“Benedizione pastorale” è il nome dato alla nuova
modalità di benedizione introdotta dal Dicastero per la dottrina della fede con
la dichiarazione Fiducia supplicans sul senso pastorale delle benedizioni (18/12/2023),
che venne commentata dopo pochi giorni, il 4 gennaio 2024, in un Comunicato
stampa emanato per “aiutare a chiarire la ricezione”. Francesco Pieri fa
delle considerazioni interessanti al riguardo in un breve articolo pubblicato
in Rivista di pastorale liturgica (Liscia, solenne o… pastorale? Il
crinale sottile del benedire senza approvare: RPL n. 368, 1/2025, pp.
37-41). Di questo testo riproduco in seguito le conclusioni (senza le note a
pie pagina).
Alla precisa domanda su “come potrebbero essere
queste benedizioni” il card. Fernández ha proposto l’esempio di una coppia di
divorziati passati a nuova unione: Il sacerdote può recitare una semplice
orazione come questa: “Signore, guarda a questi tuoi figli, concedi loro
salute, lavoro, pace e reciproco aiuto. Liberali da tutto ciò che contraddice
il tuo vangelo e concedi loro di vivere secondo la tua volontà. Amen”. E
conclude con il segno della croce su ciascuno dei due. Si tratta di dieci o
quindici minuti.
Notiamo come la mancanza di un testo prestabilito
non coincide con l’assenza di un “rito” (sia pure ridotto ai minimi termini)
che si esprime nella preghiera e nel gesto benedicente. La stessa dinamica
della benedizione rimane ben riconoscibile: in risposta ad un’invocazione di
aiuto (dimensione ascendente), si formula una preghiera – rigorosamente
spontanea – che personalizza l’annuncio kerygmatico dell’amore di Dio
(dimensione discendente). Viene nella sostanza proposto un “rito non rituale”,
ossimorico nella sua stessa pretesa malgrado i notevoli sforzi concettuali
compiuti. Non c’è da stupirsi del pesante, ma assolutamente prevedibile
“contraccolpo” ecumenico (forse non ponderato a sufficienza nella fase di
preparazione della dichiarazione), subito manifestatosi nella reazione
risolutamente negativa della chiesa ortodossa greca e dello stesso Bartolomeo I,
nonché nella interruzione di ogni dialogo con la chiesa cattolica da parte
della chiesa ortodossa copta.
Dirò in conclusione come – a mio avviso – anche
un gesto estemporaneo e che prescinde intenzionalmente da ogni presupposto di
ordine morale non pare comunque esimere il ministro da un certo impegno previo
volto a conoscere la vicenda e le condizioni di vita di coloro che richiedono
la benedizione, il loro grado di formazione e di consapevolezza riguardo al
gesto che intendono compiere. Nel loro carattere prevalentemente negativo, le
indicazioni in merito alla estemporaneità della formula e quelle sul contesto
informale dello svolgimento di una “benedizione pastorale” intendono lasciare
aperto all’interpretazione e alla prassi un campo molto ampio, che può andare
dalla conoscenza dei soggetti tramite una regolare consuetudine di dialogo alla
quai mancanza di elementi precisi di valutazione. È in questo spazio che la
prassi e la discretio pastorale hanno una parte decisiva da svolgere.