Translate

domenica 6 luglio 2025

UN RITO NON RITUALE?

 



“Benedizione pastorale” è il nome dato alla nuova modalità di benedizione introdotta dal Dicastero per la dottrina della fede con la dichiarazione Fiducia supplicans sul senso pastorale delle benedizioni (18/12/2023), che venne commentata dopo pochi giorni, il 4 gennaio 2024, in un Comunicato stampa emanato per “aiutare a chiarire la ricezione”. Francesco Pieri fa delle considerazioni interessanti al riguardo in un breve articolo pubblicato in Rivista di pastorale liturgica (Liscia, solenne o… pastorale? Il crinale sottile del benedire senza approvare: RPL n. 368, 1/2025, pp. 37-41). Di questo testo riproduco in seguito le conclusioni (senza le note a pie pagina).

Alla precisa domanda su “come potrebbero essere queste benedizioni” il card. Fernández ha proposto l’esempio di una coppia di divorziati passati a nuova unione: Il sacerdote può recitare una semplice orazione come questa: “Signore, guarda a questi tuoi figli, concedi loro salute, lavoro, pace e reciproco aiuto. Liberali da tutto ciò che contraddice il tuo vangelo e concedi loro di vivere secondo la tua volontà. Amen”. E conclude con il segno della croce su ciascuno dei due. Si tratta di dieci o quindici minuti.

Notiamo come la mancanza di un testo prestabilito non coincide con l’assenza di un “rito” (sia pure ridotto ai minimi termini) che si esprime nella preghiera e nel gesto benedicente. La stessa dinamica della benedizione rimane ben riconoscibile: in risposta ad un’invocazione di aiuto (dimensione ascendente), si formula una preghiera – rigorosamente spontanea – che personalizza l’annuncio kerygmatico dell’amore di Dio (dimensione discendente). Viene nella sostanza proposto un “rito non rituale”, ossimorico nella sua stessa pretesa malgrado i notevoli sforzi concettuali compiuti. Non c’è da stupirsi del pesante, ma assolutamente prevedibile “contraccolpo” ecumenico (forse non ponderato a sufficienza nella fase di preparazione della dichiarazione), subito manifestatosi nella reazione risolutamente negativa della chiesa ortodossa greca e dello stesso Bartolomeo I, nonché nella interruzione di ogni dialogo con la chiesa cattolica da parte della chiesa ortodossa copta.

Dirò in conclusione come – a mio avviso – anche un gesto estemporaneo e che prescinde intenzionalmente da ogni presupposto di ordine morale non pare comunque esimere il ministro da un certo impegno previo volto a conoscere la vicenda e le condizioni di vita di coloro che richiedono la benedizione, il loro grado di formazione e di consapevolezza riguardo al gesto che intendono compiere. Nel loro carattere prevalentemente negativo, le indicazioni in merito alla estemporaneità della formula e quelle sul contesto informale dello svolgimento di una “benedizione pastorale” intendono lasciare aperto all’interpretazione e alla prassi un campo molto ampio, che può andare dalla conoscenza dei soggetti tramite una regolare consuetudine di dialogo alla quai mancanza di elementi precisi di valutazione. È in questo spazio che la prassi e la discretio pastorale hanno una parte decisiva da svolgere.