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lunedì 30 ottobre 2023

TUTTI I SANTI – 1 Novembre 2023

 



 

 

Ap 7,2-4.9-14; Sal 23; 1Gv 3,1-3; Mt 5,1-12a

 

Nella festa di tutti i Santi, siamo invitati a contemplare l’assemblea festosa dei nostri fratelli che glorifica in eterno il Padre e, al tempo stesso, a prendere coscienza che anche noi siamo in cammino verso la casa del Padre. Nel nostro pellegrinaggio sulla terra, Dio ci ha dato come “amici e modelli di vita” i santi (prefazio).

 

Nelle letture bibliche e nelle preghiere della Messa di questa solennità possiamo cogliere alcuni temi che illustrano diversi aspetti della santità. La prima lettura, tratta dall’Apocalisse, ci offre lo spettacolo della Gerusalemme celeste, popolata dagli eletti: si tratta di una “moltitudine immensa… di ogni nazione, tribù, popolo e lingua” che sta “in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello”. Questa moltitudine di eletti è indicata dal testo in “centoquarantaquattromila”, dodici volte dodici moltiplicato per mille, un numero simbolico che esprime pienezza. Il regno di Dio non è a numero chiuso, ma aperto a quanti accettano di purificare i loro peccati nel sangue dell’Agnello. La santità non è impresa per pochi eroi, ma tutti nella Chiesa siamo chiamati ad una vita santa, secondo il detto dell’Apostolo: “questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione” (1Ts 4,3). Tutti i fedeli di qualsiasi stato e grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità, “la pienezza dell’amore” (preghiera dopo la comunione). Ciascuno di noi è chiamato a diventare santo, cioè a realizzare in pieno la sua vocazione cristiana.

 

Il traguardo della santità è per tutti perché tutti siamo stati oggetto dell’amore di Dio. Infatti, la santità è anzitutto un dono che procede dal “Padre, unica fonte di ogni santità” (preghiera dopo la comunione). San Giovanni, nella seconda lettura, esalta il grande amore che ci ha dato il Padre fino a poter essere chiamati figli di Dio. Ecco, quindi, che il progetto del Padre è che noi siamo simili all’immagine del Figlio suo Gesù Cristo. La vicenda della santità, la cui radice è la filiazione divina, comprende per Giovanni due tappe, essendo progressiva: lo stadio iniziale, realizzato fin dagli inizi della vita cristiana, e il compimento futuro nella perfetta rassomiglianza col Figlio di Dio, quando “saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è”.

 

È santo quindi colui che assomiglia al Figlio di Dio. In questo contesto, le beatitudini proposte dal brano evangelico possono essere lette come il ritratto perfetto di Gesù Cristo. Egli ha vissuto l’ideale delle beatitudini e in lui uomo tutte le promesse di Dio si sono realizzate. Non siamo quindi di fronte a una pura utopia, ma a un programma di vita possibile per ogni discepolo di Gesù, che ha detto: “Imparate da me…” (Mt 11,29). Dietro ad ogni singola beatitudine si può cogliere l’identità di Cristo, uomo nuovo, che noi tutti siamo chiamati a seguire e a imitare.

 

Un nuovo interesse per la santità riaffiora nel nostro tempo. Ci si chiede come poter esprimere una profezia che parli attraverso l’autenticità della vita. Pur nella diffusa scristianizzazione, c’è una sete ardente di spiritualità. Per noi cristiani la santità è una condizione di esistenza che deriva dal rapporto con Dio, anzi è dono di Dio che ci accoglie come figli nel Figlio.

 

L’Eucaristia è la prefigurazione e l’anticipo del festoso banchetto del cielo. Essa è quindi anche un viatico cioè una provvista da viaggio. È come il pane che fortificò Elia  lungo il sentiero del deserto verso il monte di Dio.

 

venerdì 27 ottobre 2023

DOMENICA XXX DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 29 Ottobre 2023

 


 

Es 22,20-26; Sal 17; 1Ts 1,5c-10; Mt 22,34-40

 

 

Se vogliamo sintetizzare le prescrizioni del brano dell’Esodo, riportate dalla prima lettura, possiamo dire che Dio si prende cura con molto amore e tenerezza del povero e del debole ed ascolta i loro giusti lamenti. Ecco perché il Signore condanna lo sfruttamento e l’oppressione delle persone deboli e indifese, e ricorda che il valore della persona è sempre superiore alle cose.

 

Nel brano del vangelo d’oggi alla domanda di un dottore della legge su quali sia il più grande comandamento della legge, Gesù risponde: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore...” Ma aggiunge subito dopo: “Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso”. E conclude affermando che da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti. Gesù parla quindi dell’amore come dimensione globale dell’esistenza, di un amore che abbraccia appunto tutta l’esistenza ed è proiettato in modo inseparabile verso Dio e verso i nostri simili. Questa unità dei due comandamenti non comporta certamente la loro totale identificazione, ma significa che essi sono intrinsecamente associati e interconnessi. Noi siamo tentati di scindere le due cose, dando talvolta il primato a Dio e trascurando il prossimo. Il messaggio evangelico invece ci invita a coniugare i due amori, anzi ad unirli in modo che diventino una medesima esperienza di vita. L’esperienza dell’amore di Dio deve passare attraverso l’amore del prossimo, e viceversa. Questa sintesi è la vera novità cristiana in rapporto al messaggio dell’Antico Testamento. Per il cristianesimo la legge dell’amore diventa la suprema norma a cui tutto va orientato e da cui tutto si fa dipendere.

 

Se Dio ama la creatura umana, chiunque voglia amare Dio deve collocarsi sulla sua stessa lunghezza d’onda, deve amare anche i suoi simili. D’altra parte, come la creatura umana è unitaria, così le sue scelte di fede e di amore devono essere realtà unitarie. Sulla stessa linea, san Paolo nella seconda lettura ci ricorda che accogliere la parola di Dio significa abbandonare ogni idolatria per diventare seguaci, imitatori di Cristo e testimoni della sua carità.

 

L’amore è fatto non solo di parole, ma di cose concrete, di attenzione e sensibilità verso l’altro, soprattutto se questo è in condizione di debolezza ed è indifeso e proprio per questo, esposto maggiormente all’ingiustizia, allo sfruttamento e alla povertà.

 

L’eucaristia a cui partecipiamo è memoriale del sacrificio di Cristo, ed è quindi segno concreto ed espressivo nel segno sacramentale di un Dio che ci ama: “Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore” (antifona alla comunione - Ef 5,2).

 

domenica 22 ottobre 2023

RIVALUTAZIONE DELLA RITUALITÀ NEL PROTESTANTESIMO

 



 

Il rito è legato a un fare, a un'azione che la liturgia rappresenta, espone e richiede i movimenti del nostro corpo. La liturgia è anche linguaggio del nostro corpo; è un'affermazione che trova ancora difficoltà ad essere consapevolmente assunta nella dimensione liturgica protestante.

 

Parola e rito. gesti e simboli, partecipano tutti alla costruzione di un ordine di senso nell'ambito liturgico. È noto che il linguaggio rituale si situa lungo un'asse pragmatico più che semantico; funziona al livello dei significanti e delle figure che esso forma, e non in primo luogo, al livello dei significati e dei “contenuti” “ideali”. La legge fondamentale della liturgia, come ricorda Chauvet è: “Non dite ciò che fate, fate ciò che dite”. Tanto più, dunque, è necessario che la comunità sappia ciò che sta facendo! In questa prospettiva una lettura protestante del rito richiede un’integrazione non secondaria: “Fate ciò che dite… ma capite ciò che fate!”. Il capire ciò che si fa tiene aperta la dimensione ermeneutica del fare e combatte i rischi insiti nella ripetitività rituale che funziona anche senza l’intelligibilità.

 

Il rito è però anche sempre legato a un sistema di valori, a un “plusvalore simbolico” (W. Jetter) che lo rende strumento di integrazione simbolica. Il rito stabilisce il confine tra appartenenza e non appartenenza; nell’ambito del culto cristiano il rito partecipa alla costruzione delle “notae ecclesiae” in quanto rende visibile la comunità di fede (Gv 17,16). In questo processo di integrazione comunitaria a cui partecipa il rito, si struttura anche l’io del singolo credente in un processo di autoidentificazione, di rassicurazione e di protezione. Ma perché non nascano delle false sicurezze, anche questo “plusvalore simbolico” del rito ha bisogno di essere costantemente interrogato dalla dimensione della parola.

 

 

Fonte: Ermanno Genre, Il culto cristiano. Una prospettiva protestante (Piccola Biblioteca Teologica 66), Claudiana, Torino 20222, pp. 163-164 (non sono riportate le note)..

 

 

venerdì 20 ottobre 2023

DOMENICA XXIX DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 22 Ottobre 2023

 



 

 

Is 45,1.4-6; Sal 95; 1Ts 1,1-5b; Mt 22,15-21

 

Dio ha scelto l’imperatore persiano Ciro il Grande per far ritornare gli Ebrei in patria (cf. prima lettura) ridando in questo modo libertà e dignità al popolo di Dio. Il re persiano Ciro, che era un despota e non conosceva il vero Dio, diventa in questo modo strumento della misericordia del Signore. Il profeta intende dimostrare che Dio è presente e agisce nella storia, facendo notare come operi in e per mezzo di persone che vivono al di fuori del suo popolo. Ciò ci insegna che Dio è alla guida della storia e sceglie con libertà le vie e i mezzi più opportuni per realizzare il suo progetto. In questo modo il profeta fa una interpretazione della storia alla luce della fede.

 

La fede però, pur avendo il diritto di contemplare l’intervento di Dio nella storia e di dare la propria valutazione dei fatti, non può per questo negare o sottovalutare la responsabilità e i compiti che spettano a ciascuno di noi. Nel vangelo d’oggi ce lo ricorda Gesù con la sua famosa affermazione: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”, l’unico pronunciamento ‘politico’ esplicito di Gesù. Poche sentenze del Vangelo hanno avuto la fortuna di questa che ci viene oggi ricordata. Non sempre però è stata capita in modo giusto. Gesù, nella risposta al tranello che gli tendono i farisei e gli erodiani, non si schiera né con la reazione né con la rivoluzione. Un “sì” o un “no” sulla legittimità di pagare il tributo a Cesare poteva essere un valido pretesto per screditare Gesù presso l’autorità politica o presso quella religiosa su un tema molto dibattuto. Nella sua risposta, Gesù riconosce il potere romano come dominazione di fatto, anche se non entra in merito alla sua legittimità o meno. La risposta di Gesù suppone implicitamente che quando un cittadino paga le tasse non per questo sottrae qualcosa a Dio; anzi, proprio operando in questo modo egli obbedisce a Dio. Infatti, della volontà divina fa parte anche l’ordine economico, sociale, politico che è chiamato a governare secondo giustizia i rapporti tra gli uomini. Insomma, Dio e la politica si collocano su livelli diversi di esperienza, ma non si tratta di livelli contrapposti. Ciò non toglie la possibilità di conflitti che l’esperienza storica mostrerà ben frequenti. È compito di ogni credente discernere se un tipo di obbedienza richiestogli si collochi coerentemente entro la sua obbedienza a Dio oppure no. La persona umana non è un “animale” meramente politico, così come non è un “animale” meramente religioso. Le due dimensioni devono stare insieme per raggiungere i loro fini propri a beneficio della stessa persona umana, che è un essere indivisibile.

 

In ogni caso, non si può relegare Dio entro una sfera puramente interiore, tentazione frequente nei nostri giorni. Il cristiano deve far emergere nella sua vita personale e nei suoi rapporti con gli altri i valori in cui crede: la fede operosa, la carità matura e la speranza costante in Gesù Cristo. Così insegna san Paolo ai cristiani di Tessalonica (cf. seconda lettura). Come preghiamo nell’orazione colletta della Messa, dobbiamo sempre e in ogni circostanza servire il Signore “con cuore sincero”.




domenica 15 ottobre 2023

LITURGIE RIFORMATE: UN CANTIERE APERTO

 



Nel 1999, a cura del Moderamen del Reformierter Bund tedesco, è stato pubblicato un ampio e bel volume dal titolo Reformierte Liturgie. Gebete und Ordnungen für die unter dem Wort versammelte Gemeinde, sotto la direzione di Peter Bukowski. Può essere interessante sottolineare il fatto che si senta il bisogno, in occasione di questa nuova edizione della liturgia, dopo quella del 1983, di dire che si tratta di un “libro non-polemico”, un testo ecumenicamente aperto, e che cerca al tempo stesso un equilibrio fra sensibilità diverse nell'ambito riformato. Nell'introduzione si afferma di aver voluto accettare la sfida di un testo liturgico che ha cercato di mantenere un equilibrio tra la capacità di raggiungere un consenso e un'attitudine che vorrebbe affermare una propria posizione. L'uso della parola equilibrio significa - per fare un esempio concreto - che in questa liturgia si è dato spazio e si è tematizzato non soltanto la relazione d'amore tra uomo e donna, ma si è voluto dare spazio, nella preghiera di intercessione, anche alla relazione d’amore omosessuale. Non si è ritenuto però, proprio per non compromettere il consenso delle chiese, il dover introdurre una formula liturgica di benedizione di una coppia omosessuale, anche se alcune chiese sono entrate in questa ottica. Un ulteriore segno di innovazione di questa liturgia è la riformulazione della relazione tra ebrei e cristiani; si riconosce anche da un punto di vista liturgico, “una particolare colpa [Schuld] delle chiese tedesche verso gli ebrei”.

 

Fonte: Ermanno Genre, Il culto cristiano. Una prospettiva protestante (Piccola Biblioteca Teologica 66), Claudiana, Torino 20222, p. 42.

 

venerdì 13 ottobre 2023

DOMENICA XXVIII DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 15 Ottobre 2023

 


 

 

Is 25,6-10a; Sal 22; Fil 4,12-14.19-20; Mt 22,1-14

 

Con questa domenica, mentre l’anno liturgico volge verso la fine, i testi della liturgia cominciano a mettere l’accento sui temi delle ultime realtà. Ciò viene fatto oggi adoperando l’immagine biblica ben conosciuta del “banchetto”. Il banchetto è una concreta espressione di gioiosa convivialità. I profeti, soprattutto Isaia, paragonano volentieri la felicità degli eletti a quella dei convitati chiamati da Dio a partecipare a un sontuoso banchetto. La prima lettura, tratta dal profeta Isaia, servendosi dell’immagine del banchetto preparato dal Signore “per tutti i popoli” vuole darci l’idea della salvezza universale. Grazie anche alla dura esperienza del deserto, Israele ha imparato a interpretare la storia come continua tensione verso un futuro di salvezza. Ciò gli dà la possibilità di vedere la provvisorietà e l’incompiutezza del presente, di sentirsi sempre in cammino verso la stabilizzazione della salvezza universale, e di vivere quindi il presente nella gioiosa speranza del compimento delle promesse divine.

 

Se leggiamo il brano evangelico di Matteo alla luce del testo d’Isaia, il banchetto nuziale di cui parla Gesù nella parabola non va inteso come un semplice momento di festa, ma come il segno del compiersi del dono messianico di Dio, il compimento delle sue promesse che annunciano vita e luce e consolazione. Gesù, riprendendo l’immagine e la speranza del profeta, avvicina i tempi e vede già nell’oggi il compimento delle promesse. Il regno di Dio è giunto nella persona di Gesù, attorno alla quale avviene la convocazione universale. Tutti siamo invitati alla festa di nozze del figlio del re. Le nozze sono quelle di Gesù con l’umanità nel mistero della sua Incarnazione.  

 

La storia cammina verso una conclusione positiva: il dono della salvezza che Dio offre a tutti senza distinzione. Siamo già ora partecipi di questo dono, ma solo in parte. Nell’accoglienza o meno dei suoi valori decidiamo già oggi della nostra sorte, del nostro futuro. La salvezza è decisa dalle scelte di ogni istante. Siamo in cammino, pellegrini nel mondo, protesi verso le realtà definitive, che conosceranno l’eliminazione di ogni sofferenza e la comunione definitiva con Dio. Nelle fatiche di questo cammino lungo e difficile ci guida il Signore Gesù. Perciò anche noi possiamo ripetere con san Paolo (cf. seconda lettura): “Tutto posso in colui che mi dà la forza”.

 

La celebrazione eucaristica è il segno sacramentale del banchetto eterno. In essa Cristo si dona con il suo corpo e il suo sangue e apre a noi il cammino verso il Padre (cf. Preghiera eucaristica V/C).

domenica 8 ottobre 2023

GRADITI OSPITI IN OGNI MENSA CRISTIANA

 



 

Noi cristiani ti appartenenze, provenienze ed esperienze ecclesiali diverse, tutti in cammino verso il Regno di Dio che in Gesù Cristo si è avvicinato all'umanità. e a noi; convinti che l'unità della Chiesa è da un lato un dono del Signore che dobbiamo ricevere e un suo comandamento a cui dobbiamo ubbidire e dall'altro è un segno importante di unione che i cristiani devono offrire in un mondo tanto diviso; avendo constatato attraverso incontri, dialoghi e preghiere comuni di condividere l'essenziale della fede riguardo alla Cena del Signore, da alcuni definita Eucaristia e da altri Santa Cena, e cioè che:

 

il Signore è presente nella Cena, che è Lui a presiederla in ogni chiesa e che noi tutti che facciamo parte del suo popolo siamo suoi ospiti, essendo Gesù che ci accoglie alla sua mensa, in quanto la Cena è “del Signore” e non delle chiese;

 

la comunione che Egli ci dà è unicamente quella del pane, “suo corpo”, del vino, “suo sangue”, della sua santa Parola e della sua Presenza;

 

né Gesù, né gli apostoli hanno spiegato il significato esatto da dare alle sue parole durante la Cena né hanno chiarito il modo della presenza di Cristo Risorto;

 

le diverse dottrine che nei secoli passati e ancora oggi hanno cercato di interpretare i gesti, le parole e la presenza stessa di Gesù nella cena hanno tutte un loro significato e valore ma non sono costitutive della Cena;

 

la Cena rappresenta anche un momento di unione fra i cristiani e non può perciò essere occasione di divisione;

 

ogni celebrazione della Cena avviene nell'attesa della venuta di Gesù sulla terra, che iinvocchiamo con l'antica preghiera cristiana “Maranà tha”, “Signore nostro, vieni!”.

 

Sulla base di questo consenso liberamente e fraternamente raggiunto riteniamo che sia possibile a ogni persona cristiana battezzata, in obbedienza alla propria coscienza e rimanendo in piena solidarietà con la propria chiesa, essere accolti come graditi ospiti in ogni mensa cristiana in cui si celebri la Cena del Signore.

 

Paolo Ricca (pastore e teologo valdese) – Giovanni Cereti (presbitero e teologo cattolico).

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Fonte: Romano Penna – Giobbe Getcha – Ermanno Genre, Cena del Signore e ospitalità eucaristica. Prospettive teologiche interconfessionali, Introduzione di Angelo Lameri, San Paolo, Cinisello Balsamo 2022, pp. 149-151.

venerdì 6 ottobre 2023

DOMENICA XXVII DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 8 Ottobre 2023

 

 

 

Is 5,1-7; Sal 79; Fil 4,6-9; Mt 21,33-43

 

 

Al centro dei testi biblici di questa domenica ritorna l’immagine della vigna, molto usata sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. Il Sal 79, salmo di lamentazione, è una specie di autobiografia di Israele nel momento in cui sente venir meno la luce del volto di Dio, fonte di luce e di speranza. Israele vuole ritornare ad essere la vigna di Dio, curata con premura dal grande vignaiolo. Ora invece, priva di difesa, è territorio di libera caccia e di preda. Alla fine del salmo, la supplica diventa pressante e piena di speranza: “... Signore, Dio degli eserciti, fa che ritorniamo, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi”. Anche noi, nonostante tutte le nostre infedeltà, continuiamo ad essere quella vigna per la quale Dio ha compiuto meraviglie.

 

L’immagine della vigna, sia nella prima lettura che nella parabola del vangelo, si riferisce al popolo d’Israele ed esprime un giudizio di sofferenza su un popolo molto amato, ma che ha deluso e tradito l’amore del proprio Dio. Il profeta Isaia, vissuto all’epoca nella quale, probabilmente, fu composto il salmo responsoriale, pare dare una risposta agli interrogativi posti dal salmista a Dio sulla sua vigna d’Israele. Il testo profetico è un rimprovero a un popolo che si accontenta di una religiosità superficiale, ma non preoccupato di andare oltre le pratiche del tempio per portare frutti nel contesto di una vita sociale segnata da maggior senso della giustizia e moralità nelle relazioni umane, in conformità al patto di alleanza che lega Dio al suo popolo. Tra Dio e il suo popolo non c’è solo un rapporto di possesso (proprietario e proprietà), ma anche e soprattutto un rapporto di amore; la vigna assume i caratteri della persona umana.

 

L’oscura minaccia, presente nell’allegoria della vigna, trova il suo definitivo riscontro al tempo di Gesù e si concretizza come passaggio della vigna, e cioè del regno di Dio, alle nazioni pagane. Il fallimento del popolo dell’antica alleanza non arresta il piano di Dio: esso continua presso tutti coloro che sono disponibili alla fede, pronti ad accogliere e vivere la parola di Dio. La parabola della vigna contiene un severo ammonimento anche per noi cristiani. Un motivo ricorrente nel vangelo di san Matteo è quello di “portare frutti” (Mt 3,8.10; 7,16-20; 12,33; ecc.). L’appartenenza al Regno non è un privilegio formale, ma un dovere, che impegna a professare con le opere la fede nel Signore Gesù. Ciò che abbiamo appartiene a Dio e ci è affidato in gestione; ma Dio appare talvolta lontano, tanto lontano che ci sembra di poter decidere della nostra vita senza fare i conti con lui. Riferendosi ai brani della Scrittura proclamati oggi (Is 5 e Mt 21), il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: “La Chiesa è stata piantata dal celeste Agricoltore come vigna scelta. Cristo è la vera Vite, che dà vita e fecondità ai tralci, cioè a noi, che per mezzo della Chiesa rimaniamo in lui e senza di lui nulla possiamo fare” (n. 755).

 

Da quanto detto si deduce che se la Chiesa medita questi brani della Scrittura non è tanto per accusare l’antico popolo d’Israele, quanto per prendere coscienza della propria responsabilità e per invitare tutti ad aprire il proprio cuore al progetto di Dio sulla storia manifestatosi in Gesù Cristo. Nella seconda lettura, anche oggi come nella domenica scorsa, siamo invitati da san Paolo, che non è solo un maestro di dottrina ma un testimone di ciò che insegna, alla coerenza tra il pensare e l’agire e a non dimenticare il suo esempio: “Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica”. Facendo in questo modo, aggiunge l’Apostolo, “il Dio della pace sarà con voi”.      

domenica 1 ottobre 2023

UN PROFILO DI PARROCCHIA

 




Paolo Selvadagi, La Chiesa nella città. Un profilo di parrocchia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2021. 186 pp. (€ 16,00).

 

La parrocchia è intreccio di sacramenti della fede, di Parola, di Dio e di impegni attivi a favore delle persone, soprattutto quelle in difficoltà. Nei quartieri costituisce il segno riconosciuto della coscienza fraterna, della cura dei rapporti umani, vissuti dentro il tessuto urbano caratterizzato dalla mobilità. Oggi, riesce a trovare l'armonico equilibrio tra la propria identità religiosa e l'apertura alle dinamiche della vita cittadina, quando riscopre la freschezza dell'impulso originario della Chiesa ad andare verso le persone; decide di incontrare uomini e donne, che già passati per gli ambienti cattolici, se ne sono allontanati; dimostra prossimità a chi si pone la domanda religiosa o a chi è in ricerca del senso del vivere ed è seriamente impegnato a migliorare la società. A loro attesta la vicinanza di Dio e propone il messaggio cristiano.


(Quarta di copertina)