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domenica 31 gennaio 2021

Memoria di sant’Agata, Vergine e Martire (5 febbraio)

 



 

Agata subì il martirio a Catania, probabilmente sotto Decio (251). Nel canone romano il suo nome è associato a quello di santa Lucia. L’antico Martirologio geronimiano (secolo V) colloca la sua “deposizione” al 5 febbraio, data in cui la memoria della santa è stata sempre celebrata nella liturgia romana. Nei secoli V/VI sant’Agata era venerata sia in Occidente che in Oriente.

 

Colletta del Messale del 1962:

Deus, qui inter cetera potentiae tuae miracula etiam in sexu fragili victoriam martyrii contulisti: concede propitius; ut, qui beatae Agathae Virginis et Martyris tuae natalicia colimus, per eius ad te exempla gradiamur.

 

Colletta dei Messali del 1970 e del 2002:

Indulgentiam nobis, quaesumus, Domine, beata Agatha virgo et martyr imploret, quae tibi grata semper exstitit et virtute martyrii et merito castitatis.

 

“Donaci, Signore, la tua misericordia, per intercessione di sant’Agata, che risplende nella Chiesa per la gloria della verginità e del martirio” (Messale italiano 1983).

“Donaci, o Signore, la tua misericordia per intercessione di sant’Agata, vergine e martire, che sempre ti fu gradita per la forza del martirio e la gloria della verginità” (Messale italiano 2020).

 

La colletta del Messale del 1962 fa un generico riferimento all’imitazione degli esempi della santa. La nuova colletta dei Messali del 1970 del 2002 è presa con qualche leggera variante redazionale dal Sacramentario Gregoriano Adrianeo, n. 131: “Indulgentiam nobis, domine, beata agathe martyr imploret, quae tibi semper existit et merito castitatis et tuae professione virtutis”. Notiamo che la traduzione italiana del 1983 non distingue tra la “virtus” del martirio e il “merito” della castità del testo latino, cosa che invece fa la traduzione del 2020 quando rende “virtus” con la parola “forza”. Giustamente, poi, i Messali del 1970 e del 2002 hanno cancellato il riferimento al sesso fragile (“sexu fragili”) del Messale del 1962; si tratta di una espressione che non corrisponde all’attuale visione che si ha della donna. 

venerdì 29 gennaio 2021

DOMENICA IV DEL TEMPO ORDINARIO ( B ) – 31 Gennaio 2021

 


 

 

Dt 18,15-20; Sal 94; 1Cor 7,32-35; Mc 1,21-28.

 

Come Israele nel deserto, anche noi siamo in cammino verso una terra promessa. In tutte le circostanze della vita, nelle gioie e nelle privazioni, nel lavoro e nel riposo, nel rischio e nella tentazione, soltanto la luce e la forza della fede possono aiutarci a realizzare pienamente il nostro esodo verso la nuova Gerusalemme, verso la patria celeste. Ecco perché proclamiamo che il Signore è “la roccia della nostra salvezza”. La parola di Dio illumina i sentieri del nostro pellegrinaggio. Per questo, il salmo responsoriale ci invita a non chiudere il cuore alla voce del Padre che conduce e protegge “il popolo del suo pascolo” nel cammino della vita.

 

La prima lettura contiene una promessa divina annunziata da Mosè: Dio non farà mai venir meno il dono della profezia in Israele attraverso la parola di molti nei quali questo dono s’incarnerà. Il profeta promesso è il Messia che porterà a Israele la parola definitiva di Dio, una parola detta con autorità, con la stessa efficace di quella di Dio. Quindi dopo Mosè e gli altri profeti Dio invierà il suo profeta per eccellenza, Cristo Gesù: “Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1,1-2).

 

Il brano evangelico parlando degli inizi del ministero di Gesù a Galilea, nota lo stupore suscitato dal suo insegnamento. L’evangelista ci invita ad accompagnare, per una intera giornata, Gesù e i discepoli che egli ha appena scelto. E’ un giorno di sabato, a Cafarnao. Gesù va alla sinagoga e si mette ad insegnare. Marco non riferisce nessuna parola del predicatore, ma annota che parla come uno dotato di una sorprendente autorità e che fin da quel primo giorno, guarisce un uomo “posseduto da uno spirito impuro”. La missione di Gesù è come quella dei profeti, che insegnavano a nome di Dio e quindi con l’autorità che veniva da lui. L’autorità con cui parla Gesù si manifesta nell’efficacia della sua parola. Se ne ha una conferma nell’episodio di liberazione dell’indemoniato. L’effetto della parola di Gesù è immediato: “E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui”. Dunque l’autorità di Gesù coincide con l’efficacia della sua parola che libera e risana. Gesù si mostra potente e vincitore contro le forze che schiavizzano l’uomo.

 

Gesù è venuto a strapparci dalle forze del male. In Gesù ci viene offerto un segno chiaro: Dio impegna se stesso fino in fondo per la nostra felicità. Per questo il suo Figlio si è fatto uomo. Per questo non esiterà a lottare a mani nude contro ogni cattiveria e contro ogni odio, contro ogni banalità e contro ogni menzogna. Fino a venir condannato a morte. Fino a versare il suo sangue. Una storia di amore che per noi si rende presente in ogni celebrazione eucaristica. 

lunedì 25 gennaio 2021

I VESCOVI FRANCESI SULL’APPLICAZIONE DI “SUMMORUM PONTIFICUM”





Il blog Paix-liturgique.org ha reso noto un documento della Conferenza dei vescovi di Francia. Si tratta della Sintesi dei risultati della Consultazione sull’applicazione del Motu proprio “Summorum Pontificum chiesta dalla Congregazione per la dottrina della fede in aprile dell’anno 2020.

 

Riproduco in seguito la traduzione dell’ultima “sintesi” del documento:

 

“La pubblicazione del Motu proprio “Summorum Pontificum” è espressione di una lodevole intenzione che, però, non ha dato i frutti attesi. Se il documento fa onore a un principio di realtà, oggi appare sempre più necessario un instancabile lavoro di unità. Le promesse di un vicendevole arricchimento delle due forme dell’unico rito romano sono rimaste largamente rudimentali. La reciproca diffidenza ha avuto un effetto sterilizzante. 

L’applicazione del Motu proprio non ha onorato pienamente la cura per l’unità della Chiesa. La sua attuazione pone dei problemi ecclesiologici più che liturgici”. 

Vedi il testo completo in:

https://www.paix-liturgique.org/securefilesystem/202012SyntheseCEFSummorumPontificium.pdf

 

 



domenica 24 gennaio 2021

FORMARSI ALLA LITURGIA O ESSERE FORMATI DALLA LITURGIA?

 



Le due prospettive non possono diventare alternative, ma chiedono una integrazione reciproca. Di fatto, dalla prassi pastorale risultano entrambe necessarie, anche se bisognerebbe sempre tener ben presente che è il celebrare secondo la forma rituale e le sue esigenze che “forma” il credente e la comunità dei credenti. Non si può formare alla celebrazione se non facendola sperimentare, facendola vivere dall’interno. Anche perché il rito, e di conseguenza la liturgia, non esiste al di fuori dalla celebrazione celebrata, cioè dalla sua messa in atto – “messa in scena”.

Ma tale processo di “formazione” della comunità può avvenire solo se si è introdotti a questo celebrare, a questa forma di vita che è il rito, se si diventa “competenti” rispetto a ciò che il rito richiede per essere sperimentato. Si tratta infatti di una partecipazione secondo la forma rituale, la quale è composta di sequenze di azioni simboliche da ripetersi, prescritte/ricevute da una tradizione, da un contesto che supera i singoli, frutto di una dinamica intersoggettiva che si estende nel tempo e nello spazio.

 

(Bruno Baratto, “Come educare alle competenze rituali? Una provocazione per le comunità celebranti, nell’oggi e nel qui”, in Roberto Tagliaferri (ed.), Competenza rituale. La “messa in scena” della fede come ars celebrandi, CLV – Edizioni Liturgiche, Roma – Abbazia di Santa Giustina, Padova 2020, 151-183, qui p. 154. Le note non sono riportate).   


venerdì 22 gennaio 2021

DOMENICA III DEL TEMPO ORDINARIO ( B ) – 24 Gennaio 2021 Domenica della Parola

 


 

 

 

Gn 3,1-5.10; Sal 24; 1Cor 7,29-31; Mc 1,14-20.

 

Domenica scorsa abbiamo visto che Dio ci si manifesta e chiama ciascuno di noi per nome. Oggi ci viene proposto il contenuto fondamentale di questa chiamata. Nel brano evangelico, san Marco riassume la predicazione di Gesù con queste parole: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel vangelo”. La chiamata che Dio rivolge a tutti noi è un pressante invito alla conversione e alla fede. Le altre due letture d’oggi illustrano i due motivi per cui è necessaria questa conversione. San Paolo fa un forte richiamo alla precarietà della condizione terrestre delle cose: “il tempo si è fatto breve”. Da parte sua, il profeta Giona ci ricorda che la conversione è necessaria per evitare il giudizio di condanna da parte di Dio. L’invito di Dio a mutare vita non è caduto invano per i niniviti che ascoltarono le parole del profeta, fecero penitenza e furono salvi. Così pure l’invito di Gesù è stato prontamente accolto da Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni che, lasciate le reti e il loro padre, “andarono dietro a lui”.

 

Gesù introduce l’invito alla conversione con le parole “il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino”. Abbiamo visto che anche san Paolo parla di un tempo ormai fattosi breve. Ci possiamo domandare cosa significano queste affermazioni e perché sono presentate come qualcosa che invita alla conversione. L’affermazione di Gesù sul tempo compiuto presuppone un progetto di Dio che si compie appunto nel tempo: c’è quindi un tempo dell’attesa o della preparazione, ed un tempo del compimento o della realizzazione. Ebbene, con l’incarnazione del Figlio di Dio, il progetto del Padre annunciato dai profeti dell’Antico Testamento si è compiuto: il “regno di Dio” è vicino. Vicino è ciò che incomincia già a influire sulla vita dell’uomo e con cui egli si deve misurare. Il progetto che Dio ha nella storia è il “regno di Dio”, il quale intende ristabilire la sovranità di Dio e quindi un nuovo rapporto tra Dio e l’uomo. Ciò significa che non possiamo vivere secondo una scala di pseudo-valori. Il messaggio viene rivolto a tutti noi: dobbiamo cambiare di rotta e indirizzare la nostra vita verso i valori di vita proposti dalla Parola di Dio. L’invito a “convertirsi” e a “credere” al vangelo non sono due realtà separate: non c’è fede senza vita morale e non c’è morale cristiana che non sia fondata nella fede. Credere vuol dire abbracciare l’intero messaggio portato da Cristo e renderlo programma del proprio pensare, del proprio amare e del proprio agire. Questo messaggio è contenuto nella Scrittura, la Parola di Dio che ci guida verso la patria celeste. Proprio questa domenica è dedicata alla Parola di Dio. Non basta leggerla, bisogna che penetri nel nostro cuore e trasformi la nostra vita.

 

L’eucaristia a cui partecipiamo ogni domenica è un traguardo della conversione e della fede. Essa è però anche un rilancio su questa via perché è “sorgente inesauribile di vita nuova” (preghiera dopo la comunione).


Nota della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti sulla Domenica della Parola di Dio: 

https://drive.google.com/file/d/1iZMgovql_9pRXPoERU2fOusYbGKXOMob/view


 

 

domenica 17 gennaio 2021

Memoria di sant’Antonio, Abate (17 gennaio)


 


La memoria di Sant’Antonio abate (250-356) si celebra il 17 gennaio, sia nel Messale del 1962 che in quelli del 1970-2002. In Oriente, era già celebrata in questa data agli inizi del secolo V.

 

Colletta del Messale del 1962:

Intercessio nos, quaesumus, Domine, beati Antonii Abbatis commendet: ut, quod nostris meritis non valemus, eius patrocinio assequamur.

 

Colletta dei Messali del 1970-2002:

Deus, qui beato Antonio abbati tribuisti mira tibi in deserto conversatione servire, eius nobis interventione concede, ut, abnegantes nosmetipsos, te iugiter super omnia diligamus.

 

“O Dio, che hai ispirato a sant’Antonio abate di ritirarsi nel deserto, per servirti in un nuovo modello di vita cristiana, concedi anche a noi per sua intercessione di superare i nostri egoismi per amare te sopra ogni cosa” (Messale italiano del 1983).

 

“O Dio, che a sant’Antonio abate hai dato la grazia di servirti nel deserto seguendo un mirabile modello di vita cristiana, per sua intercessione donaci la grazia di rinnegare noi stessi e di amare te sopra ogni cosa” (Messale italiano del 2020).

 

La colletta del Messale del 1962 è molto generica; non esprime nulla di specifico della biografia di Antonio, di cui abbiamo notizie attraverso la famosa Vita che del santo eremita scrisse sant’Atanasio di Alessandria. Invece la colletta dei Messali del 1970-2002 fa riferimento alla scelta di ritirarsi nel deserto fatta da Antonio per ispirazione divina. Infatti egli si sentì chiamato a seguire il Signore nel deserto udendo nella liturgia le parole di Gesù: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo, e vieni!” (Mt 19,21). La libera traduzione italiana della colletta aggiunge che in questo modo Antonio ha inaugurato “un nuovo modello (“mirabile” nella traduzione del 2020) di vita cristiana”. Infatti la tradizione considera Antonio il “padre del monachesimo”. Il messaggio che da questa vita austera e ritirata arriva fino a noi, l’orazione colletta lo esprime chiedendo a Dio che, per intercessione del santo, possiamo “superare i nostri egoismi per amare Dio sopra ogni cosa”. Il Messale italiano del 2020 traduce più fedelmente “abnegantes nosmetipsos” con l’espressione “rinnegare noi stessi” (cf. Mt 16,24). Questa supplica illustra bene la dottrina di Antonio che considerava il deserto lo strumento per arrivare ad una vita orientata verso Dio. Uno dei detti di Antonio si esprime in questi termini: “Chi siede nel deserto per custodire la quiete con Dio è liberato da tre guerre: quella dell’udire, quella del parlare, e quella del vedere. Gliene rimane una sola: quella del cuore”.

 

venerdì 15 gennaio 2021

DOMENICA II DEL TEMPO ORDINARIO ( B ) – 17 Gennaio 2021

 


 

1Sam 3,3b-10.19; Sal 39; 1Cor 6,13c-15a.17-20; Gv 1,35-42.

 

Dio si presenta nella nostra vita come un vero interlocutore che ci chiama per nome. Questo è il messaggio che emerge dalle letture odierne. La prima lettura racconta la vocazione di Samuele alla missione profetica e sacerdotale. Vediamo che il giovane Samuele viene chiamato di notte. Aiutato dal suo maestro Eli, egli discerne in quella voce la chiamata di Dio. L’atteggiamento del giovane è di piena disponibilità: “Parla, perché il tuo servo ti ascolta”. Tutta la vita di Samuele sarà poi contrassegnata da questa apertura alla parola di Dio: egli “non lasciò andare a vuoto una sola delle sue [del Signore] parole”.

 

Il brano evangelico ci parla della vocazione di due discepoli di Giovanni Battista che, spronati dalle parole del Precursore che indica in Gesù il Messia atteso, si mettono alla sequela di Gesù. Uno di questi due, Andrea, si fa portavoce dell’avvenuto incontro con Pietro, che diviene anch’egli discepolo di Gesù. Anche qui c’è prontezza nella risposta alla chiamata, la quale arriva attraverso delle mediazioni, quella di Giovanni prima e quella di Andrea poi.

 

La Lettera agli Ebrei interpreta i vv.7-9 del salmo responsoriale come riferiti a Gesù, il quale all’inizio della sua esistenza esprime con le parole del salmo una totale disponibilità a portare a termine il disegno che il Padre ha su di lui a servizio degli uomini. Anche noi, sulle orme di Samuele, degli apostoli e, soprattutto, di Gesù, siamo chiamati a vivere in atteggiamento di continua disponibilità al volere di Dio: “Ecco, io vengo, Signore, per fare la tua volontà”. San Paolo ci ricorda nella seconda lettura che apparteniamo a Cristo, anzi siamo “tempio dello Spirito Santo”. L’apostolo aggiunge che non si deve tradire la propria vocazione cristiana alienando al Cristo la nostra esistenza e vendendola all’impudicizia. La vocazione cristiana abbraccia e coinvolge non solo l’anima e lo spirito ma anche il nostro corpo. Il corpo, infatti, non è altro che la persona stessa in quanto vive e opera nel mondo ed è questa persona che è toccata dalla redenzione di Cristo.

 

La chiamata di Gesù non si esaurisce nel primo incontro con lui attraverso l’atto di fede. Egli ci parla continuamente attraverso molteplici mediazioni. Quindi la fedeltà alla prima chiamata dev’essere continuamente confermata e si deve manifestare anche nella concreta disponibilità a testimoniare la nostra fede. Abbiamo visto che colui che sceglie di seguire Cristo diventa anche suo testimone. Chi ascolta solo se stesso o i miti del mondo, chi pensa di avere già trovato la verità, di sapere tutto sul senso della vita, chi pensa solo ai soldi, alla carriera, alla salute, certamente costui non afferra che ci possa essere una parola diversa, superiore, capace di cambiare e arricchire sempre più la sua esistenza.

 

 

lunedì 11 gennaio 2021

MINISTERI DI LETTORI E DI ACCOLITI ANCHE ALLE DONNE

 

Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio “Spiritus Domini” del Sommo Pontefice Francesco sulla modifica del can. 230 § 1 del Codice di Diritto Canonico circa l’accesso delle persone di sesso femminile al ministero istituito del Lettorato e dell’Accolitato, 11.01.2021

 

[B0016]

 

Lo Spirito del Signore Gesù, sorgente perenne della vita e della missione della Chiesa, distribuisce ai membri del popolo di Dio i doni che permettono a ciascuno, in modo diverso, di contribuire all’edificazione della Chiesa e all’annuncio del Vangelo. Questi carismi, chiamati ministeri in quanto sono pubblicamente riconosciuti e istituiti dalla Chiesa, sono messi a disposizione della comunità e della sua missione in forma stabile.

In alcuni casi tale contributo ministeriale ha la sua origine in uno specifico sacramento, l’Ordine sacro. Altri compiti, lungo la storia, sono stati istituiti nella Chiesa e affidati mediante un rito liturgico non sacramentale a singoli fedeli, in virtù di una peculiare forma di esercizio del sacerdozio battesimale, e in aiuto del ministero specifico di vescovi, presbiteri e diaconi.

Seguendo una venerabile tradizione, la ricezione dei “ministeri laicali”, che San Paolo VI regolamentò nel Motu Proprio Ministeria quaedam (17 agosto 1972), precedeva a modo di preparazione la ricezione del Sacramento dell’Ordine, pur essendo conferiti tali ministeri ad altri fedeli idonei di sesso maschile.

Alcune Assemblee del Sinodo dei Vescovi hanno evidenziato la necessità di approfondire dottrinalmente l’argomento, in modo che risponda alla natura dei suddetti carismi e alle esigenze dei tempi, offrendo un opportuno sostegno al ruolo di evangelizzazione che spetta alla comunità ecclesiale.

Accogliendo tali raccomandazioni, si è giunti in questi ultimi anni ad uno sviluppo dottrinale che ha messo in luce come determinati ministeri istituiti dalla Chiesa hanno per fondamento la comune condizione di battezzato e il sacerdozio regale ricevuto nel Sacramento del Battesimo; essi sono essenzialmente distinti dal ministero ordinato che si riceve con il Sacramento dell’Ordine. Anche una consolidata prassi nella Chiesa latina ha confermato, infatti, come tali ministeri laicali, essendo basati sul sacramento del Battesimo, possono essere affidati a tutti i fedeli, che risultino idonei, di sesso maschile o femminile, secondo quanto già implicitamente previsto dal can. 230 § 2.

Di conseguenza, dopo aver sentito il parere dei Dicasteri competenti, ho ritenuto di provvedere alla modifica del can. 230 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Pertanto, dispongo che il can. 230 § 1 del Codice di Diritto Canonico abbia in avvenire la seguente redazione:

“I laici che abbiano l’età e le doti determinate con decreto dalla Conferenza Episcopale, possono essere assunti stabilmente, mediante il rito liturgico stabilito, ai ministeri di lettori e di accoliti; tuttavia tale conferimento non attribuisce loro il diritto al sostentamento o alla rimunerazione da parte della Chiesa”.

Dispongo altresì la modifica degli altri provvedimenti, aventi forza di legge, che si riferiscono a tale canone.

Quanto deliberato con questa Lettera apostolica in forma di Motu Proprio, ordino che abbia fermo e stabile vigore, nonostante qualsiasi cosa contraria anche se degna di speciale menzione, e che sia promulgato tramite pubblicazione su L’Osservatore Romano, entrando in vigore nello stesso giorno, e quindi pubblicato nel commentario ufficiale degli Acta Apostolicae Sedis.

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 10 di gennaio dell’anno 2021, Festa del Battesimo del Signore, ottavo del mio pontificato.

Francesco

[00032-IT.01] [Testo originale: Italiano]


domenica 10 gennaio 2021

NON CI “INDURRE” IN TENTAZIONE?

 



 

In questo blog mi sono occupato della traduzione di questa invocazione del Padre nostro: il 15 aprile 2018 “Non metterci alla prova”; il 1 marzo 2020 “Non abbandonarci alla tentazione?”. Oggi propongo un testo del Card. Gianfranco Ravasi sullo stesso argomento.

 

Per una corretta comprensione della formula originaria biblica bisogna badare al sottofondo semitico e biblico. L’italiano “indurre”, ricalcato sul latino inducas, effettivamente è eccessivo rispetto al greco (eisenénkês) che indica un “non portarci verso, non farci entrare”, diverso dall’ “indurre” che è uno “spingere” qualcuno a compiere un’azione. Il senso genuino è, allora, quello di non essere esposti e abbandonati al rischio della tentazione. Ora, è necessario distinguere tra “tentazione-prova” e “tentazione-insidia”. La prima può avere come soggetto Dio che vaglia la fedeltà e la purezza della fede dell’uomo: pensiamo ad Abramo, invitato a sacrificare Isacco, il figlio della promessa divina (Gen 22), a Giobbe, a Israele duramente “corretto” da Dio nel deserto “come un uomo corregge un figlio” (Dt 8,5). È un’educazione alla fedeltà, alla donazione disinteressata, all’amore puro e senza doppi fini. Se si accoglie questo significato, si potrebbe tradurre l’invocazione così: “Non introdurci nella prova”. Diversa è la tentazione-insidia che mira alla ribellione dell’uomo nei confronti di Dio e della sua legge e che, a prima vista dovrebbe avere come radice Satana e il mondo peccatore.

Ebbene, se è facile comprendere la prima applicazione (si chiede a Dio di non provarci troppo aspramente e di non lasciarci soccombere in quel momento oscuro), è più complesso spiegare la seconda applicazione che rimane sottesa alla versione della Conferenza Episcopale Italiana. Sì, perché per la Bibbia anche Dio può paradossalmente “tentare” al male. Lo si legge, per esempio, nel Secondo Libro di Samuele: “Dio incitò Davide a fare il male attraverso il censimento di Israele” (24,1). La domanda del Padre Nostro potrebbe, perciò, avere anche questa sfumatura. Ma come spiegarla? La risposta è nella mentalità semitica: essa per evitare di introdurre il dualismo di fronte al bene e al male, cioè l’esistenza di due divinità, l’una buona e l’altra malvagia, cerca di porre tutto sotto il controllo dell’unico Dio, bene e male, grazia e tentazione.

In Isaia il Signore non esita a dichiarare: “Sono io che forma la luce e creo le tenebre, faccio il bene e causo il male: io, il Signore compio tutto questo” (45,7). In realtà si sa che il male dev’essere ricondotto o alla libertà umana o al tentatore per eccellenza, Satana. Non per nulla la frase sopra citata, presente nel Secondo Libro di Samuele e riguardante Davide, nella storia parallela del libro delle Cronache viene corretta e suona così: “Satana spinse Davide a censire gli Israeliti” (I, 21,1). Concludendo, quando si prega il Padre divino di “non abbandonarci alla tentazione” si vuole, allora, certo domandargli di non provarci con durezza, ma anche di non lasciarci catturare dalle reti del male, di non permettere che entriamo nel cerchio magico e affascinante del peccato, di non esporci alla prova e all’insidia. In questa invocazione sono coinvolti temi capitali come la libertà e la grazia, la fedeltà e il peccato, il dolore e la speranza, il bene e il male.

 

Fonte: Gianfranco Ravasi, nell’Introduzione al libro di Jean Carmignac, Ascoltiamo il Padre Nostro, Edizioni Ares, Milano 2020, pp. 21-23.

 

venerdì 8 gennaio 2021

DOMENICA DOPO L’EPIFANIA: BATTESIMO DEL SIGNORE ( B ) 10 Gennaio 2021

 


 

Is 55,1-11; Sal Is 12,2-6; 1Gv 5,1-9; Mc 1,7-11

 

I brani della Scrittura che sono proposti oggi alla nostra attenzione ci aiutano a riscoprire il senso del nostro battesimo alla luce del battesimo di Cristo. Sulla stessa linea, il prefazio afferma: “Nel battesimo di Cristo al Giordano tu hai operato segni prodigiosi per manifestare il mistero del nuovo lavacro...”

 

Gesù si sottomette al battesimo penitenziale proposto dal Battista non certo perché avesse bisogno di purificarsi, ma per esprimere la sua piena solidarietà con gli uomini alla ricerca di Dio e per anticipare il nuovo battesimo nello Spirito che avrebbe sostituito quello di Giovanni. Il battesimo di Gesù è da leggersi quindi nel contesto del mistero dell’Incarnazione che abbiamo celebrato nel periodo appena trascorso. Il battesimo di Gesù esprime la piena immersione del Figlio di Dio nella nostra condizione umana, affinché noi tutti possiamo essere rinnovati a sua immagine. Nelle acque del Giordano si rivela in pienezza il senso ultimo della realtà e della missione di Gesù, della sua persona e della sua vocazione. Non si tratta soltanto dell’inizio del suo ministero; è anche la rivelazione della sua presenza trascendente incarnata nella trama della storia umana, mistero che si è consumato nell’evento della morte e risurrezione del Signore. 

 

Il battesimo d’acqua al quale Cristo si sottomette si riallaccia al suo dovere essenziale: quello della morte e della risurrezione, di cui è un primo abbozzo. Gesù sperimenta la sua morte e risurrezione con l’immersione e l’emersione battesimale. “Uscendo dall’acqua vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba”. Al tempo stesso si sentì la voce del Padre: “Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto”. La riflessione susseguente collegherà la benevolenza del Padre e l’effusione dello Spirito alla glorificazione di Gesù. Perciò il racconto del battesimo di Gesù rievoca anticipatamente tutto il dramma della redenzione e ci permette di vedere nel sacramento dell’acqua l’estensione su di noi dell’avvenimento decisivo della morte e risurrezione di Gesù. Ciò è confermato dal testo denso e profondo della seconda lettura, in cui Giovanni ricorda che Gesù “è venuto con acqua e sangue”, e cioè con l’acqua del suo battesimo e col sangue della sua morte in croce. Ma l’apostolo aggiunge che ora, nel tempo presente, sono “tre quelli che rendono testimonianza: lo Spirito, l’acqua e il sangue”. In parole più semplice, possiamo dire che il dono dello Spirito che riceviamo nel battesimo fa riferimento sia all’acqua del battesimo di Cristo che al sangue della sua morte in croce. La prima lettura, interpretata alla luce del salmo responsoriale, è un invito ad attingere acqua a questa sorgente della salvezza.

 

Gesù è stato al tempo stesso servo e figlio. Servo fino al punto di dare la sua vita per noi; figlio che ha compiuto con immenso amore ogni suo gesto di servizio. Nel Figlio, anche noi siamo diventati per mezzo del battesimo figli per adozione. Perciò pure la nostra vita dev’essere contrassegnata dall’atteggiamento di servizio o, come dice Giovanni nella seconda lettura odierna, dalla pratica della legge dell’amore come legge autentica di libertà.

 

 

lunedì 4 gennaio 2021

EPIFANIA DEL SIGNORE – 6 Gennaio 2021

 



 

Is 60,1-6; Sal 71; Ef 3,2-3a.5-6; Mt 2,1-12

 

Possiamo stabilire un raffronto tra il racconto di san Luca (2,8-20), che abbiamo letto nella notte di Natale e nella Messa dell’aurora, in cui l’evangelista parla dei pastori che si recano a Betlemme perché un angelo è apparso loro e ha detto che nella città di Davide è nato il Cristo Salvatore, e il racconto di san Matteo sui Magi proposto come brano evangelico del giorno dell’Epifania. Dal confronto, è facile capire che la stella apparsa ai Magi ha lo stesso compito dell’angelo apparso ai pastori. Non soltanto la gente povera e semplice è invitata dal cielo ad incontrare il Signore, ma anche i Magi, cioè i sapienti dell’epoca e per di più stranieri; anzi, anche ai sacerdoti e agli scribi di Gerusalemme, e persino allo stesso Erode viene dato l’annunzio. San Leone Magno in una delle sue omelie per l’Epifania, riportata dall’Ufficio delle letture d’oggi, afferma che “celebriamo nella gioia dello spirito il giorno della nostra nascita e l’inizio della chiamata alla fede di tutte le genti”. E’ questo il messaggio dell’Epifania.

 

La prima lettura è tutta incentrata sulla città di Gerusalemme, non tanto come realtà urbana, quanto come comunità dell’alleanza. Da essa sorgerà la luce che splenderà agli occhi di tutti i popoli e li attirerà a sé. Ancora segnato dal particolarismo religioso, il testo d’Isaia, accostato a quello della lettera agli Efesini, proposto dalla seconda lettura, acquista tutto il suo significato profetico: tutte “le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”. L’Epifania del Signore è fondamento ed esigenza dell’annuncio del vangelo a tutti i popoli, ai quali ormai è aperto l’accesso al Regno.

 

I Magi che vengono dall’Oriente accolgono l’annuncio. I sacerdoti e gli scribi di Gerusalemme restano distratti. Il re Erode trama segretamente di sopprimere il bambino. Il contrasto è violento e chiaramente intenzionale: con esso l’evangelista vuole mostrare come anticipato fin dalla nascita di Gesù il rifiuto dei giudei, e quindi la necessità di affidare ad altri, ai gentili, il Regno. L’Epifania è già un primo squarcio di luce che lacera il velo del tempio che separava e nascondeva il “Santo dei santi”. La lacerazione di quel velo sarà totale e definitiva nell’evento pasquale, quando l’urto dell’onda luminosa del Risorto romperà le anguste barriere di separazione tra cielo e terra, tra vita e morte, tra uomo e uomo. L’Epifania, come il Natale, è il primo bagliore di una Pasqua ormai annunciata.

 

Dio continua a manifestarsi per la salvezza di tutti. Solo chi vive nella disponibilità della fede e nell’attenzione ai segni dei tempi, riesce a superare i momenti bui della vita e giunge a incontrare il Signore. I Magi sono il simbolo di tutti coloro che affrontano un lungo percorso ad ostacoli senza cedere ai tentativi di depistaggio o disorientamento, senza lasciarsi catturare dagli ambigui sorrisi del potere.

 

I doni che i Magi offrono a Gesù bambino sono simbolo della nostra offerta eucaristica. Nella messa non offriamo più oro, incenso e mirra, ma “colui che in questi santi doni è significato, immolato e ricevuto: Gesù Cristo nostro Signore” (preghiera sulle offerte). La celebrazione eucaristica fa parte della nostra risposta fondamentale alla manifestazione di Dio nel Cristo, e postula ancora, di natura sua, la risposta di tutta la vita vissuta.

 

domenica 3 gennaio 2021

IL MISTERO DELLA CHIESA NEL MESSALE ROMANO

 



Vincenzo Pierri, Il mysterium Ecclesiae nell’eucologia del Messale Romano (“Bibliotheca Ephemerides Liturgicae” – “Subsidia” 194), CLV – Edizioni Liturgiche, Roma 2020. 297 pp. (€ 30,00).

Il lavoro è diviso in due parti. La prima parte riguarda l’analisi dei singoli testi eucologici presi in considerazione, e consta di due capitoli. Gli elementi ecclesiologici fondamentali che emergono nei testi eucologici in questione, sono la base per la costituzione dell’impianto della seconda parte del lavoro, che consta di cinque capitoli: “Ecclesia: plebs de unitate Trinitatis adunata”; “Ecclesia: Regnum Dei, Populus Dei et Missio Populi Dei”; L’Ecclesia particularis e il Mysterium Ecclesiae adunatae; “Varia ministeria quae ad bonum totius corporis tendunt”; “Tota Ecclesia ab omnibus membris suis roborata”.

Nelle Conclusioni, l’autore riconosce che le riflessioni elaborate con l’analisi condotta su una specifica parte del Missale Romanum sono certamente da base per ulteriori sviluppi e approfondimenti teologici di altri aspetti del Messale stesso.

 

venerdì 1 gennaio 2021

DOMENICA II DOPO NATALE – 3 Gennaio 2021

 



 

Sir 24,1-4.12-16; Sal 147; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18

 

In questa domenica non celebriamo nessuna festa particolare; ci viene riproposto ancora il mistero del Natale che siamo invitati ad approfondire.

 

Il tema ricorrente nelle letture bibliche d’oggi è quello della Sapienza, tema che viene messo in rilievo dalla colletta alternativa del Messale: la Sapienza è elogiata nel brano della prima lettura, dove esprime il concreto agire di Dio nella storia della salvezza del Popolo eletto che ha raggiunto il suo massimo culmine nel Verbo – Sapienza di Dio fatto carne, di cui parla il vangelo d’oggi, e continua in tutti i credenti nel Signore Gesù attraverso il dono dello Spirito “di sapienza e di rivelazione”, di cui parla la seconda lettura. Nel suo misterioso disegno Dio ha rivelato se stesso attraverso la storia dell’antico popolo d’Israele ed infine ha piantato stabilmente la sua tenda in mezzo a noi per mezzo del Verbo fatto carne, la Sapienza di Dio fatta persona umana. A partire dal Natale, “abita” definitivamente in noi Cristo, “Sapienza” che ci rivela il Padre e dona la “benedizione” dello Spirito. In Cristo ci viene rivelato non solo il mistero di Dio ma anche il mistero dell’uomo.

 

Ci interessa veramente conoscere chi è Dio? Per noi cristiani, Dio non è un principio cosmico anonimo, un’entità astratta, ma è colui che è entrato nel nostro orizzonte storico in modo concreto nella figura di Gesù. Conoscere Dio vuol dire riconoscerlo come colui che invia il Figlio, Gesù il Cristo; vuol dire accettarlo come colui che si dona a noi mediante il Figlio; vuol dire, infine, scoprire Dio come Padre dell’Unigenito e come nostro Padre. In definitiva, è la coscienza filiale di Gesù che costituisce la norma della fede cristiana in Dio, nel Padre. Perciò il nostro rapporto con Dio è principalmente con il Padre di Gesù Cristo. San Giovanni ha scritto: “Sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere il vero Dio” (1Gv 5,10 - Primi vespri, lettura breve). L’evento del Natale ci permette di comprendere il mistero di Dio attraverso i tratti umani di Gesù. Egli è l’immagine visibile e il volto umano di Dio Padre.

 

Chi è l’uomo? L’uomo moderno è spesso disorientato: non sa bene chi sia e dove vada. Di qui la sua angoscia, la sua insicurezza, o le false sicurezze cui si affida. Alla luce della fede, sappiamo che la nostra esistenza non è un vagare senza meta. In Cristo, nel suo modo di vivere, nei principi che hanno regolato la sua esistenza, possiamo cogliere non solo chi è Dio per noi ma anche che cosa siamo noi per Dio. Il nostro vuoto esistenziale può essere riempito solo da Cristo, Sapienza di Dio. Gesù è “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). In Cristo Dio si è fatto nostro compagno di viaggio, che condivide con noi tutti i rischi della marcia, tutta la fatica e tutta la speranza di ogni nuovo giorno. Non siamo soli nella vita e nella storia; fra le nostre tende, sempre provvisorie e incerte, v’è anche la tenda del Dio vivo: si chiama Gesù Verbo incarnato.

 

Nell’eucaristia, Cristo, Sapienza del Padre, imbandisce per noi una mensa e viene a porre la sua tenda in mezzo a noi. Tutti siamo chiamati a farci commensali della Sapienza nel segno dell’amicizia con l’Invitante e fra di noi.