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venerdì 30 agosto 2019

DOMENICA XXII DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 1 Settembre 2019





Sir 3,17-18.20.28-29; Sal 67 (68); Eb 12,18-19.22-24a; Lc 14,1.7-14



L’orgoglio, l’autosufficienza, l’arroganza, la ricerca del potere sono moneta che circola regolarmente nella nostra società. La parola di Dio ci propone altri valori, altri metodi: contro l’orgoglio, l’autosufficienza, la voglia di potere, ci viene prospetta l’umiltà e lo spirito di servizio. Il breve brano sapienziale della prima lettura parla dell’umiltà nell’ambito di un contesto dedicato alle relazioni sociali. Però per il Siracide l’atteggiamento umile non è solo una virtù umana, è anche una dote autenticamente religiosa. Infatti chi è umile non solo trova il favore degli uomini, ma è anche “gradito a Dio”. Nel brano evangelico Gesù parla dell’umiltà nel contesto di una breve parabola sui posti a tavola. La regola conviviale data da Gesù (“quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto…”) è qualcosa di più che una norma di buon senso. Essa esprime una verità che si riferisce al Regno di Dio. Mi farà ottenere un posto nel Regno di Dio non la mia giustizia ma la grazia di Dio che mi dice: “Amico, vieni più avanti!”. Il modello supremo d’umiltà è Cristo. La seconda lettura ricorda che ci accostiamo a Dio attraverso il Cristo, il Mediatore della Nuova Alleanza, di colui che si presenta a noi come “mite e umile di cuore” (Mt 11,29). San Paolo nella lettera ai Filippesi ci invita ad avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo, “il quale, pur essendo nella condizione divina […] umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio lo esaltò – aggiunge l’Apostolo – e gli donò il nome, che è al di sopra di ogni nome” (Fil 2,6.8-9). 



L’umiltà non consiste nel negare la verità, ma piuttosto nel riferire ogni dono a Dio, il vero autore, principio e fine di tutto. Manca di umiltà chi non riesce a vedere il positivo che Dio gli ha messo nel cuore. L’umiltà è quindi una virtù che riconosce il primato di Dio rispetto alle proprie possibilità e alle risorse umane in genere. Dio non può trovare posto nel cuore di colui che pone se stesso al centro di tutto. Soltanto chi è umile è capace di aprirsi a Dio e alla sua grazia. Diversamente ogni uomo rischia di diventare idolatra di se stesso e dei propri vizi. L’umiltà, poi, non è masochismo o complesso di inferiorità ma è la giusta conoscenza di sé per occupare esattamente il proprio posto nel mosaico della storia offrendo il proprio contributo allo sviluppo della società e dell’uomo. 



Il Regno dei cieli, che è già in noi e si realizza nella nostra vita dal battesimo all’ingresso definitivo nella casa del Padre, è presentato da Gesù come un banchetto e la storia della nostra partecipazione ad esso è possibile solo perché vi siamo invitati in mezzo a tanti altri; non possiamo pensarci gli unici, non possiamo tentare di farla da padroni. L’eucaristia domenicale, fonte e culmine della vita cristiana, è un momento forte di questo invito, che dobbiamo saper accogliere con umiltà e con spirito di fraternità, aperti

domenica 25 agosto 2019

LA CONFERMAZIONE NEL CONTESTO DELL’INIZIAZIONE CRISTIANA






Giovanni Zaccaria, “Immite Spiritum Paraclitum”. Teologia liturgica della confermazione (Monumenta Studia Instrumenta Liturgica 80), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2019. 317 pp. (€ 32,00).




Il sacramento della Confermazione è stato oggetto, nell’ambito dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, di diversi esperimenti pastorali, talvolta posticipato come punto di arrivo dell’intero processo iniziatico o addirittura ignorato per cui alcuni sono arrivati al Matrimonio o alla Professione religiosa senza aver ricevuto la Confermazione. Lo studio del giovane professore Zaccaria dimostra che il posto della Confermazione come secondo sacramento dell’iniziazione cristiana, tra il Battesimo e la prima partecipazione all’Eucaristia, corrisponde alla natura stessa del sacramento. Veniamo battezzati e cresimati in ordine all’Eucaristia.

Si tratta di uno studio rigoroso di teologia liturgica della Confermazione, diviso in cinque capitoli: nascita ed evoluzione di un rito (I); il dato biblico (II; i formulari per la Messa rituale (III); il rito della Confermazione (IV); teologia liturgica della Confermazione (V).    

L’Autore si accosta alla celebrazione nel suo complesso e nelle sue diverse parti. Si prende quindi in esame la celebrazione liturgica del sacramento nella sua interezza, analizzandone sia l’apparato eucologico, sia le letture bibliche, sia l’insieme dei gesti e dei simboli nel contesto celebrativo.

Credo che si tratta di un’opera importante, portata avanti con rigore metodologico e dovizia di documenti (fonti e studi).

venerdì 23 agosto 2019

DOMENICA XXI DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 25 Agosto 2019





Is 66,18-21; Sal 116 (117); Eb 12,5-7.11-13; Lc 13,22-30



Le letture bibliche di questa domenica ci invitano a dare uno sguardo al progetto di Dio sulla storia e sull’uomo, un progetto di salvezza che abbraccia gli uomini di tutti i tempi. Infatti il piano salvifico di Dio si rivolge a tutti gli uomini senza distinzioni, a tutte le nazioni della terra. Ben sei secoli prima di Cristo, la voce del profeta, che abbiamo ascoltato nella prima lettura, reagendo ai primi sintomi di integralismo presenti nella comunità ebraica ricostituitasi dopo l’esilio babilonese, proclama che Dio radunerà “tutte le genti e tutte le lingue”. Le parole di Gesù che abbiamo ascoltato alla fine del brano evangelico stanno sulla stessa linea d’onda: “Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio”. La novità del messaggio evangelico sta nella dilatazione dell’orizzonte, non più etnocentrico, e nella chiamata gratuita dei popoli per prendere parte al destino di salvezza promesso a Israele. Per mezzo di Gesù Cristo, Dio offre la salvezza a tutti, singoli e popoli. L’unica condizione richiesta è la sua accoglienza umile e perseverante, accompagnata da uno stile di vita coerente. Notiamo che le parole di Gesù sono parte della risposta che egli dà alla domanda che gli è stata rivolta da un anonimo interlocutore su quanti sono coloro che si salvano. Gesù non dice né se saranno pochi, né se saranno molti “quelli che si salvano”: lancia solo un appello all’impegno personale.



Il futuro di salvezza universale si costruisce attraverso un cammino che non è esente da difficoltà. Anzi, è proprio attraverso la lotta e la sofferenza che il piano di Dio si compie nella storia. Dietro queste sofferenze però non ci sta un Dio ostile, nemico dell’uomo, ma un padre che, “corregge colui che egli ama” (seconda lettura). In questo contesto, possiamo interpretare anche le parole di Gesù quando ci invita a sforzarci “di entrare per la porta stretta”. La porta stretta è la fatica della fede: la salvezza è a portata di tutti, ma richiede impegno e sforzo personale. La piena appartenenza alla comunità dei salvati si sancisce non sulla base di una iscrizione formale ma sulla base di un’adesione etica ed esistenziale. Non basta neppure partecipare regolarmente all’eucaristia, bisogna anche lasciarsi coinvolgere dal senso del mistero celebrato ed entrare in vera comunione di vita con il Signore. Nonostante la salvezza sia dono di Dio, essere salvati dipende da noi. Siamo noi che dobbiamo decidere se passare o no attraverso la porta. Nessuno è salvato a priori, indipendentemente della grazia di Dio e del proprio sforzo personale.



Nell’orazione dopo la comunione chiediamo al Signore che porti a compimento “l’opera redentrice della sua misericordia”. L’eucaristia ripresenta sacramentalmente il sacrificio di Cristo offerto una volta per sempre per la salvezza di tutto il mondo.


domenica 18 agosto 2019

Sal 101 (100) Lo specchio dei principi









1Di Davide. Salmo. Amore e giustizia voglio cantare, voglio cantare inni a te, o Signore.

2Agirò con saggezza nella via dell'innocenza: quando verrai a me? Camminerò con cuore integro, dentro la mia casa.
3Non sopporterò davanti ai miei occhi azioni malvage; detesto chi fa il male, non mi sarà vicino.
4Lontano da me il cuore perverso, il malvagio non lo voglio conoscere.

5Chi calunnia in segreto il suo prossimo io lo farò perire; chi ha occhi altezzosi e cuore superbo
non lo potrò sopportare.
   6I miei occhi sono rivolti ai fedeli del paese   perché restino a me vicino: chi cammina per la via integra sarà mio servitore.
7Non abiterà nella mia casa, chi agisce con inganno, chi dice menzogne non starà alla mia presenza.

8Sterminerò ogni mattino tutti gli empi del paese, per estirpare dalla città del Signore quanti operano il male. 



Il Sal 101 (100) la Liturgia delle ore lo propone il Martedì della Quarta settimana alle Lodi con il titolo: “Programma di un re fedele a Dio”, ed il sottotitolo tratto da Gv 14,15: “Se mi amate osservate i miei comandamenti”. 

Il titolo fa il nome di Davide quale compositore del salmo 101, definito dagli esegeti “specchio del re” o “discorso della corona”. Il testo contiene le linee programmatiche del buon governo. Considerando il Salterio nella sua unità, la tradizione lo ha diviso in cinque libri. Il nostro salmo appartiene al libro IV, il più corto del Salterio (comprende solo sedici salmi, dal Sal 90 al Sal 106). La maggior parte di questi salmi non hanno alcuna attribuzione. Il loro centro di gravità ruota intorno a coloro che proclamano il Signore re. Proprio al centro del libro IV, nel Sal 98, tutti i popoli sono invitati a riconoscere il Signore come il loro re e anche tutta la natura ad acclamarlo: “Acclami il Signore tutta la terra, gridate, esultate, cantate inni!” (v. 4).


Passando ora al contenuto del nostro salmo, ciò che si afferma nel suo primo versetto è ciò che dobbiamo cercare in tutto il corpo del testo salmico: “Amore e giustizia voglio cantare…” Commentando queste parole, Sant’Agostino ci ricorda che Dio è misericordioso, ma è anche giusto. 


Nello spirito della sapienza d’Israele e dell’Oriente, il salmo 101 vuol abbozzare il ritratto di un re giusto, di un politico, di uno che ha delle responsabilità verso gli altri, e lo fa secondo due lineamenti essenziali. Il primo è quello del rigore personale nella scelta della via perfetta e integra già all’interno della sua famiglia e della sua casa, scartando consiglieri corrotti e tentazioni idolatriche; insomma si terrà ben lontano da personaggi e situazioni compromettenti (vv. 1-4). La seconda componente è più di tipo pubblico e sociale: lotta contro la calunnia, la delazione, la falsa testimonianza giudiziaria, attacco alle prepotenze delle alte classi, difesa dei poveri, selezione accurata dei collaboratori, impegno continuo (sin dal mattino, dice simbolicamente il v. 8) ad estirpare impostori e malvagi (vv. 5-8). È il programma ideale di ogni uomo costituito in autorità che sa di non essere arbitro assoluto, ma luogotenente dell’unico re giusto e perfetto, Dio, secondo la classica visione biblica del re davidico.


Anche se qualcuno fu migliore di altri, nessuno dei re che si avvicendarono nella storia d’Israele e di Giuda fu sempre irreprensibile. In una lettura cristiana del salmo, dobbiamo anzitutto affermare che il nostro re è Cristo, il solo che potrebbe in ogni tempo cantare questo salmo con perfetta integrità. Ma la tradizione cristiana ha visto nel testo di questo salmo non solo l’immagine di Cristo, ma anche una descrizione anticipata del giudizio di Gesù Cristo “che di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti”, come dice il Credo. Con questo salmo pregato all’inizio della giornata, la Chiesa formula propositi di essere fedele all’insegnamento di Cristo, mentre attende con fiducia la sua ultima e gloriosa venuta. Come dice il sottotitolo del salmo nella Liturgia della Ore, tratto da Gv 14,15: “Se mi amate osservate i miei comandamenti”.  


Ecco quindi che il Sal 101 è un programma di vita non solo per i potenti, non solo per coloro che sono costituiti in autorità, ma anche per tutti noi, per tuti coloro che vogliono camminare davanti a Dio con cuore integro (v. 2). Possiamo affermare che in ognuno di noi vi è un cuore perverso, di cui parlano i vv. 4 e 5: quello che agisce con inganno e che dice menzogne (v. 7). Nel Salterio ci sono altri salmi che parlano in termini analoghi e a più riprese: “(il salmista parla dei suoi nemici) Non c’è sincerità nella loro bocca, è pieno di perfidia il loro cuore; la loro gola è un sepolcro aperto, la loro lingua seduce” (Sal 5,10); o anche il Sal 12,3: “Si dicono menzogne l’uno all’altro, labbra adulatrici parlano con cuore doppio”.


Ma vi è pure l’uomo nuovo che desidera camminare per la via integra: “chi cammina per la via integra sarà mio servitore” (v. 6). L’integrità, la pienezza di vita è un’istanza che affonda le sue radici nella notte dei tempi, all’inizio della storia della salvezza: “Quando Abramo ebbe novantanove anni, il Signore gli apparve e gli disse: ‘Io sono Dio l’Onnipotente, cammina davanti a me e sii integro’ ” (Gen 17,1). Il nostro programma di vita spirituale deve mirare a far tacere e allontanare l’uomo del cuore perverso e a fortificare l’uomo del cuore integro che è in noi. 


In una visione più ampia del testo, negli ultimi versetti del salmo si delinea il regno ideale: menzogna e malvagità sono eliminate; fedeltà e onestà abitano la casa del sovrano. È anche la meta verso cui noi tutti camminiamo.



Preghiera: Cantando la misericordia e il giudizio, Signore, salmodiamo a te e ti preghiamo: fa che camminiamo con intelligenza sulla via integra affinché, per ispirazione della misericordia, comprendiamo ciò che è retto e, in attesa del giudizio, correggiamo ciò che è errato.


Bibliografia: Spirito Rinaudo, I salmi preghiera di Cristo e della Chiesa, Elle Di Ci, Torino-Leumann 1973; Vincenzo Scippa, Salmi, volume 1. Introduzione e commento, Messaggero, Padova 2002; Ludwig Monti, I salmi: preghiera e vita, Qiqajon, Comunità di Bose 2018; Temper Longman III, I salmi. Introduzione e commento, Edizioni GBU, Chieti 2018.

venerdì 16 agosto 2019

DOMENICA XX DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 18 Agosto 2019





Ger 38,4-6.8-10; Sal 39; Eb 12,1-4; Lc 12,49-53

         

Ogni brano della Scrittura forma parte di un grande mosaico che narra la storia della nostra salvezza, una storia che, per capirne il senso, deve essere interpretata nella sua globalità. Le parole difficili di Gesù riportate dal vangelo d’oggi vanno perciò interpretate in un contesto più ampio. Quando Gesù dice: “pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione”, queste severe parole, lette nel contesto del messaggio evangelico nella sua globalità, ci ricordano che la scelta di Dio e del suo progetto è una opzione che va fatta con coraggio e consapevolezza, senza ambiguità, pronti ad affrontare, se necessario per essere fedeli alla scelta, contrasti e anche lacerazioni. Nella prima lettura, ci viene proposta la figura del profeta Geremia, uomo pacifico per eccellenza, amante della concordia, nemico giurato di ogni guerra e di ogni contrasto. Eppure, la parola di questo profeta è scomoda, bruciante. Come quella di Gesù, colpisce gli inerti, i soddisfatti, gli illusi, li scuote dai loro sogni e dai loro miti. Geremia proclama il giudizio di Dio; comprende l’inutilità della resistenza all’esercito di Nabucodonosor che assedia Gerusalemme e invita a porre fine a quella inutile strage. Ma proprio per questo viene preso per traditore, accusato di non fare gli interessi del popolo e quindi condannato a morire in una cisterna fangosa. Il profeta resta fedele alla sua missione e continua a fidarsi di Dio. L’intervento di un cortigiano lo salverà dalla morte.



Incubo e gioia pervadono il Sal 39 che si apre in tono di Magnificat e finisce come un De profundis. Il salmo responsoriale prende il testo soprattutto dalla prima parte (vv. 2-4), e si chiude con l’ultimo versetto del salmo (v.18). Il salmista ha fatto una lieta esperienza: in un momento particolarmente doloroso della sua vita ha sperato nel Signore e il Signore si è chinato su di lui e lo ha tratto dalla fossa della morte e dal fango della palude in cui giaceva e ha dato sicurezza e stabilità alla sua esistenza. Egli può ora cantare un cantico nuovo, di lode e di ringraziamento a Dio. La tradizione ha applicato questo salmo a Cristo, nel mistero della sua Pasqua di morte e risurrezione: il Padre si è chinato verso il Figlio suo che ha sperato in lui e lo “ha tratto dalla fossa della morte” e “dal fango della palude” dei nostri peccati, ha stabilito i suoi piedi sulla roccia della vita incorruttibile ed eterna e ha messo sulla sua bocca un canto nuovo, perché noi credessimo e confidassimo in lui. La liturgia odierna applica il salmo anche a Geremia, figura profetica di Cristo, delle sue sofferenze, della sua forza di “segno di contraddizione”.



Vivere e proclamare la propria fede non è sempre appagante dal punto di vista umano. La fedeltà a Dio non porta di per se successo e gloria umana. La vicenda dolorosa del profeta Geremia non è soltanto figura della vita di Cristo, ma anche della vita di quanti scelgono di seguire Cristo e il suo vangelo. Il brano della lettera agli Ebrei della seconda lettura, lo ricorda ad una comunità rassegnata e avvilita: “Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità da parte dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo”. La fedeltà alla parola di Dio comporta una lotta con se stessi e con le strutture ingiuste e peccatrici che ci assediano. Occorre quindi costanza, fedeltà, coraggio, vigilanza e decisione per non essere in balia di quella malattia, tipica del nostro tempo, che si chiama superficialità o banalità o inconsistenza. La pace cristiana non è senza tensioni e lacerazioni, non va confusa col quieto vivere o con la tranquillità del disimpegno. Essa è una precisa e coerente scelta di valori senza compromessi e senza ambiguità con lo sguardo sempre fisso, però, in “Dio, nostra difesa” (antifona d’ingresso: Sal 83,10).


martedì 13 agosto 2019

ASSUNZIONE DELLA B. V. MARIA – 15 Agosto 2019 Messa del giorno






Ap 11,19a; 12,1-6a.10ab; Sal 44 (45); 1Cor 15,20-27°; Lc 1,39-56


Possiamo riassumere il contenuto delle tre letture bibliche con tre immagini di Maria in esse presenti: la donna vestita di sole (prima lettura); la nuova Eva (seconda lettura); la benedetta fra le donne (vangelo). Queste tre immagini esprimono sia il ruolo attivo che Maria ha avuto nel mistero della nostra salvezza che la pienezza di redenzione in lei operata come primo frutto della redenzione stessa. Maria nuova Eva è protagonista, insieme con Cristo nuovo Adamo, della nostra salvezza. Così come Adamo ed Eva sono personaggi emblematici per esprimere l’umanità caduta nel peccato, così Gesù e sua madre diventano personaggi altrettanto emblematici per esprimere l’umanità rinnovata, che sarà tale proprio nella misura in cui porterà avanti la inimicizia contro Satana. La Chiesa canta oggi nella sua liturgia: “Una donna ha chiuso la porta del cielo, una donna l’apre per noi: Maria, madre del Signore” (Primi Vespri, 2a ant.).



Elisabetta, piena di Spirito Santo, proclama Maria “benedetta fra le donne”. Maria è in anticipo sullo spirito delle “beatitudini”, che Gesù proclamerà all’inizio della sua vita pubblica, perciò è per lei la prima beatitudine del Nuovo Testamento: “Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”. Beata anzitutto per la sua fede nella parola del Signore, perché Maria ha ascoltato e ubbidito al volere di Dio dichiarandosi assolutamente libera da ogni impegno umano per servire solo il progetto del Signore. Maria ha collaborato in modo eccezionale al disegno di Dio. Perciò la benedizione di Dio si concretizza in lei nel dono della maternità divina. “Benedetta, Vergine Maria! Tu ci hai dato il frutto della vita” (II Vespri, 3a ant.).



La “donna vestita di sole” e coronata di dodici stelle (le dodici tribù di Israele), di cui parla l’Apocalisse, è il popolo di Dio antico e nuovo, sempre osteggiato dalla terribile forza del male (il “drago”). Il bimbo che nasce dalla donna è il Messia. Questo bimbo, è vittorioso sul drago, cioè sul male; e vincitore del peccato e della morte, “siede alla destra del Padre”. Con lui anche Maria è avvolta dallo stesso splendore di gloria. Maria è quindi “primizia e immagine della Chiesa”, in cui Dio rivela il compimento del mistero della salvezza (prefazio). Il mistero della Chiesa e quello di Maria si richiamano reciprocamente per la comune missione, e ciò che è avvenuto per Maria assunta in cielo si compirà un giorno per la Chiesa intera. Nella storia di Maria possiamo leggere la nostra storia. Maria è la prima persona umana in cui la redenzione si è compiuta in pienezza, è il primo frutto della redenzione. La glorificazione di Maria assunta in cielo è un evento in cui ammiriamo realizzato ciò che attendiamo si avveri un giorno in noi. Infatti, in Maria contempliamo e pregustiamo quella gloria futura alla quale siamo chiamati e destinati, se con Lei sapremo seguire le orme di suo Figlio Gesù.


domenica 11 agosto 2019

FENOMENOLOGIA DELLA RELIGIONE









Giuseppe Lusignani, Coram Deo. Introduzione alla fenomenologia della religione (Nuovi Saggi Queriniana 93), Queriniana, Brescia 2019. 232 pp. (€ 18,00).


Una introduzione al fenomeno religioso che annuncia la necessità di confrontarsi con una questione fondamentale e fondatrice: quella delle relazioni fra affettività e linguaggio. 


Prefazione (di Andrea Bellantone) – Introduzione – Verso il definirsi di una possibile disciplina – Fenomenologia ed esperienza religiosa – Dalla coscienza all’esperienza del sacro: gli strumenti di un sapere – L’accadere di un fenomeno – Comprensione della religione e ricomprensione dell’umano. Dall’estetica, per una trascendenza… – Bibliografia.  

sabato 10 agosto 2019

DOMENICA XIX DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 11 Agosto 2019





Sap 18,3.6-9; Sal 32 (33); Eb 11,1-2.8-19; Lc 12,32-48



Il Sal 32 canta la gloria di Dio, signore della creazione e della storia. Il credente della Bibbia non considera mai l’universo come semplice “natura” ma come realtà “creata”, e la storia non la reputa come ineluttabile “destino” ma come “progetto” di Dio in cui l’uomo è chiamato a collaborare. L’antifona d’ingresso, riprendendo parole del Sal 73, ci invita a rinvigorire la nostra fede in questo progetto di Dio su di noi: “Sii fedele, Signore, alla tua alleanza…” La prima lettura, tratta dal libro della Sapienza, parla della “notte della liberazione”, quando Dio, fedele alla parola data ai patriarchi, liberò il suo popolo dall’oppressione dell’Egitto. Dio è sempre fedele alle sue promesse. Chi si appoggia a lui non deve temere nulla, perché “egli è nostro aiuto e nostro scudo”. In questo contesto, il ritornello del salmo responsoriale ci invita a ripetere: “Beato il popolo scelto dal Signore”. Tema unificante i diversi testi è la fiducia attesa in un Dio fedele.



La prima lettura ci propone un brano dell’ultima sezione del libro della Sapienza, che è una grandiosa rilettura sapienziale e teologica della storia d’Israele con particolare attenzione all’evento fondamentale dell’Esodo. Al centro della fede d’Israele sta sempre il ricordo di un Dio fedele, che ha portato a termine il proprio impegno salvifico nei confronti del suo popolo. Il nostro brano parla della “notte della liberazione” in cui Dio svelò nei confronti del popolo eletto tutta la sua terribile   potenza conducendolo dalla schiavitù dell’Egitto alla libertà della terra promessa.



L’allusione alla notte pasquale dell’Esodo è evidente nel brano evangelico, in particolare in quelle parole di Gesù quando egli afferma: “siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese”, atteggiamento tipico di chi si appresta a mettersi in viaggio come gli Ebrei in quella notte, alla vigilia della loro fuga verso la libertà. La condizione di pellegrini verso la terra promessa degli Ebrei nella prima Pasqua è la condizione nostra di tutta intera la vita. Tutta la nostra esistenza terrena può essere considerata una Pasqua, cioè un rito di passaggio. Diverse generazioni cristiane vissero nella convinzione che Cristo sarebbe tornato nel cuore della grande notte pasquale, immagine della lunga attesa della Chiesa, tema illustrato dalla prima parabola della lettura evangelica. L’amore con cui riusciamo a stare svegli nel nostro cammino terreno ci orienta alla speranza. Assieme all’amore e alla speranza si intreccia la fede, di cui parla la seconda lettura: “la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede”. Modelli di questa fede sono Abramo e Sara.



Alla stregua di Israele, di Abramo e Sara, noi ci consideriamo stranieri e pellegrini su questa terra, senza una città stabile quaggiù, in cerca di quella futura e definitiva. Viviamo nell’attesa fiduciosa del Signore che ci condurrà alla dimora definitiva. Quest’attesa deve dare senso al nostro agire quotidiano. Quando si attende veramente qualcosa di importante, tutto il resto assume un colore diverso, perde quasi di significato. Per noi cristiani “il più” deve ancora venire. Non si può vivere il senso cristiano della vita senza considerare che la nostra esistenza è orientata verso il Cristo che tornerà. Ogni giorno è buono per stare svegli, tenere le lampade accese e accogliere il Figlio dell’uomo che verrà. Ogni giorno, qualsiasi giorno, se colmo di attesa, è giorno aperto al Signore e al suo dono. Nella celebrazione eucaristica ciò è particolarmente vero perché “ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo di questo calice, annunziamo la tua morte, Signore, nell’attesa della tua venuta”.


martedì 6 agosto 2019

Cinquant’anni fa Papa Montini approvava l’«Ordo baptismi parvulorum»






di Enda Murphy
Officiale della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti





Cinquant’anni fa, nella solennità dell’Ascensione, il 15 maggio 1969, la Sacra Congregazione per il culto divino promulgò la prima edizione tipica dell’Ordo baptismi parvulorum. Ciò avvenne in risposta alla Costituzione sulla sacra liturgia del Vaticano II che richiedeva la revisione del rito del battesimo, considerando il fatto che i candidati sono bambini, e affinché i ruoli dei genitori e dei padrini fossero più chiaramente messi in rilievo; richiedeva inoltre che il rito fosse adattato per il battesimo di un gran numero di neonati o per l’amministrazione del battesimo da parte di un catechista nei territori di missione, o anche da altri in assenza del ministro ordinario; e che venisse redatto un rito abbreviato nel caso di un bambino già battezzato: tale rito avrebbe dovuto indicare che il bambino era già stato accolto nella Chiesa (cfr. Sacrosanctum concilium nn. 67-69).


Perché i Padri conciliari richiesero espressamente per i bambini un rito «adattato alla loro reale condizione»? Per il semplice fatto che il rito, così come appariva nel Rituale del 1614, era solamente una forma abbreviata di quello del battesimo per gli adulti. Il Rituale del 1614 conteneva alcuni adattamenti per il battesimo dei bambini, ma la Sacrosanctum concilium richiedeva più di questo. In effetti, i Prænotanda del nuovo Ordo contengono due capitoli specificamente dedicati agli adattamenti che possono essere fatti dalle Conferenze episcopali e dagli ordinari locali (capitolo v) e gli adattamenti che sono di competenza del ministro (capitolo vi). Come disse Balthasar Fischer, questa era la «prima volta nella storia della liturgia cattolica» che si componeva un rito per il battesimo dei bambini (cfr. «Notitiæ» 4 [1968] 235).


Il lavoro di riforma dei contenuti del Rituale romano era stato affidato ai Gruppi di studio 22 e 23. Il Coetus 22 era stato incaricato di rivedere i riti dei sacramenti e quindi svolse un ruolo importante, insieme al Consilium, nel portare a completamento il nuovo Ordo baptismi parvulorum. Va tenuto presente che era lo stesso gruppo di studio che, insieme al Coetus 23, era incaricato della preparazione del Rito del battesimo degli adulti, che sarebbe poi diventato l’Ordo initiationis christianæ adultorum (Oica). Ciò costituisce una parte importante del contesto del lavoro sul rito dei bambini, poiché quest’ultimo si andava a inserire all’interno della più ampia cornice teologica e liturgica di tutto il processo dell’iniziazione cristiana.


L’editio typica inizia con i Prænotanda generalia de initiatione christiana, che sarebbero infine apparsi anche nella editio typica reimpressio emendata dell’Ordo initiationis christianæ adultorum nel 1974. In effetti, i primi sei articoli di questa introduzione generale sono un capolavoro in miniatura, poiché espongono il modo in cui la Chiesa concepisce l’iniziazione e la dignità del battesimo. Questi Prænotanda radicano la concezione ecclesiale dell’iniziazione nell’insegnamento del concilio Vaticano II, nelle Scritture e nella Tradizione vivente della Chiesa, e chiariscono che i sacramenti dell’iniziazione formano un tutto inscindibile che non può essere compreso senza riferimento l’uno all’altro o, come dicono gli stessi Prænotanda, «i tre sacramenti dell’iniziazione sono così intimamente tra loro congiunti, che portano i fedeli a quella maturità cristiana per cui possano compiere, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria del popolo di Dio» (n. 2).


Infatti, il paragrafo 2 è un approfondimento del paragrafo 1 che spiega sinteticamente come siamo incorporati nel mistero della morte e risurrezione di Cristo, diventiamo figli adottivi e prendiamo parte all’assemblea eucaristica. I paragrafi dal 3 al 6 si riferiscono quindi alla dignità del battesimo, descritto come «l’ingresso alla vita e al regno» e «il primo sacramento della nuova legge» (n. 3). Il battesimo è prima di tutto un sacramento della fede mediante il quale coloro che sono stati illuminati dalla grazia dello Spirito Santo rispondono al Vangelo di Cristo, e la Chiesa esorta tutti i suoi figli a una fede vera e attiva per mezzo della quale fanno il loro ingresso nella Nuova Alleanza o lo confermano.


Il paragrafo 4 è ricco di immagini bibliche ed è ecumenicamente importante, in quanto riconosce che il battesimo è tenuto «in sommo onore» da tutti i cristiani; viene anche riconosciuta la validità dei battesimi celebrati «dai fratelli separati». Con il battesimo noi siamo incorporati alla Chiesa, edificati insieme come abitazione di Dio nello Spirito, popolo santo e sacerdozio regale. Questi sono alcuni dei principali temi ecclesiologici e teologici del Vaticano II, esposti in particolare nel secondo capitolo della Lumen gentium.


Il paragrafo 5 prosegue descrivendo il battesimo come «il lavacro dell’acqua unito alla parola di vita» che ha l’effetto di renderci «partecipi della vita di Dio e della adozione a suoi figli», introducendoci così al tema della divinizzazione e dello scambio divino-umano; scambio che si compie attraverso il battesimo e, in effetti, in tutti i sacramenti. In questo paragrafo si ricorda che, per ritus et preces (Sc n. 48), nel rito del battesimo si proclama il lavacro per la rinascita dall’alto dei figli di Dio e che, con l’invocazione della Santa Trinità, siamo consacrati ed entriamo in comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Le letture bibliche, la preghiera della comunità e la triplice professione di fede preparano e conducono a questo momento culminante. Ancora una volta la lex orandi della Chiesa non solo ne stabilisce la lex credendi, ma stabilisce i battezzati nella fede che viene professata e celebrata.


È importante sottolineare che il paragrafo 6 afferma chiaramente che nel battesimo «si commemora e si attua il mistero pasquale». Qui siamo di fronte alla ricca teologia battesimale di Romani 6, 4-5 «Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova». La nostra morte e risurrezione con Cristo è centrale nel rito del battesimo e perció la gioia della risurrezione deve risplendere nella sua celebrazione, specialmente quando si svolge durante la Veglia pasquale o la domenica, poiché questo è il giorno «in cui Cristo ha vinto la morte e ci ha resi partecipi della sua vita immortale» (cfr. ricordo particolare del Communicantes nel Messale italiano).


Se passiamo ora ai Prænotanda specifici del battesimo dei bambini, notiamo che i primi tre paragrafi si riferiscono all’importanza del battesimo degli infanti. Fin dai primi tempi la Chiesa ha battezzato non solo gli adulti ma anche i bambini, constatando che essi sono battezzati nella fede della Chiesa proclamata dai genitori, dai padrini e da tutti i presenti (n. 2). Questi ultimi rappresentano sia la Chiesa locale, sia l’intera comunità dei santi e dei fedeli, che non è altro che la madre Chiesa, e cosí concorrono a portare il bambino verso la vita nuova in Cristo. Infatti, il paragrafo 4 parla dell’importanza del Popolo di Dio, rappresentato dalla comunità locale, poiché esso svolge un ruolo importante sia nel battesimo degli adulti sia in quello dei bambini. Inoltre viene ricordato alla comunità che i bambini hanno diritto al suo amore e alla sua assistenza. Questo paragrafo sottolinea che il battesimo è per sua natura un atto ecclesiale. Non solo il celebrante ha un ruolo importante da svolgere, ma la comunità cristiana «esercita la sua funzione» quando «insieme al sacerdote» esprime il suo consenso alla professione di fede fatta dai genitori e dai padrini. Ciò dimostra che la fede è il tesoro dell’intera Chiesa di Cristo e non solo di una singola famiglia cristiana.


Sebbene questo Ordo non contenga una costituzione apostolica, Papa Paolo VI dimostrò un particolare interesse per la redazione del testo. Ricevette una bozza del suo schema il 20 novembre 1968 e la esaminò con il segretario del Consilium, Annibale Bugnini, il 19 gennaio 1969. Il Papa fece numerose osservazioni manoscritte, tra cui la mancata menzione nel testo di un riferimento al peccato originale. Questa lacuna sarebbe stata in seguito colmata nell’editio typica altera che fu pubblicata, con rinnovata approvazione papale, dalla Sacra Congregazione per il culto divino il 29 agosto 1973. Paolo VI, qui come altrove, si è dimostrato un diligente e fedele timoniere della riforma liturgica. Infatti, in un discorso al Collegio cardinalizio del 23 giugno 1969, riflettendo sulle gravi difficoltà che affliggevano la Chiesa, affermava di essersi accostato a esse con uno «spirito di umile e sincera obiettività» per «rinnovare continuamente ed interiormente lo spirito della legislazione canonica, per un migliore servizio della Chiesa e per uno sviluppo benefico ed efficace della sua missione nel mondo contemporaneo». E come prova del suo proposito il Papa così si esprimeva: «I numerosi e susseguenti documenti circa la riforma liturgica, anch’essa voluta dal Concilio, di cui Noi intendiamo fedelmente mandare ad esecuzione la volontà» (aas 61 [1969] 516). 


L’Ordo baptismi parvulorum ha portato milioni di bambini all’unione di grazia con Cristo crocifisso e risorto. Prendendo sul serio la loro condizione di vita, è stata data la dovuta importanza al ruolo dei genitori, dei padrini e del popolo di Dio. Il professor Fischer scrisse che «il Battesimo in particolare viene celebrato come il sacramento dell’unione al popolo di Dio, con effetti nel tempo presente e nella speranza escatologica» (cfr. «Notitiæ» 4 [1968] 237); è il significato che viene sottolineato dalle parole che accompagnano l’unzione con il crisma: «Egli stesso (il Padre) vi consacra con il crisma di salvezza, perchè inseriti in Cristo, sacerdote, re e profeta siate sempre membra del suo corpo per la vita eterna».



Fonte: L’Osservatore Romano (05 agosto 2019)


domenica 4 agosto 2019

IL “TEMPO ORDINARIO”






Nell’ordinario della vita, dove l’uomo “ferialmente” risponde alla sua vocazione, la festa domenicale risveglia l’uomo dal torpore della routine e lo riabilita di nuovo allo stupore per la salvezza immeritata. Anzi, ogni Eucaristia celebrata anche nei giorni feriali, così come le parti della Liturgia delle Ore nel fluire dei giorni, non annullano e non mortificano la ferialità con le sue attese e le sue fatiche, ma sul terreno sassoso e deserto dei giorni apparentemente sempre uguali scendono benefiche la pioggia della Parola e la rugiada vivificante dello Spirito. Per quanto l’uomo si dia da fare o rimanga inattivo, “dorma o vegli, di notte e di girono”, Dio è continuamente all’opera e “il suo seme germoglia e cresce” (Mc 4,27). E se questo dinamismo sorprendente dell’agire divino è caratteristica di tutto l’anno, traspare in modo significativo nel tempo ordinario, quando al centro dell’azione celebrativa non c’è un mistero della fede, ma il mistero di un Dio che non cessa di operare la salvezza nell’oggi dell’uomo che diventa l’oggi di Dio (cfr. Lc 4,21; 5,26; 19,5; 19,9).




FONTE: Loris Della Pietra – Gianni Cavagnoli, “Cristo ieri, oggi e per sempre”. L’inedito cammino della Chiesa nell’anno liturgico (Preghiera e Liturgia 13), Centro Eucaristico, Ponteranica (BG) 2019, p. 85.

venerdì 2 agosto 2019

DOMENICA XVIII DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 4 Agosto 2019




Qo 1,2; 2,21-23; Sal 89 (90); Col 3,1-5.9-11; Lc 12,13-21



Il riconoscimento della fragilità e della caducità della nostra esistenza di fronte all’infinita grandezza di Dio e alla sua pienezza di vita, è la condizione prima per stabilire la verità nei nostri rapporti con Dio, sia nella preghiera che nella vita.


Il breve brano della prima lettura ci offre una visione profondamente disincantata della vita che ci lascia un po’ perplessi. Qoèlet, che di per sé vuol dire “Predicatore”, pseudonimo sotto cui si cela l’autore di questo libro dell’Antico Testamento, descrive un mondo che è vanità: “vanità delle vanità, tutto è vanità”. Si tratta di un pessimista che vede attorno a se soltanto il vuoto, il nulla, l’assurdità del vivere e dell’affannarsi quotidiano. Le cose, la vita, il mondo, tutto ciò che l’uomo ha costruito, è destinato a passare ad altri o a scomparire. Il Qoèlet guarda con disincanto, cinismo e profondo pessimismo al fondo delle esperienze umane. Su questo filone sapienziale si innesta il brano del vangelo, dove Gesù insegna a valutare e usare i beni terreni nell’orizzonte della fede in Dio creatore e Signore della vita. La sua istruzione prende lo spunto dall’intervento di uno della folla che gli dice: “Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità”. Nella sua risposta, Gesù non si perde nella “casistica”, ma rimane al suo livello altissimo di Maestro, che sa scoprire e indicare le ragioni ultime che determinano le divisioni e i contrasti fra gli uomini e che si riassumono praticamente nell’egoismo e nella cupidigia. Egli affida la sua risposta alla parabola del ricco insensato: un uomo abile nel coltivo dei suoi campi, ha raggiunto un buon raccolto e sogna per sé un futuro roseo. Ma Dio interviene e lo chiama “stolto” e aggiunge: “questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita”. E conclude il brano: “Così è di chi accumula tesori per sé, e non si arricchisce presso Dio”. Gesù non condanna il successo economico, ma ciò che a questo successo è stato sacrificato; il ricco della parabola ha reso gonfio il suo portafoglio, ma ha reso arido il suo cuore.



La parola di Dio che ci viene rivolta oggi è un invito a riflettere sulla scala dei valori che devono governare la nostra vita. Anche san Paolo nel brano della seconda lettura si muove nella stessa linea quando invita a guardare in alto, “dove è Cristo seduto alla destra di Dio”. Le cose terrene non sono il nostro orizzonte ultimo. Prendere coscienza della relatività del presente e delle cose, la loro fondamentale fragilità, la loro inadeguatezza, può avere una grande importanza ai fini di una retta impostazione della vita orientandola verso i beni definitivi. Non di soldi, ma di ben altre ricchezze ha bisogno il nostro cuore.



Possiamo concludere queste riflessioni dando uno sguardo all’affresco di Raffaello, chiamato “La scuola di Atene”, in cui sono raffigurati Aristotele e Platone. Il primo ha una mano protesa sulla terra, ma accanto Platone ha l’indice puntato verso il cielo. In questo quadro Raffaello ha saputo esprimere in modo geniale la duplice tendenza e vocazione dell’uomo, di conquistare la terra e di mirare al di là di essa, di esplorare la natura e di guardare oltre l’orizzonte del sensibile, che oggi si chiamerebbe lavorare e contemplare, impegnarsi nel quotidiano con lo sguardo fisso dove sono i valori trascendenti. L’eucaristia è al tempo stesso presenza e caparra di questi valori trascendenti e definitivi.