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domenica 9 febbraio 2025

LA LITURGIA MANOMESSA

 



Loris Della Pietra (a cura di), La liturgia manomessa (“Caro salutis cardo”. Contributi 39), Edizioni Liturgiche, Roma – Abbazia di Santa Giustina, Padova 2024, 226 pp. (€ 30,00).

Se i primi passi della recezione della riforma liturgica, non senza ingenuità e sbavature, si sono mossi nella consapevolezza di una mutabilità del culto ecclesiale, ora siamo più avveduti, anche grazie agli apporti dell’antropologia culturale, circa la “canonicità” del rito che lo preserva da manomissioni estrose e ne permette il ricorso nel passaggio e nella comunione delle generazioni. La sfida, alla quale dal fronte della riflessione teorica l’istituto di Liturgia Pastorale non si è sottratto, è di celebrare (e di pensare) una liturgia consegnata e ricevuta e, al contempo, che sia ancora riconoscibile, ovvero praticabile dagli uomini e dalle donne di oggi. Se il rito cristiano rimane così, un ordine “predisposto” ma visibile, potrà ancora attestare la precedenza del dono su ogni compito e dichiarare la perenne disponibilità dell’indisponibile.

Contributi di A. Alessio, B. Baratto, G. Bonaccorso, U.R. Del Giudice, L. Della Pietra, L. Girardi, M. Naro, P. Tomatis.

(Quarta di copertina)

venerdì 7 febbraio 2025

DOMENICA V DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 9 Febbraio 2025

 

 


 

Is 6,1-2a.3-8; Sal 137 (138); 1Cor 15,1-11; Lc 5,1-11

 

 

Le letture bibliche di questa domenica ci ricordano che la nostra vita acquista senso e indirizzo quando facciamo una personale esperienza di Dio. Ogni vero incontro con Dio non lascia mai l’uomo come prima, ma lo cambia, lo rende cosciente della propria missione e delle proprie responsabilità. È quello che succede a Isaia nella grandiosa visione ambientata nel tempio di Gerusalemme, di cui ci parla la prima lettura, ed è quello che succede a Pietro e ai suoi compagni Giacomo e Giovanni allorché incontrano Gesù presso il lago di Genesaret (cf. il vangelo): mentre da una parte provano sgomento, perché, come Isaia, davanti alla santità di Dio scoprono il proprio peccato, dall’altra sono affascinati da questo incontro e trovano il senso della loro vita, scoprono la loro missione. Come afferma san Paolo nella seconda lettura, essa consisterà nell’annunciare l’opera di salvezza del Signore. Non c’è missione senza un’esperienza di Dio.

 

La missione d’Isaia, quella di Pietro, di Giacomo e Giovanni, e quella di Paolo nascono da una profonda e personale esperienza di Dio. Colto di stupore per la pesca straordinaria Pietro reagisce come Isaia che vede la gloria del Signore nel tempio di Gerusalemme. Le loro vite da ora in poi saranno profondamente trasformate da questa esperienza. Fare esperienza della vicinanza di Dio è possibile a tutti noi. Se guardiamo con fede il mondo e gli eventi della storia, vi possiamo trovare sempre la trasparenza diafana della rivelazione del Signore. Ma Dio ci si rivela soprattutto attraverso la sua Parola che è il Figlio suo incarnato. Il brano evangelico odierno inizia affermando che la folla faceva ressa intorno a Gesù “per ascoltare la parola di Dio”. È questa stessa parola che ascoltata da Pietro, Giovanni e Giacomo, li trasforma in discepoli di Gesù e continuatori della sua opera. Essi, dice il vangelo, “tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono”. È l’inizio di una vita nuova che rompe con il passato per proiettarsi verso un futuro affascinante e fecondo. 

 

Il canto al vangelo, tratto da Gv 15,16, ci ricorda che tutti noi siamo stati scelti perché portiamo frutti duraturi di salvezza. La Chiesa ha sempre sentito l’esistenza cristiana come una chiamata, una vocazione: san Paolo afferma un parallelismo reale tra lui che è “apostolo per chiamata” (Rm 1,1) e i cristiani di Roma che sono “santi per chiamata” (Rm 1,7) o quelli di Corinto che sono stati “santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata” (1Cor 1,2). Ogni chiamata è fondata sul fascino e sulla potenza della parola di Dio sperimentata. Ognuno di noi è chiamato personalmente a “lasciare…” per poter “seguire” Gesù ed essere, come dice san Paolo di se stesso, testimone della risurrezione di Cristo. Oggi l’umanità crederà alla risurrezione di Cristo non per i testimoni di ieri ma per quelli di oggi, che siamo tutti noi, solo però se imiteremo quelli di ieri con fedeltà e generosità. Cristo non ha altro corpo visibile che quello dei cristiani, non ha altro amore da mostrare che il nostro.

 

domenica 2 febbraio 2025

IL RITO E IL SACRO

 



Fin dalle origini della Chiesa sono apparsi alcuni riti, necessari a chi appartiene al popolo di Dio per la manifestazione, l’epifania della comunione. Il battesimo, la cena del Signore, l’imposizione delle mani sono riti che da sempre hanno accompagnato i cristiani e sempre li accompagneranno. Senza segni, senza epifanie, senza dire l’uno all’altro la nostra fede, non è possibile per noi essere discepoli di Gesù. Ha scritto Louis-Marie Chauvet: “La buona salute della fede cristiana è legata non a un rigetto del rito, ma a una sua gestione critica, e ciò suppone che esso sia costantemente evangelizzato. È importante a questo riguardo ricordare che il cuore della liturgia e dei sacramenti cristiani non è il rito, bensì la parola di Dio: è sempre questa parola che in essi avviene, ma vi avviene sotto forma rituale”.

Tale ritualità tuttavia – non va dimenticato – rischia sempre di essere ambigua, o addirittura falsa e ipocrita, come denunciavano i profeti: basta che sia ritualità non accompagnata dalla verità e dalla concretezza della realizzazione nella vita per diventare “abominio, delitto e solennità” (cf. Is 1, 13): liturgia grandiosa, magari faraonica, ma pure scena religiosa mondana.

Sollecitudine per la liturgia sì, sollecitudine per il sacro no!

Fonte: Enzo Bianchi, Rinascere. Il futuro del cristianesimo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2024, pp. 68-69.

venerdì 31 gennaio 2025

PRESENTAZIONE DEL SIGNORE – 2 Febbraio 2025

 



 

 

Ml 3,1-4: Sal 23 (24); Eb 2,14-18; Lc 2,22-40

 

La festa della Presentazione del Signore idealmente si colloca alla fine del ciclo natalizio e prelude a quello pasquale. Infatti, nella presentazione al tempio Cristo è offerto e si offre come vittima sacrificale al Padre, offerta che si consumerà sulla croce. Come ricorda la seconda lettura (Eb 2,14-18), Cristo è veramente sacerdote nell’offrire se stesso per i peccati del popolo. In questo mistero, Maria ha un ruolo importante: la Madre offre il Figlio e insieme è offerta al Padre dal Figlio. Secondo la legge di Mosè ogni primogenito ebreo è chiamato “santo”, cioè proprietà del Signore e a lui consacrato quale geloso possesso. Eventualmente può essere riscattato con un’offerta sacrificale (cf. Es 13,2.12.15; Lv 12,2-6.8; 5,11). Gesù è offerto a Dio, come primogenito, e riscattato con l’offerta dei poveri. La lettura evangelica, oltre a sottolineare l’osservanza della legge da parte di Giuseppe e Maria, indica la città santa di Gerusalemme come punto di partenza della salvezza portata da Gesù. I due vecchi, Simeone e Anna, che incontrano Gesù, rappresentano il popolo di Dio in attesa della salvezza promessa. Come si dice all’inizio della benedizione delle candele, Gesù “veniva incontro al suo popolo, che l’attendeva nella fede”. Perciò in Oriente, ma anche in Occidente, la festa è stata chiamata Hypapanté (= incontro).

 

Nel salmo responsoriale, in un crescendo di grande potenza sonora, le porte del tempio sono invitate a spalancarsi, sollevando i loro frontoni e i loro archi per accogliere il Re della Gloria che entra nel suo tempio. Il tempio è anche evocato nel brano del profeta Malachia, proposto come prima lettura: il profeta annuncia l’arrivo di un messaggero di Dio che entra nel tempio e attraverso un giudizio purificatorio, prepara un sacerdozio puro destinato a offrire a Dio l’oblazione pura e santa di Giuda e di Gerusalemme. La liturgia odierna vede in questo messaggero di Dio che entra nel tempio per purificarlo, la presentazione di Gesù al tempio di Gerusalemme e la purificazione di sua madre Maria in ossequio alla legge mosaica.

 

Ma Maria va al tempio soprattutto per associarsi all’offerta del Figlio. Maria e Giuseppe, presentando il Bambino, riconoscono che Gesù è “proprietà” di Dio ed entra nel piano dell’attuazione del disegno divino perché “è salvezza e luce per tutti i popoli”. Nel mistero della Presentazione Gesù comincia la sua missione nei riguardi del tempio e dell’intero popolo. Al pari dei profeti, Gesù professa per il tempio un profondo rispetto; vi si reca per le solennità come ad un luogo d’incontro con il Padre suo; ne approva le pratiche cultuali, pur condannandone lo sterile formalismo; con un gesto profetico, scaccia i mercanti dal tempio e afferma che esso è casa di preghiera. E tuttavia annuncia la rovina dello splendido edificio, di cui non rimarrà pietra su pietra. Gesù stabilisce un culto verso il Padre “in spirito e verità” (Gv 4,23), un culto non più legato al tempio o a qualsiasi altra località geografica o sacra. Si tratta del culto che Cristo compie nell’offerta della sua vita, adempimento efficace e definitivo di tutti i molteplici sacrifici e riti anticotestamentari.

 

domenica 26 gennaio 2025

LITURGIA DELLE ORE PER TUTTI

 



Arnaud Join-Lambert, Mistero pasquale e Liturgia delle Ore. Una proposta innovativa per tutti (Guide 38), Queriniana, Brescia 2024. 156 pp. (€ 18,00).

Liturgia delle ore, Ufficio divino, Breviario sono espressioni che si riferiscono tutte alla stessa pratica, quella della preghiera quotidiana della chiesa, composta principalmente dalla recita dei salmi. Non si tratta di una prerogativa del clero o dei monaci: il concilio Vaticano II ha voluto estendere la pratica – in linea di principio – a tutta quanta la comunità ecclesiale.

Join-Lambert, liturgista e pastoralista di fama internazionale, individua proprio il mistero pasquale come chiave per intendere il significato profondo di questa preghiera, con l’obiettivo di contribuire al suo rinnovamento.

In una prima sezione a carattere storico, egli rintraccia le origini antiche di questa prassi, fino alla riforma del XX secolo. Poi si concentra sugli aspetti teologici e pratici, esaminando il perché, il chi, il quando, il come e il dove della liturgia delle ore. Infine, in una terza sezione, fa emergere prospettive e proposte innovative per renderla una vera e propria esperienza spirituale, integrata nella vita quotidiana.

E così Join-Lambert ci mette in grado di osare, con creatività, un rilancio: rifondare la pratica della liturgia delle ore come fonte di rinnovamento per ogni battezzato che voglia vivere da discepolo di Cristo.

(Quarta di copertina)   

venerdì 24 gennaio 2025

DOMENICA III DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 26 Gennaio 2025 DOMENICA DELLA PAROLA

 

 

 

 

Ne 8,2-4a.5-6.8-10; Sal 18 (19); 1Cor 12,12-30; Lc 1,1-4; 4,14-21

 

Il Sal 18 è un meraviglioso inno che celebra la Sapienza di Dio, il quale ordina e regge l’universo e dirige e vivifica lo spirito e il cuore dell’uomo. La seconda parte dell’inno, da cui è tratto l’odierno salmo responsoriale, è un testo didattico sulla legge. L’autore tesse l’elogio della legge divina: essa è pura, radiosa ed eterna; rinfranca l’anima e dona saggezza ai semplici. La legge fondamentale dell’alleanza, cioè il Decalogo, nella Bibbia è detta semplicemente “le dieci parole” (Es 34,28; Dt 4,13; 10,4). All’uomo che cerca il perché del mondo, della vita, Dio offre la sua Parola., che è Parola viva, sicura, indirizzo per la nostra esistenza; Parola divenuta persona, uno di noi, Gesù il nostro Salvatore. In Cristo Gesù la legge è stata adempiuta una volta per tutte (cf. Mt 5,17). Perciò per il cristiano l’osservanza della legge si risolve in un rapporto personale d’amore con Cristo.

 

Nelle tre letture odierne, ritorna ripetutamente il tema della legge/parola di Dio. È una legge fatta di precetti, quella presentata da Esdra ai rimpatriati dall’esilio babilonese (prima lettura). È una legge interiore, come la vita dentro il corpo, che muove le membra a svolgere ciascuna una missione, quella presentata da san Paolo ai cristiani di Corinto (seconda lettura). E applicando a noi le parole di Gesù pronunciate nella sinagoga di Nazaret (vangelo), questa legge interiore è lo Spirito Santo che è sopra di noi e ci spinge e ci guida ad agire in una maniera liberante, significativa per noi e per gli altri. Le tre letture bibliche ci danno l’idea di una legge/parola, che viene via via interiorizzandosi, fino a diventare uno spirito che si compenetra col nostro spirito secondo le parole di Gesù: “Lo Spirito del Signore è sopra di me”.

 

Il Catechismo della Chiesa Cattolica (n.108) afferma, citando san Bernardo di Chiaravalle, che “il cristianesimo è la religione della parola di Dio, non di una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente”. Il Dio della Bibbia, a differenza degli idoli dei pagani, non è un dio muto. È un Dio vivente, che parla all’uomo in molteplici modi. È soprattutto in Cristo che la parola di Dio prende corpo e si rivolge all’uomo, e da scrittura o semplice parola diventa persona. Tutte le parole della Bibbia ci parlano di Cristo, come profezia o come evento. Ha detto bene il grande Dottore della Scrittura, san Girolamo, che “ignorare le Scritture è ignorare Cristo”. Abbiamo sentito le parole di Gesù nella sinagoga, che dopo aver letto un brano del profeta Isaia, si rivolge ai presenti con questa solenne affermazione: “Oggi è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. Con altrettanta chiarezza, Gesù, la sera della sua risurrezione appare agli apostoli e dice: “bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi” (Lc 24,44). In Cristo tutte le promesse di Dio diventano “sì” (cf. 2Cor 1,20).

 

Nella parola di Dio che viene proclamata ogni domenica nell’assemblea eucaristica è Cristo stesso che parla a noi, ci si rivela e ci interpella. Egli continua ad annunziare la buona novella della salvezza. Per questo l’ascolto e l’accoglienza della Parola diventa sempre esperienza gioiosa dell’oggi della salvezza. Forse la nostra cultura ha perso un po’ il senso e il valore della parola e, quindi, anche della parola di Dio. Forse anche noi la pensiamo come l’imperatore Marco Aurelio che diceva: “il linguaggio serve per nascondere il pensiero degli uomini”. Non di rado le nostre parole sono parole vuote, finte, incoerenti con la vita. La parola di Gesù invece è, come egli stesso ha detto, “spirito e vita” (Gv 6,63).

 

domenica 19 gennaio 2025

ORDO ROMANUS PRIMUS

 



Giovanni Zaccaria (a cura di), Ordo romanus primus, Introduzione, testo latino-italiano, Glossario, Concordanza verbale, Bibliografia (Veritatem inquirere 17), EDUSC, Roma 2024. 200 pp. (€ 25,00).

Sono lieto di presentare quest’ottima edizione del Ordo romanus primus con le stesse parole della quarta pagina di copertina.

L’Ordo romanus I è il più antico testimone completo giunto fino a noi della celebrazione eucaristica papale a Roma. Si tratta di un testo risalente alla seconda metà del VII secolo e che è stato tramandato tramite manoscritti romani e gallicani.

Il presente volume avvia allo studio di questa fonte attraverso diverse prospettive: i saggi introduttivi permettono al lettore di districarsi in mezzo alle complesse vicende della Roma dell’epoca (K. Ginter) e a quelle che hanno dato origine agli ordines e, dunque, al testo stesso (F. Bonomo), per poi entrare nello specifico della descrizione della celebrazione (L. Żak) e di alcuni degli elementi teologici che emergono dalla lettura dell’Ordo (G. Zaccaria).

Il cuore del volume è costituito dalla traduzione all’italiano con il testo originale a fronte, che permette anche a chi non ha familiarità con la lingua latina di accostarsi a questo importante documento liturgico.

Infine una concordanza verbale (A. Toniolo) permette a chi si dedica agli studi di teologia liturgica e non solo, di accedere al testo da un punto di vista differente ma altrettanto importante.

venerdì 17 gennaio 2025

DOMENICA II DEL TEMPO ORDINARIO( C ) – 19 Gennaio 2025

 



 

 Is 62,1-5; Sal 95 (96); 1Cor 12,4-11; Gv 2,1-11

 

In questa domenica ci viene proposta la scena semplice e toccante del miracolo delle nozze di Cana. Gesù si trova con sua madre Maria ed i suoi discepoli ad una festa di nozze nella cittadina di Cana di Galilea. Venendo a mancare il vino, Gesù cambia sei giare d’acqua in vino. Ciò che sembra interessare particolarmente a san Giovanni, che racconta il fatto, è che con questo primo miracolo Gesù ha manifestato la sua gloria ed i discepoli hanno creduto in lui. Questo prodigio, come i restanti miracoli compiuti da Gesù, sono chiamati da san Giovanni “segni”, in quanto mostrano che Gesù è il Figlio di Dio, il Messia, il Salvatore atteso.

 

La presenza di Maria non è una presenza di contorno, ma determinante e attiva. E’ Lei infatti a provocare l’intervento di Gesù. Alle parole di Maria “Non hanno più vino”, Gesù risponde: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”. Ma quale ora? Con Gesù giunge l’ “ora” attesa annunciata dai profeti: in lui Dio manifesta la sua gloria afferma san Giovanni, facendo eco alle parole del profeta Isaia che abbiamo ascoltato nella prima lettura: “Allora le genti vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria”. Secondo il vangelo di Giovanni, la gloria nascosta di Dio è apparsa nel Cristo fra gli uomini (cf. Gv 1,14; 11,4.40) ed è riconoscibile attraverso la fede (cf. Gv 2,11). Il dono della fede fa sì che i discepoli intravedano nel miracolo o “segno” operato da Gesù a Cana la presenza di Dio che salva. Il gesto compiuto da Gesù alle nozze di Cana è quindi una “epifania” messianica, cioè una manifestazione di ciò che egli è e della sua missione salvifica.

 

Nell’Antico Testamento la felicità promessa da Dio ai suoi fedeli è espressa sovente sotto la forma di una grande abbondanza di vino, come si vede negli oracoli di consolazione dei profeti d’Israele. Gesù, col miracolo dell’acqua cambiata in vino mostra che è cominciata l’era messianica in cui Dio comunica in abbondanza i suoi beni. Il momento culminante di quest’era sarà costituito dalla morte e risurrezione di Cristo, cioè dal mistero della sua pasqua. A questa fase culminante della sua opera si riferisce Gesù quando dice a Maria sua madre: “Non è ancora giunta la mia ora” (cf. Gv 7,30; 8,20; 12,23.27; 13,1; 17,1). In ogni caso, il vino nuovo che egli fornisce miracolosamente a Cana è già segno del dono completo della redenzione offerto sulla croce e perennemente presente nel sacrificio dell’altare: il vino distribuito in abbondanza è segno del sangue che sgorga dal costato di Gesù in croce, sangue della nuova ed eterna alleanza, versato per noi e per tutti in remissione dei peccati.

 

La salvezza attesa dai profeti e compiuta da Cristo è sempre presente in mezzo a noi nei segni del pane e del vino dell’Eucaristia che celebriamo in obbedienza alle parole del Salvatore: “Fate questo in memoria di me”. Ci possiamo domandare se per noi la partecipazione alla santa Messa è veramente un incontro di fede con il nostro Salvatore, un momento in cui riscopriamo il senso della nostra vita cristiana come vita di comunione con Dio e con i fratelli e sorelle, un momento di gioia e di grazia.

 

domenica 12 gennaio 2025

IL CULTO DONO E COMPITO

 



Andrea Grillo (ed.), Il dono e il compito del culto. Il sacramento come officium (Giornale di Teologia 462), Prefazione di Alceste Catella, Queriniana, Brescia 2024. 278 pp. (€ 22,00).

Questo libro conduce a riscoprire una antica concezione del sacramento come officium, ossia come “compito” per i credenti, conferendole al tempo stesso uno statuto più chiaro e convincente.

Prima parte: Il “genere” del sacramento per istruire la questione.

Seconda parte: Verifiche del modello in tre aree storiche e disciplinari: Dio assume le nostre buone operazioni di Zeno Carra; Tre luoghi simbolici del sacramento: l’officium, il sanctificare e il signare di Claudio U. Cortoni; Alcune pratiche rituali con esito sistematico diverso di Marco Gallo.

Terza parte: Distinzioni sistematiche, esperienza rituale della fede e prospettive pastorali.

Postfazione, di Giovanni Grandi.

venerdì 10 gennaio 2025

DOMENICA DOPO L’EPIFANIA: BATTESIMO DEL SIGNORE ( C ) 12 Gennaio 2025

 


 

Is 40,1-5.9-11; Sal 103 (104); Tt 2,11-14; 3,4-7; Lc 3,15-16.21-22

 

In questa domenica, che è ancora in qualche modo una eco del tempo di Natale - Epifania, celebriamo il battesimo di Gesù al Giordano, in cui egli si rivela alle folle come il “Figlio prediletto” di Dio, sul quale scende lo Spirito Santo, colui che battezza “in Spirito Santo e fuoco” (vangelo). Le altre due letture chiariscono ulteriormente la figura e missione del Messia: egli “viene con potenza” a liberare l’uomo dalla sua “schiavitù” (prima lettura), “con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo” (seconda lettura).

Luca, secondo una sua prospettiva frequente, colloca il battesimo di Gesù in un atto di preghiera. La differenza dalle parallele rappresentazioni di Marco e Matteo è tutta in questa “preghiera”. La teofania contemplata da Gesù dopo il suo battesimo costituisce l’epilogo naturale e il vertice della sua preghiera. I cieli si aprono come risposta alla preghiera di Gesù e lanciano un annuncio che definisce la realtà autentica dell’uomo–Gesù: egli è il Figlio di Dio. In lui, perciò, la presenza di Dio è perfetta; egli possiede in forma definitiva lo Spirito di Dio.   

 

Gesù col battesimo nel Giordano inizia la sua vita pubblica. Perciò il gesto del battesimo è, da parte di Gesù, l’accettazione e l’inaugurazione della sua missione di Servo sofferente. Accentando il battesimo dalle mani di Giovanni, Gesù si fa solidale con i peccatori, lui che è senza peccato; accetta cioè la sua missione di redentore dei nostri peccati, prende su di sé il peccato del mondo per portarlo via dal mondo. A questo atteggiamento di Gesù di totale disponibilità a compiere la volontà divina risponde la voce del Padre: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te io ho posto il mio compiacimento”, e lo Spirito Santo scende su di lui. Gesù diventa così la sorgente dello Spirito per tutta l’umanità.

 

La missione di Gesù è quindi tutta quanta in funzione della nostra salvezza. Ecco perché il battesimo con cui egli inizia la sua missione è anche da interpretarsi in funzione del nostro battesimo (cf. l’orazione colletta). Celebrare il battesimo di Gesù significa prendere coscienza del nostro battesimo, di ciò che questo sacramento significa per la nostra vita. Il battesimo di Gesù non è stato solo un momento, ma è stata espressione di tutta la sua vita, una vita di appartenenza al Padre e ai fratelli. Nel battesimo che noi abbiamo ricevuto nel nome di Cristo, figlio amato, anche noi siamo diventati figli di Dio e anche noi abbiamo ricevuto in dono lo Spirito Santo. La partecipazione sacramentale al mistero pasquale di Cristo operata dal battesimo rende attuale per noi l’intera vicenda salvifica di Gesù, come dono e come impegno. Il battesimo, infatti, ci inserisce nella vita e nella missione della Chiesa e, attraverso di essa, nella missione del Figlio e dello Spirito Santo. Il sacramento del battesimo non è soltanto un mezzo di salvezza per noi stessi, ma contemporaneamente una responsabilità in vista della salvezza di tutti. In questo modo pure noi, al seguito di Gesù, siamo chiamati ad accogliere la volontà del Padre e ad aprirci alla solidarietà con i fratelli, con gli uomini, con il mondo. Il battesimo che abbiamo ricevuto è in noi un continuo richiamo a vivere una vita al servizio della salvezza degli uomini nostri fratelli.

 

Il battesimo di Gesù al Giordano è simbolo di ciò che egli avrebbe compiuto nella realtà della vita, offrendosi come agnello di Dio sulla croce per i nostri peccati, mistero che si ripresenta sacramentalmente nella celebrazione eucaristica.

 

lunedì 6 gennaio 2025

IL SACRO

 



 

La sacralità è così ambigua che ha bisogno di essere costantemente evangelizzata. Il vocabolario biblico non è infatti quello del “sacro” (sono piuttosto i dèi pagani che vengono sacralizzati), ma quello del “santo”. Ecco perché, se c’è del sacro in liturgia, questo è al servizio della santificazione di ciò che le nostre lingue occidentali, direttamente o indirettamente dipendenti dalla lingua latina, chiamano “profano”, e non della sacralizzazione: il profano deve essere lasciato alla sua “profanità”, se mi è permesso di usare questa parola un po’ barbara, cosa che la sua sacralizzazione non può fare, perché la sacralizzazione funziona come “messa a parte” dell’oggetto, della persona, del luogo, e presuppone il suo allontanamento dal mondo dell’ordinario per essere consacrato alla divinità. Al contrario, la santificazione di ciò che rimane profano è possibile al punto che anche il vocabolario sacrificale usato in prospettiva cristiana nel Nuovo Testamento viene “dirottato” in questo senso. Tra la quindicina di esempi presenti nel Nuovo Testamento, ne spiccano due:

 

“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare il vostro corpo – tutta la vostra persona – come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, questo è per voi il modo giusto di rendergli culto” (Rm 12,1).

“Per mezzo di Gesù, dunque, offriamo a Dio continuamente un sacrificio di lode, cioè le parole delle nostre labbra che confessano il suo nome. Non dimenticatevi di essere generosi e di condividere i beni, perché di tali sacrifici il Signore si compiace” (Eb 13,15s.).

 

Così è la stessa sua vita che il cristiano è chiamato a offrire come sacrificio spirituale, come culto capace di “placare Dio” e in particolare proprio in questa vita “profana”, come cura concreta per gli altri. Ricordiamo che le basi erano già state largamente gettate dai profeti, come mostrano le tre citazioni fatte in precedenza (Os 6,6; Is 29,13; Ger 7,9-11); la novità cristiana sta nel fatto che questo chiarissimo movimento verso la spiritualizzazione del sacrificio e di tutto il sacro in generale è legato al Signore Gesù e all’offerta che egli ha fatto della propria vita, offerta interpretata, in termini ebraici, come “sacrificio di soave odore (Ef 5,2).

 

La Lettera agli Ebrei in tal senso è esemplare: rileggendo tutta la prima alleanza dal punto di vista del culto del tempio (cioè del sacerdozio e dei sacrifici), vede in Gesù il nuovo e unico sommo sacerdote che porta a compimento il sacerdozio del tempio. La sua novità e unicità risiedono nel fatto che, nell’antica alleanza, la consacrazione del sommo sacerdote comportava una ritualità di separazione che lo “strappava” dalla sua umanità di “troppo umano” per poter esercitare l’ufficio di intermediario sacerdotale tra Dio e gli uomini, mentre la consacrazione di Gesù come sommo sacerdote avviene, al contrario, per il fatto che egli si immerge nella nostra umanità sino a farsi “in tutto nostro fratello” (Eb 2,17) e a condividere così le nostre sofferenze e la nostra morte.

 

Tutto ciò mostra chiaramente il rovesciamento operato dalla fede cristiana: “rovesciamento”, non “sostituzione”. La sacralità, che è necessaria, rimane, ma è lì solo per essere meglio dirottata a vantaggio di ciò che sintetizza tutta la Torah: il duplice amore per Dio e per l’altro; o meglio, l’amore per Dio che si compie nell’amore per l’altro. “Chi ama l’altro ha adempiuto tutta la Legge” (Rm 13,8), scriveva san Paolo.

 

Fonte: cfr. Louis-Marie Chauvet, La Messa detta altrimenti. Ritornare ai fondamentali, Queriniana, Brescia 2024, pp. 16-18.

domenica 5 gennaio 2025

EPIFANIA DEL SIGNORE – 6 Gennaio 2025

 



 

Is 60,1-6; Sal 71; Ef 3,2-3a.5-6; Mt 2,1-12

 

Il salmo responsoriale, proiettando lo sguardo oltre gli orizzonti storici del tempo in cui fu scritto, annuncia una salvezza, che verrà offerta dal Messia, senza limiti geografici e sociali: la sua giustizia sarà perfetta, il suo dominio universale, il suo regno eterno, il cosmo intero sarà coinvolto nella pace offerta in abbondanza dal Signore.

 

Anche il brano di Isaia, proposto come prima lettura annuncia, dopo l’umiliazione dell’esilio, lo splendore futuro di Gerusalemme, il brillante avvenire della città santa e la sua vocazione universale. Di questa vocazione è erede la Chiesa di Gesù: essa è la nuova Gerusalemme chiamata ad illuminare tutti gli uomini con la luce di Cristo che si riflette sul suo volto (cf. Costituzione Lumen Gentium, n.1). Sulla stessa linea d’onda, la seconda lettura parla di un “mistero” manifestato attraverso il ministero degli apostoli e dei profeti, secondo cui “i gentili sono chiamati, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”. Di fronte al Signore che viene, ciò che conta non è la razza o la cultura o la prudenza umana, ma soltanto la disponibilità della fede e l’attenzione ai segni dei tempi. Infatti, vediamo che la salvezza, offerta a tutti gli uomini, è accolta in primo luogo dai “lontani”. Coloro che conoscevano le Scritture, scribi e farisei, non hanno cercato e perciò non hanno trovato il Messia. I Magi, invece, si sono messi in cammino, hanno indagato, chiesto e trovato. Per trovare Gesù occorre assumere l’atteggiamento dei Magi: cercare il Signore; vedere i segni della sua presenza; andare al suo incontro. Il senso dinamico della fede si esprime poi nella chiamata a rendere testimonianza, ad annunziare a tutti la salvezza sperimentata, come i Magi nel loro ritorno da Betlemme. La buona novella del vangelo è indirizzata a tutti e deve perciò essere annunciata a tutti.

 

La simbologia della luce, già presente nella liturgia natalizia, la ritroviamo nella liturgia dell’Epifania con una sottolineatura particolarmente “epifanica” che si proietta sul mondo intero: “Oggi in Cristo luce del mondo tu hai rivelato ai popoli il mistero della salvezza…” Queste parole del prefazio invitano ad interpretare in senso cristologico la luce di cui parlano la prima lettura e il brano evangelico. La luce è il simbolo della presenza e del rivelarsi di Dio all’umanità che si realizza pienamente in Cristo. L’Apocalisse chiama il Cristo “la stella del mattino” (Ap 2,28; 22,16). Nella preghiera dopo la comunione supplichiamo Dio affinché questa sua luce “ci accompagni sempre in ogni luogo…”

 

Il nocciolo del messaggio dell’Epifania è quindi che Dio si manifesta, si fa uomo e chiama tutti a sé nel suo regno. Dice san Leone Magno: “Celebriamo nella gioia [...] l’inizio della chiamata alla fede di tutte le genti” (Liturgia delle Ore: Ufficio delle letture, seconda lettura). L’Epifania ci ricorda che Cristo è venuto per chiamare alla salvezza tutta l’umanità, simbolicamente rappresentata dai Magi di cui parla il vangelo. La Chiesa non può tenere per sé questo mistero, ma deve annunciarlo al mondo. Essa non può venir meno a questo compito che la rende insieme destinataria e serva della buona novella del vangelo. Ecco, dunque, che la solennità dell’Epifania diventa la logica e naturale conclusione del Natale e proietta tutti noi, come i pastori e come i Magi, sulle strade del mondo per annunciare a tutti gli uomini le meraviglie di Dio.

 

venerdì 3 gennaio 2025

II DOMENICA DOPO NATALE – 05.01.2025

 



 

Sir 24,1-4. 12-16; Sal 147; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18

 

 

In questa domenica non celebriamo nessuna festa particolare; viene riproposto alla nostra attenzione ancora il mistero del Natale.

 

Il tema ricorrente nelle letture bibliche d’oggi è quello della Sapienza: essa è elogiata nel brano della prima lettura, dove esprime il concreto agire di Dio nella storia della salvezza del Popolo eletto che ha raggiunto il suo massimo culmine nel Verbo - Sapienza di Dio fatto carne, di cui parla il vangelo d’oggi, e continua in tutti i credenti nel Signore Gesù attraverso il dono dello Spirito “di sapienza e di rivelazione”, di cui parla la seconda lettura. Nel suo misterioso disegno Dio ha rivelato se stesso attraverso la storia dell’antico popolo d’Israele ed infine ha piantato stabilmente la sua tenda in mezzo a noi per mezzo del Verbo fatto carne, la Sapienza di Dio fatta persona umana. A partire dal Natale, “abita” definitivamente in noi Cristo, “Sapienza” che ci rivela il Padre e dona la “benedizione” dello Spirito. In Cristo ci viene rivelato non solo il mistero di Dio ma anche il mistero della persona umana.

 

Ci interessa veramente conoscere chi è Dio? Per noi cristiani, Dio non è un principio cosmico anonimo, un’entità astratta, ma è entrato nel nostro orizzonte storico in modo concreto nella figura di Gesù. Conoscere Dio vuol dire riconoscerlo come colui che invia il Figlio, Gesù il Cristo; vuol dire accettarlo come colui che si dona a noi mediante il Figlio; vuol dire, infine, scoprire Dio come Padre dell’Unigenito e come nostro Padre. In definitiva, è la coscienza filiale di Gesù che costituisce la norma della fede cristiana in Dio, nel Padre. Perciò il nostro rapporto con Dio è principalmente con il Padre di Gesù Cristo. San Giovanni dice: “Sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere il vero Dio” (1Gv 5,10 - Primi vespri, lettura breve). L’evento del Natale ci permette di comprendere il mistero di Dio attraverso i tratti umani di Gesù. Egli è l’immagine visibile e il volto umano di Dio Padre.

 

Chi è la persona umana? L’uomo moderno è spesso disorientato: non sa bene chi sia e dove vada. Di qui la sua angoscia, la sua insicurezza, o le false sicurezze cui si affida. Alla luce della fede, sappiamo che la nostra esistenza non è un vagare senza meta. In Cristo, nel suo modo di vivere, nei principi che hanno regolato la sua esistenza, possiamo cogliere non solo chi è Dio per noi ma anche che cosa siamo noi per Dio. Il nostro vuoto esistenziale può essere riempito solo da Cristo, Sapienza di Dio. Gesù è “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6).         

 

mercoledì 1 gennaio 2025

GIUBILEO 2025

 



Enzo Bianchi, Lessico del Giubileo (Sentieri), EDB 2024. 92 pp. (€ 8,00)

Fratel Enzo Bianchi accompagna il pellegrino-lettore a conoscere e sperimentare il Giubileo biblico, ebraico e cristiano. Celebrare l’anno giubilare, particolarmente questo ordinario del 2025, come “Pellegrini di speranza” significa vivere un tempo forte, impegnarsi tutti insieme, ecclesialmente, ad accogliere la misericordia del Signore, rinsaldare la vita cristiana, unica vera testimonianza a Cristo. Questo testo è rivolto a chi si appresta a vivere il cammino giubilare, perché avrà la sapienza di tutti pellegrini che nella storia della fede ebraica e cristiana hanno camminato per strade si speranza.

(Quarta di copertina)