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domenica 17 febbraio 2019

DUE CARDINALI SULLA “RIFORMA DELLA RIFORMA”



In un volumetto che raccoglie tre diversi interventi (W. Kasper – K. Koch – G. Augustin, La liturgia. L’arte di diventare cristiani, Libreria Editrice Vaticana 2018), i due Cardinali, Kasper e Koch, fanno riferimento alla “riforma della riforma” della liturgia nel contesto della perdita del senso del sacro. Kasper (p. 33) afferma che “in una civiltà secolarizzata che appiattisce tutto, e che si svuota progressivamente di significato, la salvezza verrà dall’esperienza della sublimità e del fascino del sacro, del Santo”, e aggiunge, citando Romano Guardini, che non basta la riforma dei singoli riti, e “neppure una riforma della riforma nel senso di abolire singole riforme già fatte, o sostituirle con altre. Non ci si può baloccare all’infinito con la liturgia”. Kasper intende la riforma della riforma come “una nuova cultura liturgico-sacramentale in cui la liturgia emerga come ‘epifania’, là dove l’infinita sublimità e il fascino sconfinato del Dio santo possono essere sperimentati nei momenti di silenzio, in ciò che si vede si ascolta, nella supplica e nella lode”. Non si tratta quindi di mettere in questione la riforma di Paolo VI, ma di celebrarla in modo tale che la liturgia sia veramente una esperienza profonda della presenza di Dio e ciò attraverso i diversi linguaggi liturgici: silenzio, segni, ascolto, supplica, lode.    



Anche Koch dedica, nel suo intervento, un lungo paragrafo alla “riforma della riforma liturgica” (pp. 66-69). Il cardinale critica, in modo salomonico, sia “le tendenze conservatrici di molti progressisti”, “irriducibili difensori” della riforma del post-Concilio, sia i “livorosi critici della riforma post-conciliare”. Dei primi dice che identificano “la riforma del post-Concilio come punto terminale, da difendere con le unghie e con i denti”. Dei secondi afferma “che attaccano non solo i risultati ma anche i fondamenti conciliari, convinti che la salvezza verrà solo dalla completa abolizione della riforma”. In seguito, Koch propone una terza via: “Bisogna uscire dalla questione, tanto legittima quanto critica, se nella riforma liturgica post-conciliare siano stati realizzati in pieno i desideri dei Padri conciliari, o se, all’opposto, la riforma non sia rimasta indietro rispetto alle norme generali fissate dalla Sacrosanctum Concilium, o se in qualche modo non si sia spinta troppo avanti”.



Come si evince da quanto detto, i due cardinali hanno una visione alquanto diversa di come ridare alla liturgia un nuovo slancio. Kasper propone una nuova cultura liturgica che aiuti a vivere la liturgia come “epifania” della presenza salvifica di Dio. Koch propone, invece, un riesame della riforma liturgica post-conciliare. Noto che i due interventi sono stati pubblicati in lingua tedesca nel 2012 (il volumetto in italiano è una traduzione, pubblicata nel 2018). Credo che una risposta alla problematica della “riforma della riforma” l’ha data papa Francesco nel suo discorso del 24 agosto 2017, quando ha affermato la irreversibilità della riforma post-conciliare, irreversibilità che va capita nel contesto dei “giusti criteri ispiratori” che hanno guidato l’opera dei pontefici. Interpretare la irreversibilità della riforma come irreversibilità dei riti e dei testi dei libri liturgici è da miopi. La storia ci insegna che sia Pio V che Paolo VI nella promulgazione dei loro Messali hanno usato formule vincolanti: “Quanto abbiamo qui stabilito e ordinato vogliamo che rimanga valido ed efficace, ora e in futuro…” (Costituzione Missale Romanum di Paolo VI). E ciò nonostante, i due Messali hanno avuto nelle successive edizioni tipiche dei cambiamenti più o meno rilevanti, che hanno però rispettato i criteri ispiratori dei rispettivi Messali. Un caso a parte, anomalo, è il Messale del 1962, adoperato come forma straordinaria del rito romano da più di 50 anni senza nessun cambiamento.