono due: una della vita e una della morte, e grande è la
differenza tra le due”.
Ma la vita è ben più complessa di una opposizione binaria: per
questo il salmo specifica meglio. La via della felicità – quella che già Mosè
desiderava percorrere quando pregava: “Signore indicami la tua via…” (Es 33,13)
– richiede innanzitutto di dire un triplice no, presentato dal salmo in un
significativo crescendo: non andare (o non entrare), non fermarsi, non sedersi
(v. 1). Nel descrivere questa progressiva seduzione che spinge al male, il
salmo presenta il protagonista negativo del Salterio, caratterizzato con tre
aggettivi: malvagio, peccatore, arrogante.
Ma non basta astenersi della via dei malvagi, dei peccatori e
degli arroganti, occorre percorrere quella opposta; non basta non fare il male,
occorre fare il bene, percorrere la via dei giusti. Questa è la via di colui
che accoglie la legge del Signore (v. 2), della quale il Sal 19 afferma: “La
legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima […] I precetti del Signore sono
retti, fanno gioire il cuore” (Sal 19, 8-9). Cosa s’intende per legge del
Signore (la Torah)? Non solo le prescrizioni ma anche l’insegnamento ovvero
l’intera rivelazione divina, con cui il Signore vuole istruire i cuori degli
umani ed entrare in alleanza con loro. Questa legge, il giusto “la medita
giorno e notte”. Come dice san Girolamo, commentando questo salmo, “la
meditazione della Legge di Dio non consiste solo nel leggere le Scritture, ma
anche nel fare ciò che in esse è scritto”.
Chi osserva questo stile di vita, è come un “albero piantato lungo
corsi d’acqua, che dà frutto…” (v. 3). È la stessa immagine usata da Geremia
che la declina in termini di fiducia: “Benedetto l’uomo che confida nel Signore
e il Signore è la sua fiducia. È come un albero piantato lungo un corso
d’acqua, verso la corrente stende le radici, non teme quando viene il caldo, le
sue foglie rimangono verdi, nell’anno della siccità non si dà pena, non smette
di produrre frutti” (Ger 17,7-8). Dopo queste immagini agricole, il v. 3 del
nostro salmo conclude affermando del giusto: “tutto quello che fa, riesce
bene”. Possiamo ricordare qui il nostro modello supremo Gesù, di cui la folla
diceva, piena di stupore: “Ha fatto bene ogni cosa” (Mc 7,37).
“Non così” (v. 4): con questa enfatica negazione, raddoppiata,
inizia la descrizione della situazione dei malvagi. L’immagine agricola è
ripresa in senso inverso: essi sono “come la pula”, lo scarto del grano,
disperso dal soffiare del vento. Sono senza peso, inconsistenti, incapaci di
affondare le loro radici in profondità. Per questo i malvagi non possono stare
in piedi, non possono reggere nel giudizio (di Dio), di fronte ai giusti (v. 5).
Il salmo si conclude con due affermazioni che si riferiscono alle
due vie tratteggiate: “il Signore veglia sul cammino dei giusti” (v. 6a), cioè
li protegge, li accompagna col suo amore.
Invece, “la via dei malvagi va in rovina” (v. 6b), perché il fallimento
è immanente alla stessa condotta degli empi, una condotta vuota, che non porta
da nessuna parte.
La tradizione cristiana ha fatto del Sal 1 un’interpretazione
essenzialmente cristologica. In Gesù Cristo, che è “la Via” (Gv 14,6), i
cristiani diventano “quelli della Via” (“uomini e donne appartenenti a questa
Via”, At 9,2), uno dei più antichi titoli con il quale i seguaci di Gesù
venivano definiti. Cristo realizza l’ideale dell’uomo giusto esaltato nel
salmo: “Egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca” (1Pt
2,22). Noi tutti, in Adamo, siamo andati dietro ai consigli dell’uomo malvagio,
ci siamo allontanati da Dio, seguendo il nostro progenitore nella via del
peccato: “Come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti
peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti
giusti” (Rm 5,19).
Gesù ha più volte adoperato l’immagine dell’albero che dà buoni
frutti (Mt 7,15-20). Egli stesso si è paragonato alla vigna che dà frutto a suo
tempo dicendo: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo” (Gv
15,1ss). Eusebio di Cesarea, commentando il nostro salmo, associa il simbolo
dell’albero a Cristo: “Albero di vita è il Figlio di Dio, secondo quanto dice
Salomone a proposito della sapienza: ‘È un albero di vita per tutti quelli che
a essa [la Sapienza] si tengono stretti’ (Pr 3,18)”. Innestati in Cristo, ricordiamo le sue
parole: “Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me
non potete fare nulla” (Gv 15,5).
Nella Liturgia delle Ore il
Sal 1 ha come sottotitolo le seguenti parole, prese da un autore del II secolo:
“Beati coloro che, sperando nella croce, scesero nell’acqua del battesimo”.
Questo riferimento al battesimo potrebbe essere in rapporto con quanto dice il
salmo del giusto quando lo presenta come un “albero piantato lungo corsi
d'acqua” (v. 3). Come afferma san Paolo, “tutti voi siete figli di Dio mediante
la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete
rivestiti di Cristo” (Gal 3,26-27).
Preghiera: O Padre
clementissimo, che ci hai concesso di risorgere nell’acqua del battesimo, fa
che, meditando e osservando la tua legge siamo sempre fedeli ai nostri impegni,
per potere dare frutti copiosi.
Bibliografia: Spirito
Rinaudo, I salmi preghiera di Cristo e
della Chiesa, Elle Di Ci, Torino-Leumann 1973; Vincenzo Scippa, Salmi, volume 1. Introduzione e commento, Messaggero,
Padova 2002; Ludwig Monti, I salmi:
preghiera e vita, Qiqajon, Comunità di Bose 2018; Temper Longman III, I salmi.
Introduzione e commento, Edizioni GBU, Chieti 2018.