Le parole sono importanti perché danno
espressione a ciò che noi, come comunità nel mondo e, andando indietro, nel
tempo, crediamo circa la missione che ci è stata affidata in quanto discepoli.
Le parole inoltre esprimono, rendono pubblico, quel che c’è nei nostri cuori.
Le parole, le nostre parole e il nostro desiderio di usarle, sono ciò che ci
rendono umani e rivelano chi siamo come individui e come comunità. Proviamo
paura al pensiero di venir messi a tacere - e inorridiamo al pensiero di non
essere in grado di parlare e di esprimere il nostro amore per chi ci circonda.
Le parole sembrano tanto semplici - ma dove saremo senza di loro?
Usiamo le stesse parole più e più volte così che,
ripetendole, esse penetrano nella nostra coscienza - ma in questo modo sorge
anche il pericolo che possano ridursi a una formula, una tiritera, ripetuta a
pappagallo, “solo parole”, insomma. Ma le parole hanno un valore. Esse ci
uniscono come esseri umani, ci consentono di capire, di crescere come discepoli
e di lodare il nostro Creatore. Una umanità senza parole sarebbe, in tutti i
sensi “impedita”. Tuttavia, se le parole che descrivono delle azioni e delle
cose non si collegano a quelle azioni e a quelle cose, perdono il loro
significato. E quando ciò accade, le abbandoniamo perché non sono altro che
rumore, o ne diffidiamo come fossero fumo negli occhi.
Non possiamo celebrare senza parole, ma se le
parole hanno smarrito il loro legame di senso con il resto della vita, allora
non avremo una celebrazione liturgica…
Fonte: Thomas O’Loughlin, Quale Mensa per noi
tu prepari! L’Eucaristia come evento che plasma un popolo, Queriniana,
Brescia 2025, pp. 47-48.