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domenica 5 marzo 2023

LE TRE DIMENSIONI DEL TEMPO E L’ANNO LITURGICO

 



 

Si può affermare che l’Anno liturgico è una realtà che proprio nel tempo trova il parametro per definirsi. Appare quindi del tutto ovvio che nell’affrontare la natura del ciclo delle celebrazioni annuali della liturgia ci si riferisca alla categoria “tempo” come valore teologico, cioè non al tempo come tale, ma a ciò che in esso avviene in conformità al piano salvifico di Dio e che qualifica l’esperienza dei credenti. Così fa la Costituzione Sacrosanctum Concilium, al n.102, quando parla del senso dell’Anno liturgico, afferma che la Chiesa nel ciclo annuale fa memoria dei misteri della redenzione in modo da renderli presenti a tutti i tempi a beneficio dei fedeli in attesa della beata speranza e del ritorno del Signore.

 

In questa descrizione dell’Anno liturgico, vengono individuate tre dimensioni temporali: presente, passato e futuro. Il presente della celebrazione dei misteri della redenzione (ut omni tempore quodammodo praesentia reddantur);  il passato storico di cui si fa memoria (opus salutiferum...sacra recordatione celebrare - mysteria redemptionis ita recolens); il futuro atteso del compimento (ad exspectationem beatae spei et adventus Domini). Si noti però che il passato è presente nella memoria e il futuro lo è nell’attesa. Si potrebbe quindi affermare, con sant’Agostino, che le tre dimensioni temporali sono sempre dimensioni del presente: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l’attesa. L’oggi porta con sé lo spessore della memoria e la speranza del domani. Nell’esperienza religiosa il presente acquista un particolare valore perché è lo spazio dove possiamo giungere a quella soglia liminare della nostra persona attraverso la quale la Vita fluisce, oltre la quale perciò, percepiamo un Bene che rimane, una Verità che ci trascende, una Presenza che ci alimenta. Perciò la forma più ricca dell’esperienza religiosa si ha quando siamo in grado di abbandonarci a questa Presenza immergendovici totalmente.

 

Non ci sono due presenti, uno divino e uno umano, come non c’è una storia umana e una storia di salvezza; esiste un’unica storia sacra, dove il disegno di Dio trova attuazione umana; c’è quindi un solo presente che può essere vissuto secondo dinamiche di eternità. Vivere il presente è consentire al Presente eterno di esprimersi nel nostro piccolo spazio temporale secondo la successione degli eventi. L’hodie dei testi della liturgia appartiene quindi più alla sfera di Dio, alla sfera del Presente eterno, che a quella dell’uomo storico. La celebrazione liturgica, infatti, non è tanto una azione che parte dall’uomo verso Dio, quanto piuttosto un momento dell’azione salvifica di Dio che si rivela e si rende presente all’uomo. È un presente pneumatico. L’hodie è la categoria celebrativa per eccellenza che contiene e celebra la presenza, per opera dello Spirito, del mistero pasquale di Cristo per noi. In quanto collocata nella storia, la singola celebrazione è qualcosa di “nuovo” rispetto a ciò che la precede, qualcosa di unico e irripetibile rispetto a tutti gli altri eventi. In questo “nuovo” si colloca l’azione imponderabile dello Spirito che agisce sull’assemblea concretamente riunita in un tempo e in uno spazio specifici.

 

Si noti che la memoria può essere strumentalizzata a discapito della storia. Certi riti “memoriali” intralciano non di rado la comprensione equilibrata dei fatti storici. Pensiamo all’abuso che della storia hanno compiuto i regimi totalitari, per distorcere o cancellare a proprio vantaggio la memoria. L’hodie liturgico, invece, riconcilia memoria e storia. Proclamando nel rito l’hodie dell’evento storico, la liturgia lo sottrae ad eventuali manipolazioni della memoria: il tempo di Gesù, infatti, anche se mantiene intatta tutta la sua pregnanza storica, ha acquistato la funzione di un tempo primordiale fondante e permanente, che sostiene, dà vita e vigore al presente. L’hodie liturgico è fondato da questo evento unico e irripetibile e solo in questo evento trova consistenza. Il rito, quindi, non è manipolazione del tempo, ma memoriale di quel che è avvenuto una volta, espressione di fedeltà al manifestarsi di Dio nella storia e segno di speranza nel futuro adempimento di questo manifestarsi salvifico di Dio. 

 

Di qui l’importanza della Parola di Dio e, in particolare, della proclamazione del Vangelo, nella celebrazione liturgica. L’espressione in illo tempore, presente nelle pericopi evangeliche proclamate dalla liturgia, non esprime alcun ricordo storico di qualcosa di passato, ma ha la capacità di dischiudere il tempo e di rendersi presente in ogni momento. La celebrazione è il punto di incontro tra l’esperienza religiosa, che si basa sull’evento fondante, e il linguaggio simbolico, che rivela quell’evento e ne mantiene il senso lungo la storia. Non si ripete il tempo salvifico di un determinato evento storico, ma è l’uomo, vivente all’interno delle leggi dello spazio e del tempo, che si ripete entrando in comunicazione con ciò che permane quale perenne presente dietro il tempo che fugge: l’invito di Dio alla salvezza. Dietro a tutti gli avvenimenti, che la Scrittura racconta, c’è il vivo fluire della corrente della vita divina, che non conosce interruzione alcuna. Nel presente di Dio, che una volta ha salvato, quel che la liturgia celebra diventa “oggi” presente.