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domenica 17 marzo 2024

LITURGIA DEL FUTURO

 



 

Rivista Credere oggi, Anno XLIII, n. 3 maggio – giugno, n. 255: “Liturgia del futuro”.

Una liturgia che non parla più (Franco Garelli)

La relazione tra liturgia e ars celebrandi (Elena Massimi)

La rubrica come “non verbale”: una rivoluzione (Andrea Grillo)

La cura della forma rituale (Loris Della Pietra)

La potenza del simbolo. Il simbolo e la sua potenza (Maria Cristina Bartolomei)

Ripensare un passato recente: Casel e Guardini (Cyprian Krause)

Le lingue parlate e l’universalità complessa (Claudio Ubaldo Cortoni)

La discontinuità intorno alla “partecipazione attiva” (Donata Horak)

Un piccolo cantiere liturgico in rete (Ermanno Genre)

 

venerdì 15 marzo 2024

DOMENICA V DI QUARESIMA (B) – 17 Marzo 2024

 



 

 

Ger 31,31-34; Sal 50; Eb 5,7-9; Gv 12,20-33

 

Vicini ormai alla celebrazione della Pasqua, la tematica di questa domenica quaresimale ci propone il mistero di Cristo che, morendo sulla croce, diventa principio di salvezza per tutti. È Gesù stesso a rivelare il senso salvifico della sua morte (cf. vangelo). Alcuni greci venuti a Gerusalemme per la festa della Pasqua esprimono il desiderio di vedere Gesù. Si tratta di uomini che, pur non appartenendo al popolo d’Israele, sono timorati di Dio e cercatori sinceri della verità. Il loro desiderio non è una semplice curiosità, non si esaurisce in un semplice vedere, ma è un desiderio di conoscere e di credere. Questi greci vengono presentati dall’evangelista come personaggi emblematici, che rappresentano in qualche modo tutti coloro che cercano Gesù. Così viene interpretato dallo stesso Gesù che, vedendo in questi greci il primo frutto della sua passione, si dilunga in un discorso sulla sua imminente morte concluso con queste parole: “Io quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”. E l’evangelista aggiunge: “Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire”. Per mezzo di Gesù, l’uomo che si era allontanato da Dio ritorna a lui. All’antica alleanza ristretta al popolo d’Israele, succede la nuova e definitiva alleanza aperta a tutti i popoli.

 

Questa “alleanza nuova” è annunciata nel secolo VI a.C. dal profeta Geremia in una pagina che è uno dei vertici dell’Antico Testamento, proposta oggi come prima lettura. È la sola ed unica volta che una tale espressione ricorre nelle pagine dell’Antico Testamento. Tre sono i tratti caratteristici di questa nuova alleanza: l’interiorità (“porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore”); poi la spontaneità della relazione con Dio (“tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande”). Infine, il perdono del peccato che ha reso precaria l’antica alleanza (“perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato”). La nuova alleanza è scritta nel cuore. La morte di Gesù in croce ci insegna che Dio scrive la sua legge nel cuore dell’uomo amandolo fino all’estremo. L’amore, infatti, si impone non con la minaccia della punizione ma con la dolcezza del desiderio.

 

Il breve brano della lettera agli Ebrei, proposto come seconda lettura, illustra la stessa dottrina riscontrata nelle altre letture bibliche. Il dono della nuova alleanza è fatto persona in Gesù. Nella solidarietà e fedeltà, vissute nella forma estrema in un contesto di sofferenza mortale, Cristo diventa “causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono”. In altre parole, nel dono totale di sé al Padre Gesù sancisce la nuova ed eterna alleanza, diventa quindi il perfetto mediatore tra Dio e gli uomini. La croce ci insegna che l’efficacia della nostra vita è direttamente proporzionale alla capacità di dimenticare noi stessi. Nel mistero pasquale di morte e risurrezione si manifesta l’amore i Dio e si stabilisce l’alleanza nuova, che l’eucaristia continuamente ripresenta e realizza per noi.

domenica 10 marzo 2024

L’ALFABETO DI DIO



 

Gianfranco Ravasi, L’alfabeto di Dio, San Paolo, Cinisello Balsamo 2023. 319 pp. (€ 20,00).

 

Santa Teresa di Gesù Bambino confessava: “Se io fosse stata prete, avrei studiato a fondo l’ebraico e il greco per conoscere il pensiero divino nella forma in cui Dio si è degnato di esprimerla nel nostro linguaggio umano”.

Il cardinale Gianfranco Ravasi ci prende per mano e con la consueta maestria ci guida nella conoscenza meditata e profonda delle parole bibliche su cui si fonda la nostra fede.

 

(Quarta di copertina)

  

venerdì 8 marzo 2024

DOMENICA IV DI QUARESIMA (B) “Laetare”– 10 Marzo 2024

 



 

 

2Cr 36,14-16.19-23; Sal 136; Ef 2,4-10; Gv 3,14-21

 

Nei testi biblici di questa domenica si contrappongono il peccato dell’uomo e l’amore di Dio. Il Sal 136 è una meravigliosa e drammatica preghiera di lamentazione innalzata dagli ebrei esuli lungo i canali di Babilonia dopo la distruzione di Gerusalemme alla fine del VI secolo a.C. Questo testo esprime il dramma di tutto un popolo sradicato dalla sua terra e strappato ai suoi affetti più cari. La disperazione dell’esilio è controbilanciata dalla speranza del ritorno a Gerusalemme. Così come Babilonia è la personificazione della potenza del male, Gerusalemme rappresenta la patria definitiva in cui ogni lacrima sarà asciugata. Quella che fu esperienza d’Israele diventa drammaticamente esperienza di ciascuno di noi. Ma Cristo non ci ha abbandonato in balia del nostro peccato; con la sua vittoria sulla morte ha dato a tutti noi la possibilità di ritrovare il paradiso perduto. Il ricordo di questo evento è la nostra gioia.

 

La Pasqua ormai vicina, la Chiesa ci invita alla gioia (cf. antifona d’ingresso). Infatti, il Figlio dell’uomo è stato innalzato in croce, dice il brano evangelico, affinché chiunque crede in lui, abbia la vita eterna. Per far capire che cosa vuol dire credere nel Figlio dell’uomo, l’odierno brano del vangelo di Giovanni rimanda alla storia del popolo d’Israele che nel cammino del deserto si era ribellato contro Mosè e contro lo stesso Dio, per cui molti furono puniti con i morsi di serpenti velenosi e morirono. Avendo però gli israeliti riconosciuto il loro peccato, Dio promette che chiunque, morso dai serpenti, guarderà il serpente di rame collocato sopra un’asta, resterà in vita. La storia di Israele va interpretata come un messaggio profetico nel suo aspetto di severo giudizio sull’infedeltà del popolo e nel suo aspetto di accorato invito al pentimento fondato sulla fedeltà incondizionata di Dio. Il serpente innalzato da Mosè nel deserto è una prefigurazione di Gesù innalzato sulla croce. Il serpente di rame salvava perché presupponeva la fede nella parola di Dio che promette la salvezza. In modo analogo Gesù morto in croce è fonte di salvezza per chiunque vi riconosce la rivelazione dell’amore di Dio che “ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito; chiunque crede in lui ha la vita eterna” (canto al vangelo).

 

Alla nostra infedeltà e al nostro peccato si contrappongono la fedeltà e l’amore misericordioso di Dio. Al peccato che conduce l’uomo alla schiavitù e alla morte si contrappone l’amore di Dio che dona liberazione e salvezza. La prima lettura illustra lo stesso concetto: al peccato d’Israele che gli ha meritato la punizione della deportazione in Babilonia, si contrappone l’amore di Dio che, fedele alla sua parola, libera il suo popolo dall’oppressione e lo riconduce a Gerusalemme. La nostra salvezza non è fondata sui nostri meriti, ma sull’infinita ricchezza della misericordia di Dio. È ciò che ricorda san Paolo ai primi cristiani di Efeso: la salvezza “non viene da voi, ma è dono di Dio” (cf. seconda lettura). E tutto ciò, aggiunge l’Apostolo, trova pieno compimento in Cristo Gesù: “da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo”. L’ultima parola di Dio non è la morte ma la vita.

 

Quando si parla di “colpa” o di peccato si ha a che fare con il compimento o il fallimento di una esistenza: solo chi ha forte il senso della dignità dell’uomo davanti a Dio, del suo destino eterno, è capace di percepire quanto grande sia la tragedia del peccato. Paradossalmente però il peccato rivela chi è Dio: quanto più profondo è il rifiuto dell’uomo, tanto più grande appare l’abisso dell’amore divino, che la croce mostra in tutta la sua concretezza e veracità.

domenica 3 marzo 2024

L’EVOLUZIONE DEL MESSALE ROMANO DI PAOLO VI

 



 

Maurizio Barba, Il Messale Romano. Sviluppi dopo la terza edizione emendata (Theologia Uxentina 11), Edizioni Viverein, Roma 2023. 412 pp. (€ 20,00).

 

Cap. I. Il Giubileo d’oro del Messale Romano di Paolo VI: Da una lettura retrospettiva ad una riflessione in prospettiva.

Cap. II. La lavanda dei piedi.

Cap. III. Santa Maria Maddalena: prima testimone della risurrezione.

Cap. IV. La memoria di Maria Madre della Chiesa.

Cap. V. L’inserimento nel Calendario romano generale della memoria di santa Faustina Kowalska.

Cap. VI. La celebrazione della Beata Vergine Maria di Loreto nel culto della Chiesa universale.

Cap. VII. La memoria di san Paolo VI Papa nel ciclo eortologico della Chiesa.

Cap. VIII. L’iscrizione di nuove memorie dei santi Dottori della Chiesa nel Calendario romano.

Cap. IX. La memoria degli Hospites Domini di Betania nel Calendario romano generale.

Cap. X. Interazioni tra il Calendario romano generale e i Calendari propri: quali ambiti di attuazione delle tradizioni delle Chiese locali?

Indici biblico, dei nomi, generale.

venerdì 1 marzo 2024

DOMENICA III DI QUARESIMA (B) – 3 Marzo 2024

 



 

 

Es 20,1-17; Sal 18; 1Cor 1,22-25; Gv 2,13-25

 

La seconda parte del Sal 18, quella ripresa dalla liturgia odierna come salmo responsoriale, è un elogio della legge divina, fonte di vita e di gioia, di saggezza e giusto giudizio, di rettitudine, giustizia e purezza, più preziosa e dolce di ogni altra cosa. Il testo salmico trova compimento in Gesù. Egli stesso è legge per il nuovo popolo di Dio, indirizzo per la nostra esistenza, consolazione e conforto per le ore del dubbio. Perciò rinnoviamo a lui la professione di fede di Pietro: “Signore, tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68).

 

La liturgia odierna ci invita a rileggere, in chiave cristiana e pasquale, la pagina biblica dei dieci comandamenti o “dieci parole”, la cui promulgazione è riportata dalla prima lettura. Notiamo che il racconto non inizia con un comandamento ma col ricordo dell’opera divina di salvezza: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile”. Il comportamento etico dell’uomo viene proposto dalla Bibbia come risposta a Dio che si manifesta nella storia come liberatore e salvatore. D’altra parte, l’opera divina di salvezza ha il suo momento culminante nell’incarnazione, morte e risurrezione del Figlio Gesù Cristo, che ci ha liberati dalla schiavitù del peccato. Cristo è quindi colui che dà senso e qualità etica all’agire cristiano. Ciò viene confermato da san Paolo che nella seconda lettura afferma che la legge, o meglio la volontà salvifica di Dio non si manifesta né attraverso l’osservanza legale né attraverso la ricerca della ragione, ma in Cristo crocifisso: la croce, che testimonia l’amore folle di Dio per tutti gli uomini senza distinzione, contesta energicamente le idee correnti sul potere e sulla saggezza. La croce di Cristo, oltre che essere il frutto di una storia di iniquità e di peccato, è anche e soprattutto la storia di un amore assoluto che risplende proprio là dove si consuma l’odio.

 

Nel contesto delle due prime letture, il cui contenuto abbiamo succintamente illustrato, possiamo capire meglio il messaggio del brano evangelico di questa domenica. Apparentemente il racconto evangelico parla di tutt’altro argomento: Gesù scaccia i venditori e cambiamonete dal tempio. Possiamo interpretare questo gesto alla luce del messaggio dei profeti che avevano annunciato una futura purificazione del tempio (cf. Zc 14,21; Ml 3,1). Col suo modo di agire, provocato dallo zelo per la casa del Signore (cf. Sal 69,10), Gesù fa capire che il giorno annunciato dai profeti è venuto. Il gesto di Gesù che scaccia dal tempio i mercanti e i cambiamonete è quindi un gesto profetico che rivela l’identità di Gesù e il ruolo provvisorio del tempio e, in generale, il superamento delle istituzioni dell’Antico Testamento: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Con queste parole, Cristo dichiara superata la legge antica, di cui il tempio è simbolo centrale, e colloca se stesso come punto di riferimento dei nuovi rapporti dell’uomo con Dio. Cristo è egli stesso la nuova legge, colui che ha sancito l’alleanza definitiva tra Dio e gli uomini versando il proprio sangue sulla croce; il corpo di Cristo morto e risorto è il centro del nuovo culto e il tempio della nuova alleanza, in quanto è il luogo della presenza definitiva di Dio in mezzo agli uomini. Liberati in virtù di Cristo, possiamo vivere ormai una comunione profonda con Dio e con i fratelli. Tutto ciò è frutto della passione, morte e risurrezione di Gesù. È il segno che Gesù offre all’incredulità manifestata dai suoi interlocutori.

 

Gesù divenuto il nuovo tempio, inaugura un nuovo culto, il cui culmine è l’eucaristia, il suo corpo donato e il suo sangue versato per la nostra salvezza.

domenica 25 febbraio 2024

IL SACRO

 


 

 

Ho incontrato il sacro, gli sono andato incontro, in Bosnia. Erano pietre: di moschee, di chiese cattoliche e ortodosse, scombinate a terra a mucchio, là dove erano cadute. La materia di fabbrica spezzata conteneva l’intero, perché il residuo, il rimasuglio assorbe in sé il perduto. L’odio che abbatte il sacro in fondo lo restaura. Le solenni architetture che non mi avevano procurato l’accidente dell’incontro, ridotte in rovina dalle artiglierie, senza più polvere di crollo, lustrate dalle piogge e dalla neve, diventavano sacre. I sensi di un passante, uno straniero lento alle chiamate, avvisavano questo: che il sacro è crollo e poi risurrezione, non permanenza eterna di solidità, stabilità di luoghi e procedure. Abramo doveva alzare il coltello sulla nuda gola del figlio e Gesù non poteva morire di vecchiaia. Solo dopo i sensi, che hanno incontrato le macerie dei culti, si fa nitido il verso del profeta Michea/Micà che scrive: “Ki nafàlti kàmti” (7,8): “quando sono caduto mi sono alzato”. Dentro il frattempo dei crolli esiste e resiste il sacro, anche per uno senza credo, e che soltanto legge.

 

Fonte: Erri De Luca, Cercatori d’acqua (Le perline), Giuntina, Firenze 2023, pp. 70-71.