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venerdì 31 marzo 2023

DOMENICA DELLE PALME E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE (A) 2 Aprile 2023

 



 

Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Mt 26,14 – 27,66

 

 

Questa domenica introduce nella celebrazione del mistero pasquale di Gesù, mistero di morte e di vita. Ecco perché la liturgia ci presenta questi due quadri: l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme in cui la folla lo acclama re benedetto dal Signore e le ore tragiche del tradimento, della solitudine e della passione e morte in croce. Gesù entra in Gerusalemme per dare compimento al mistero della sua morte e risurrezione. Al tempo stesso che noi commemoriamo questo evento, chiediamo la grazia di seguirlo fino alla croce, per partecipare della sua risurrezione (cf. colletta).

 

La prima lettura, tratta dal profeta Isaia, parla di un giusto sempre disponibile all’ascolto della parola di Dio e alla proclamazione del messaggio di salvezza a favore degli oppressi, e quindi proprio per questo perseguitato. Questo servo giusto e fedele di Dio trova il suo pieno riscontro nel Cristo che deve pagare con la morte la sua volontà di liberare l’uomo dalla oppressione che lo tiene in soggezione. Il racconto della passione, che leggiamo nel vangelo di Matteo, descrive questo dramma. Infine, san Paolo nella seconda lettura ci ricorda che in questo modo Cristo è giunto alla vita e ha aperto a noi le porte della vita. Il prefazio della messa proclama sinteticamente: “Con la sua morte lavò le nostre colpe e con la sua risurrezione ci acquistò la salvezza”.

 

La passione e morte di Gesù è raccontata dai quattro evangelisti con diversità di accentuazioni. Ogni evangelista pur raccontando lo stesso avvenimento, esprime la propria personalità, soffermandosi sull’uno o sull’altro particolare, cosicché i quattro racconti presi insieme offrono una visione plurima e diversificata dell’unico evento.

 

Le caratteristiche fondamentali del modo con cui Matteo presenta la figura di Gesù negli eventi della passione si possono riassumere attorno a tre temi fondamentali: - Gesù subisce l’oltraggio degli uomini, ma lo fa in modo pienamente consapevole e non passivo, rimanendo pieno padrone della propria sorte. La morte non è stata per lui una fatalità ineluttabile a cui rassegnarsi, ma una scelta sofferta e consapevole di coerente fedeltà. Alla luce di questa consapevolezza vengono ridimensionati gli sforzi di Giuda e i complotti dei suoi avversari per arrestarlo – In verità, ciò che nella passione si compie è il disegno di Dio manifestato nelle Scritture. La passione e morte di Gesù è il compimento delle Scritture e quindi delle promesse di salvezza fatte da Dio al popolo d’Israele. Matteo, insistendo sulla realizzazione delle Scritture, ci fa capire che il progetto di Dio e l’obbedienza del Figlio a Lui vanno avanti nonostante l’incomprensione e l’ostilità dell’uomo, anzi, paradossalmente proprio attraverso di esse. - La morte di Gesù è presentata come un evento definitivo nella storia dell’umanità. Con il suo sacrificio, Gesù inaugura un nuovo periodo della storia, i cosiddetti tempi ultimi, i tempi in cui ha inizio il dominio di Dio sul mondo. Gli sconvolgimenti tellurici, la terra che trema e le rocce che si spezzano, ne sono un segno. Tutto viene sconvolto da quell’ultimo respiro che, invece di dire morte, ridona la vita e apre alla totale comunione con Dio, dato che non c’è più un velo che separa la dimora di Dio da quella degli uomini.

 

Nel dramma di Gesù si compie il dramma di ciascuno di noi. La sofferenza che proviene dalla coerenza e dalla fedeltà a Dio, alla verità, alla giustizia, apparentemente porta alla sconfitta, al fallimento, addirittura alla morte; in realtà però, essa conduce alla vita. Così è stato in Cristo, e così è in noi.

 

 

 

domenica 26 marzo 2023

UNA FEDE CHE SI INTERESSA DELLA VITA DELLA CITTÀ

 



 

La condizione postsecolare si caratterizza per la possibilità di liberi scambi dialogici tra credenti di fedi diverse e non credenti, promuovendo cittadini che si muovono con consapevolezza in contesti plurali congedandosi dalla contrapposizione “storica” tra secolare e religioso. La sfera di discussione pubblica globale vede crescere al proprio interno un confronto disinvolto su questioni di carattere religioso, senza una schierata contrapposizione ideologica. L'intenzione non è certamente quella di operare un'apologia del religioso a scapito di altre opzioni di senso, ma di evidenziare questa nuova sensibilità che sa collocarsi in uno spazio comune in cui all'esperienza religiosa viene riconosciuto un senso in ordine alla ricerca del vero e del bene, con pieno diritto di parola. In questa prospettiva, si comprende come il cristianesimo possa esibire credenziali sufficienti per abitare lo spazio pubblico, a patto che prenda sul serio la sua costitutiva responsabilità nella promozione di un umanesimo integrale. Un tempo di passaggio, dunque, ma anche un tempo opportuno (kairos), dove si stanno prendendo le misure perché il Vangelo possa recuperare la sua freschezza, la sua forza propulsiva e immaginativa. Il ripensamento che si sollecita è ad ampio raggio, chiedendo una revisione in ambito teologico che passa dall’antropologia alla teologia fondamentale, all’ecclesiologia e alla pastorale, con una riflessione accurata sui cambiamenti che interesseranno la chiesa locale nella sua presenza capillare su un territorio in trasformazione a motivo di una urbanizzazione accelerata e di una altrettanto accelerata digitalizzazione della comunicazione.

Fonte: Mariangela Petricola, Teologia e spazio pubblico. Cristianesimo e nuove narrazioni, Cittadella Editrice, Assisi 2020, p. 164.

venerdì 24 marzo 2023

DOMENICA V DI QUARESIMA ( A ) – 26 Marzo 2023

 



 

 

Ez 37,12-14; Sal 129; Rm 8,8-11; Gv 11,1-45

 

 

Questa domenica contiene un messaggio unitario, un messaggio di vita, di quella vita nuova che, ricevuta nel battesimo, si rinnova continuamente nel processo di conversione e nel segno sacramentale della riconciliazione. La vita promessa da Dio agli esuli a Babilonia attraverso gli oracoli del profeta Ezechiele, di cui parla la prima lettura, e concretamente offerta a Lazzaro nell’ultimo dei miracoli di Gesù narrato da san Giovanni nel vangelo d’oggi, è simbolo e profezia di questa vita nuova. Si tratta della stessa vita di cui parla san Paolo nella seconda lettura, una vita che è frutto della giustificazione. È questa l’interpretazione che fa il testo del prefazio della messa: Cristo, Dio Signore della vita, che richiamò Lazzaro dal sepolcro, “oggi estende a tutta l’umanità la sua misericordia, e con i suoi sacramenti ci fa passare dalla morte alla vita”.

 

Nel lungo brano del vangelo d’oggi, il centro di tutto il racconto non è tanto la descrizione del miracolo della risurrezione di Lazzaro, quanto l’autoproclamazione di Gesù che dice: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”. La risurrezione di Lazzaro è quindi segno e garanzia di una realtà di vita più sublime: Gesù promette una vita che va aldilà della morte. Anche Lazzaro, dopo la risurrezione miracolosa operata da Gesù, rimarrà sottoposto alla legge della morte biologica. Non è questa però che ci deve spaventare. La vera morte è quella di colui che non accoglie il messaggio di Gesù e, chiudendosi nel suo peccato, rende vana l’azione di Dio che offre la salvezza attraverso suo Figlio. Oltre la morte del nostro corpo, c’è ancora la vita, c’è la risurrezione. Questa vita definitiva non è solo una realtà futura, è già inizialmente presente in noi e cresce nella misura in cui siamo fedeli agli impegni del battesimo col quale siamo stati introdotti nel regno della vita vera e definitiva.

 

La Scrittura compara il peccato alla morte. Così anche san Paolo ci ricorda oggi che il “corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia”. Possiamo spiegare questa affermazione con altre parole: nel corpo morto a causa del peccato viene ad abitare mediante la fede e il battesimo lo Spirito che è vita, cioè un nuovo dinamismo interiore che attinge alla forza di Dio e ci libera dalla tirannide del peccato e della morte. Dobbiamo quindi interrogarci su questa “vita” che è in noi, la vita dello Spirito, la quale è già vita definitiva e risorta che culminerà alla fine nella risurrezione dei nostri corpi. Se veramente crediamo in questo mistero che è in noi, la nostra esistenza si aprirà al dono di Dio e cercherà di sintonizzare sulla sua santa volontà. La parola di Dio in questa domenica di Quaresima ci invita ad aprire il sepolcro dei nostri egoismi, delle nostre cattiverie, del nostro peccato, affinché possa irrompere in noi la vita di Cristo.

 

L’eucaristia è nutrimento e garanzia di questa vita. Ha detto Gesù: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54).

 

domenica 19 marzo 2023

NOSTRA SIGNORA “DEL TELEFONINO”

 



 

I titoli con cui i fedeli venerano la Madonna sono tanti. Oltre a quelli con cui la si invoca nelle Litanie Lauretane e nelle Litanie per il rito di incoronazione della beata Vergine Maria, litanie contenute nei libri liturgici del Rito Romano, la pietà popolare ne ha sfornato molti altri. La nota enciclopedia Wikipedia ne offre un corposo elenco alla voce “Titoli mariani”: titoli legati ai dogmi; titoli antichi; titoli legati ad apparizioni o icone miracolose; altri titoli legati all’iconografia; altri titoli derivati da apparizioni; altri titoli locali.

Nel secolo XVI si moltiplicarono i formulari litanici, non solo mariani, che non di rado erano di cattivo gusto e frutto di una pietà poco illuminata. Giustamente il Direttorio su pietà popolare e liturgia, avverte che “una proliferazione di formulari litanici non sarebbe utile dal punto di vista pastorale come, d’altra parte, una limitazione rigorosa mostrerebbe di non tenere sufficientemente conto delle ricchezze di alcune Chiese locali o famiglie religiose” (n. 203).

In questi giorni mi è capitato di scoprire un quadro della Madonna col telefonino, trovato in una piccola esposizione di opere pittoriche di diverso genere. L’immagine è dignitosa, ma… tutto qui. Ci può invitare ad usare il cellulare con discrezione.

 

 

venerdì 17 marzo 2023

DOMENICA IV DI QUARESIMA ( A ) – 19 Marzo 2023

 


 

 

1Sam 16,1b.6-7.10-13; Sal 22; Ef 5,8-14; Gv 9,1-41

 

Il racconto della guarigione del cieco nato operata da Gesù e riportata dal brano evangelico odierno è un miracolo in due tempi caratterizzati da due incontri dell’uomo cieco con Gesù: nel primo incontro Gesù, dopo aver spalmato del fango sugli occhi del cieco, lo invia a lavarsi alla piscina di Siloe. Quegli va, si lava e torna che ci vede. L’uomo ormai guarito della cecità ha un secondo incontro con Gesù. Questo nuovo incontro è collocato alla fine di un itinerario di prove e di incomprensioni che porta il nostro uomo a riscoprire un’altra luce, quella di Cristo che egli esprime con la professione di fede: “Credo, Signore”, e con il gesto dell’adorazione: “E si prostrò dinanzi a lui”. Nel racconto di san Giovanni, il dono della vista del corpo è simbolo del dono della fede. Notiamo che nei due casi è Gesù che ha l’iniziativa: è lui che, passando, vede il cieco; ed è ancora lui che, avendo saputo che era stato cacciato dai farisei, lo incontra per guidarlo alla fede.

 

San Paolo ci ricorda nella seconda lettura che non basta incontrare la luce della fede in Cristo. Essa deve permeare la nostra vita. Se siamo stati illuminati con la luce della fede, dobbiamo comportarci “come i figli della luce”, il cui frutto “consiste in ogni bontà, giustizia e verità”. Si tratta di tre dimensioni che abbracciano l’intera esistenza umana. Da parte sua, la prima lettura, tratta dal primo libro di Samuele, illustra le caratteristiche che deve avere il nostro sguardo di credenti. C’è modo e modo di vedere; c’è un vedere che si ferma alla superficie delle cose e degli avvenimenti, e un vedere che va oltre le apparenze. Nella scelta di Davide, il più piccolo dei figli di Iesse, si manifesta il criterio della fede. Dice il Signore a Samuele: “Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore”.

 

Ritornando al brano evangelico, il racconto della guarigione miracolosa del cieco nato, ci fa capire che la fede è un itinerario. Il cieco, come il catecumeno, arriverà ad essa per tappe. Il progressivo avvicinarsi del cieco alla luce è in parallelo contrasto con la progressiva cecità dei farisei. Tre volte il cieco dichiara di non sapere (vv. 22.25.36): riconosce dunque la sua cecità. Tre volte invece i farisei dichiarano di sapere (vv. 16.24,29): è questa pretesa di sapere che giustifica il duro giudizio nei loro confronti (v. 41). I farisei presumono di sé, sono chiusi nella loro verità, credono di avere già la luce: per questo non sono aperti alla novità di Gesù.

 

Come il cieco del racconto, possiamo e dobbiamo approfondire sempre di più il nostro incontro con Cristo. Si tratta di un itinerario impegnativo. Confessare la propria adesione a Cristo può comportare l’opposizione del mondo, come nel caso del cieco nato, che non viene difeso neppure dai suoi parenti ed è escluso dalla comunità. Questo itinerario laborioso e impegnativo lo si compie guidati dallo stesso Cristo che, per primo, si rivela a noi. Illuminati dalla luce che è Cristo, la nostra esistenza diventa luminosa e siamo capaci di interpretare le vicende della vita con gli occhi della fede. L’eucaristia a cui partecipiamo è “mistero della fede”. Il cammino di fede iniziato nel battesimo ci conduce all’eucaristia, come al suo termine logico. E’ nell’eucaristia che viviamo in pienezza il nostro incontro con Cristo e con i fratelli.

 

domenica 12 marzo 2023

LA SIMBOLOGIA DEL NUMERO 3

 



 

Gianfranco Ravasi, Tre. Divina aritmetica (Storie di numeri), il Mulino, Bologna 2023, 175 pagine (€ 13,00).

 

Tre Cantiche della Divina Commedia, tre Grazie, tre Parche, tre volte Sanctus è Dio nel canone della messa; ma sono tre anche gli atti di un’opera lirica e i movimenti di un concerto; senza dimenticare le trilogie amicali della letteratura, come i moschettieri di Dumas o gli uomini in barca di Jerome. Tre è la cifra che ci riporta subito alla Trinità cristiana, ma che è norma regolatrice di perfezione per tante altre realtà. Una presenza ubiqua, una vera e propria ossessione ternaria dove anche il sapere popolare ci ricorda che “non c’è due senza tre”. Addentriamoci dunque nella sala di quell’ideale castello che reca sull’architrave il numero tre, passando attraverso la musica, le triadi bibliche e classiche, naturali e scientifiche, poetiche, letterarie e sacre. Alla scoperta di un numero che trascende la semplice aritmetica.

(risvolto del libro)

 

Premessa.

I. I tre, molto più di un numero.

II. Le triadi naturali.

III. La triade antropologica.

IV. Le triadi letterarie.

V. Triadi sacre.

VI. Triadi bibliche.

VII. La trinità.

Concludendo.

Nota bibliogafica.

 

venerdì 10 marzo 2023

DOMENICA III DI QUARESIMA ( A ) – 12 Marzo 2023

 



 

 

Es 17,3-7; Sal 94; Rm 5,1-2.5-8; Gv 4,5-42

 

 

La liturgia di questa domenica e delle due successive ci invita a rivivere le grandi tappe attraverso le quali i catecumeni erano (e sono) condotti alla riscoperta delle esigenze profonde della conversione a Cristo per mezzo dei simboli dell’acqua, della luce e della vita. In questa domenica ci viene proposta l’immagine di Gesù come acqua viva capace di dissetare ogni desiderio umano e di donare la vita piena ed eterna a coloro che chiedono di attingere alla sua fonte.

 

La sete di Israele nel deserto, di cui parla la prima lettura, e la sete di Gesù a Sicar, di cui parla il brano evangelico, ci illustrano il tormento dell’umanità che cerca la verità, che cerca Dio. Nel dialogo con la Samaritana Gesù promette un’acqua che disseta per sempre. Attraverso l’immagine dell’acqua viva, cioè di sorgente, Gesù intende sottolineare la sua capacità di comunicare all’uomo reali valori di vita, che siano in grado di salvarlo. Infatti, la sete, come la fame e forse di più, oltre ad essere uno specifico bisogno corporale dell’uomo, rappresenta un “simbolo” totalizzante dei diversi e numerosi desideri e aspirazioni dell’uomo. In ciascuno di noi ci sono molteplici desideri, bisogni, aspirazioni. Si potrebbe dire che la nostra vita è fatta più da desideri che da realtà possedute. Ci portiamo dentro un vuoto che non riusciamo a riempire. Naturalmente, non è sbagliato avere dei desideri; sbagliato è restringere i desideri del nostro cuore a oggetti troppo limitati, meschini. Dio ci offre un dono, l’unico in grado di appagare la nostra sete di felicità.

 

Gesù ci toglie la nostra sete rinnovando i rapporti interpersonali, insegnandoci la verità del nostro rapporto con Dio e donandoci lo Spirito che rende autentici l’uno e gli altri. La vita e la salvezza che dona Gesù crescono in noi nella misura in cui accogliamo la sua parola. D’altra parte, l’Apostolo Paolo ci ricorda, nella seconda lettura, il carattere assolutamente gratuito del dono della salvezza, da noi immeritata, ma ora a nostra piena disposizione se accolta nella fede. Nel dialogo con la Samaritana, Gesù cerca di condurre la sua interlocutrice a questa stessa consapevolezza quando le dice: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: dammi da bere!” Conoscere il dono di Dio significa che al di là dei nostri bisogni immediati e dei nostri desideri c’è qualcosa di più grande che possiamo solo ricevere come un dono dalla mano di Dio.

 

La sete di salvezza si soddisfa nell’eucaristia. San Giovanni Crisostomo afferma: “Mosè percosse la roccia e ne ricavò torrenti d’acqua, (Cristo) tocca la mensa eucaristica, batte la tavola spirituale e fa scaturire le fonti dello Spirito” (Catechesi II).

 

domenica 5 marzo 2023

LE TRE DIMENSIONI DEL TEMPO E L’ANNO LITURGICO

 



 

Si può affermare che l’Anno liturgico è una realtà che proprio nel tempo trova il parametro per definirsi. Appare quindi del tutto ovvio che nell’affrontare la natura del ciclo delle celebrazioni annuali della liturgia ci si riferisca alla categoria “tempo” come valore teologico, cioè non al tempo come tale, ma a ciò che in esso avviene in conformità al piano salvifico di Dio e che qualifica l’esperienza dei credenti. Così fa la Costituzione Sacrosanctum Concilium, al n.102, quando parla del senso dell’Anno liturgico, afferma che la Chiesa nel ciclo annuale fa memoria dei misteri della redenzione in modo da renderli presenti a tutti i tempi a beneficio dei fedeli in attesa della beata speranza e del ritorno del Signore.

 

In questa descrizione dell’Anno liturgico, vengono individuate tre dimensioni temporali: presente, passato e futuro. Il presente della celebrazione dei misteri della redenzione (ut omni tempore quodammodo praesentia reddantur);  il passato storico di cui si fa memoria (opus salutiferum...sacra recordatione celebrare - mysteria redemptionis ita recolens); il futuro atteso del compimento (ad exspectationem beatae spei et adventus Domini). Si noti però che il passato è presente nella memoria e il futuro lo è nell’attesa. Si potrebbe quindi affermare, con sant’Agostino, che le tre dimensioni temporali sono sempre dimensioni del presente: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l’attesa. L’oggi porta con sé lo spessore della memoria e la speranza del domani. Nell’esperienza religiosa il presente acquista un particolare valore perché è lo spazio dove possiamo giungere a quella soglia liminare della nostra persona attraverso la quale la Vita fluisce, oltre la quale perciò, percepiamo un Bene che rimane, una Verità che ci trascende, una Presenza che ci alimenta. Perciò la forma più ricca dell’esperienza religiosa si ha quando siamo in grado di abbandonarci a questa Presenza immergendovici totalmente.

 

Non ci sono due presenti, uno divino e uno umano, come non c’è una storia umana e una storia di salvezza; esiste un’unica storia sacra, dove il disegno di Dio trova attuazione umana; c’è quindi un solo presente che può essere vissuto secondo dinamiche di eternità. Vivere il presente è consentire al Presente eterno di esprimersi nel nostro piccolo spazio temporale secondo la successione degli eventi. L’hodie dei testi della liturgia appartiene quindi più alla sfera di Dio, alla sfera del Presente eterno, che a quella dell’uomo storico. La celebrazione liturgica, infatti, non è tanto una azione che parte dall’uomo verso Dio, quanto piuttosto un momento dell’azione salvifica di Dio che si rivela e si rende presente all’uomo. È un presente pneumatico. L’hodie è la categoria celebrativa per eccellenza che contiene e celebra la presenza, per opera dello Spirito, del mistero pasquale di Cristo per noi. In quanto collocata nella storia, la singola celebrazione è qualcosa di “nuovo” rispetto a ciò che la precede, qualcosa di unico e irripetibile rispetto a tutti gli altri eventi. In questo “nuovo” si colloca l’azione imponderabile dello Spirito che agisce sull’assemblea concretamente riunita in un tempo e in uno spazio specifici.

 

Si noti che la memoria può essere strumentalizzata a discapito della storia. Certi riti “memoriali” intralciano non di rado la comprensione equilibrata dei fatti storici. Pensiamo all’abuso che della storia hanno compiuto i regimi totalitari, per distorcere o cancellare a proprio vantaggio la memoria. L’hodie liturgico, invece, riconcilia memoria e storia. Proclamando nel rito l’hodie dell’evento storico, la liturgia lo sottrae ad eventuali manipolazioni della memoria: il tempo di Gesù, infatti, anche se mantiene intatta tutta la sua pregnanza storica, ha acquistato la funzione di un tempo primordiale fondante e permanente, che sostiene, dà vita e vigore al presente. L’hodie liturgico è fondato da questo evento unico e irripetibile e solo in questo evento trova consistenza. Il rito, quindi, non è manipolazione del tempo, ma memoriale di quel che è avvenuto una volta, espressione di fedeltà al manifestarsi di Dio nella storia e segno di speranza nel futuro adempimento di questo manifestarsi salvifico di Dio. 

 

Di qui l’importanza della Parola di Dio e, in particolare, della proclamazione del Vangelo, nella celebrazione liturgica. L’espressione in illo tempore, presente nelle pericopi evangeliche proclamate dalla liturgia, non esprime alcun ricordo storico di qualcosa di passato, ma ha la capacità di dischiudere il tempo e di rendersi presente in ogni momento. La celebrazione è il punto di incontro tra l’esperienza religiosa, che si basa sull’evento fondante, e il linguaggio simbolico, che rivela quell’evento e ne mantiene il senso lungo la storia. Non si ripete il tempo salvifico di un determinato evento storico, ma è l’uomo, vivente all’interno delle leggi dello spazio e del tempo, che si ripete entrando in comunicazione con ciò che permane quale perenne presente dietro il tempo che fugge: l’invito di Dio alla salvezza. Dietro a tutti gli avvenimenti, che la Scrittura racconta, c’è il vivo fluire della corrente della vita divina, che non conosce interruzione alcuna. Nel presente di Dio, che una volta ha salvato, quel che la liturgia celebra diventa “oggi” presente.

 

venerdì 3 marzo 2023

DOMENICA II DI QUARESIMA ( A ) – 5 Marzo 2023

 



 

Gen 12,1-4a; Sal 32 (33); 2Tm 1,8b-10; Mt 17,1-9.

 

La Bibbia non vede l’universo come semplice “natura” ma come realtà “creata”, e la storia non la considera come ineluttabile “destino” ma come “progetto” di Dio in cui l’uomo è chiamato a collaborare. Dio è fedele alle sue promesse. Chi confida in lui non deve temere il caos, perché “egli è nostro aiuto e nostro scudo”. Perciò il ritornello del salmo reponsoriale ci invita a ripetere: “Donaci, Signore, il tuo amore: in te speriamo”. Nel cammino di conversione iniziato con la Quaresima, questo salmo ci esorta ad aprire il cuore alla speranza fondata sulla certezza che Dio è con noi per confortare i nostri passi incerti e timorosi sulla strada del vangelo di Gesù e liberarci da tutto ciò che conduce alla morte.

 

La prima lettura ci propone la figura del patriarca Abramo, chiamato da san Paolo “padre di tutti i credenti” (Rm 4,11). Il Signore si rivolge al santo patriarca e gli dice: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò...” Abramo obbedisce all’ordine divino. Egli ha il coraggio di rompere con le proprie sicurezze per rischiare un futuro umanamente incerto. La Lettera agli Ebrei dice che Abramo partì per fede “senza sapere dove andava” (Eb 11,8). La forza per intraprendere questo cammino di fede, nel quale non sono assenti le oscurità, gli viene dalla fiducia che ha nella parola di Dio. Anche noi, come Abramo, siamo chiamati a manifestare la nostra fiducia nel Signore sradicandoci giorno per giorno dalla terra del nostro egoismo, dalle proprie idolatrie, per metterci sulla strada di un’altra terra, quella indicata da Dio. Possiamo dire che è anche questo il senso del digiuno a cui la Chiesa ci invita durante la Quaresima: siamo chiamati a compiere dei gesti che ci liberino dalle nostre debolezze e ci rendano più disponibili a compiere nuovi passi nel cammino della coerenza evangelica.

 

Il brano del vangelo può essere interpretato nella stessa prospettiva. Domenica scorsa abbiamo visto Gesù uscire vittorioso dalle insidie del tentatore perché si è fidato di suo Padre, perché non ha avuto paura di sottomettere la propria libertà, i propri progetti alla volontà e al progetto che Dio ha su di lui. Tutto questo significa, implicitamente, per Gesù iniziare il cammino verso la passione. L’esperienza della trasfigurazione che ci narra il vangelo è da leggersi in questo contesto. La meta del cammino intrapreso da Gesù è la risurrezione, di cui la trasfigurazione è anticipo, ma la strada passa attraverso l’esperienza dolorosa della passione e della morte. Questa è la verità che Gesù intende far capire ai tre discepoli che l’hanno accompagnato. Perciò, dopo averli resi testimoni della gloria della trasfigurazione, Egli annuncia la sua morte e risurrezione. Nella seconda lettura, san Paolo ci rassicura: nella vita dobbiamo fare i conti con la sofferenza e anche con la morte, ma non sono queste le realtà che avranno il sopravvento. Grazie a Cristo, Dio ci chiama e ci dona l’immortalità: Cristo Gesù “ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità...”  E in un’altra parte, lo stesso Apostolo ritiene che “le sofferenze del momento presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi” (Rm 8,18 – cf. Ufficio delle letture, seconda lettura tratta dai Discorsi di san Leone Magno).

 

La conversione è un cammino verso una vita rinnovata ad immagine di Cristo risorto. In questo cammino ci guida la luce della stessa parola di Gesù, a cui il Padre ci ha detto di ascoltare: “Questi è il mio Figlio, l’amato: ascoltatelo!” (canto al vangelo - cf. Mc 9,7), e ci nutre l’eucaristia cibo del nostro pellegrinaggio (cf. orazione dopo la comunione).