Nell’anno 2001, in un Convegno svoltosi nell’Abbazia di Fontgombault,alla
quale partecipava anche il prof. R. De Mattei, J. Ratzinger, allora
Cardinale Prefetto della Congregazione della Fede, sosteneva che l’auspicabile
estensione del rito tridentino nell’uso ecclesiale doveva essere temperata
dalla garanzia episcopale della unità liturgica nella diocesi1. Nelle
parole di quasi 20 anni fa, che delineavano un ampio quadro di possibili
sviluppi futuri, era molto chiara la difficoltà teorica e pratica di una
soluzione che prevedesse “forma parallele” del medesimo rito romano. Vale la
pena leggere integralmente un passo di quel testo, dedicato a soppesare
adeguatamente la questione delle competenze episcopali a garanzia della unità
della Chiesa (sottolineo le espressioni più significative):
“Il reste, d’autre part, quand même un problème: comment régler l’usage
des deux rites ? Il me semble clair que, dans le Missel de Paul VI est le
Missel en vigueur, et que son usage est normal. On doit donc étudier de quelle
manière permettre et conserver pour l’Eglise le trésor de l’ancien Missel.
J’ai souvent parlé dans le même sens que notre ami Spaemann : s’il y avait le
rite dominicain, s’il y avait – et il y a encore – le rite milanais, pourquoi
pas aussi le rite – disons – « de saint Pie V » ?Mais il y a un
problème très réel : si l’ecclésialité devient une question de choix libre, s’il
y a dans l’Eglise des églises rituelles choisies selon un critère de
subjectivité, cela crée un problème. L’Eglise, est construite sur les évêques selon la succession des apôtres,
dans la forme des Eglises locales, donc avec un critère objectif. Je suis dans
cette Eglise locale et je ne cherche pas mes amis, je trouve mes frères et mes
sœurs; et les frères et les sœurs, on ne les cherche pas, on les trouve. Cette
situation de non arbitrarité de l’Eglise dans laquelle je me trouve, qui n’est
pas une église de mon choix mais l’Eglise qui se présente à moi, est un
principe très important. Il me
semble que les lettres de saint Ignace vont très fortement dans cette ligne que
cet évêque c’est l’Eglise; ce n’est pas mon choix, comme si j’allais avec tel
groupe d’amis ou avec tel autre; je suis dans l’Eglise commune, avec les
pauvres, avec les riches, avec les personnes sympathiques et non sympathiques,
avec les intel¬lectuels et les stupides; je suis dans l’Eglise qui me
précède.Ouvrir maintenant la possibilité de choisir son Eglise, « à la
carte », cela pourrait réellement blesser la structure de l’Eglise.
On doit donc chercher – il me semble – un critère non subjectif, pour
ouvrir la possibilité de l’ancien Missel. Cela me semble très simple s’il
s’agit d’abbayes : c’est une bonne chose; cela correspond aussi à la tradition
selon laquelle il y avait des ordres avec un rite spécial, par exemple les
dominicains. Donc des
abbayes qui garantissent la présence de ce rite, ou aussi des communautés comme
les dominicains de saint Vincent Ferrier, ou d’autres communautés religieuses,
ou aussi des fraternités : cela me semble être un critère objectif.
Naturellement, le problème se complique avec les fraternités, qui ne sont pas
des ordres religieux, mais des communautés de prêtres non diocésains et
cependant exerçant dans les paroisses. Peut-être, la paroisse personnelle est
une solution, mais n’est pas non plus sans problème. En tout cas, le
Saint-Siège doit ouvrir à tous les fidèles cette possibilité de conserver ce
trésor, mais d’autre part, il doit aussi conserver et respecter la structure
épiscopale de l’Eglise“.
Ad una analisi attenta non sfugge come questo testo, 20 anni fa,
prefigurasse molto efficacemente i rischi di quella “condizione di eccezione”
che è venuta a crearsi proprio a partire dal MP Summorum Pontificum
e che oggi è oggetto di ampia riconsiderazione ecclesiale.
Analizziamo con cura il ragionamento proposto:
a) se si ammettesse la “vigenza contemporanea” di
due forme ritualidiverse, occorrerebbe assicurare che la relazione
tra i due riti non intervenga a “minare” l’unità della Chiesa
b) Le soluzioni “classiche” – che lo stesso Ratzinger sembra confessare di
aver condiviso – non sembrano essere sufficienti a risolvere la questione: il
fatto che esista un “rito domenicano” o un “rito ambrosiano” non
supera la questione che così viene formulata: “se la ecclesialità diventa una
questione di libera scelta, se nella Chiesa vi sono chiese rituali scelte con
criteri soggettivi, ciò costituisce un problema”.
c) Permettere di scegliere “à la carte” la propria tradizione rituale sarebbe
un modo di ferire gravemente l’unità e la struttura della Chiesa.
d) La possibilità di attingere ai tesori del rito antico non può aggirare
questo ostacolo, che non si lascia superare neppure da logiche monastiche o
religiose. La Santa Sede – dice nel 2001 J. Ratzinger – deve assicurare ai
fedeli la possibilità di attingere a questa ricchezza, ma deve anche conservare
e rispettare la struttura episcopale della Chiesa.
Qualche anno dopo SP abolirà le logiche dell’indulto del 1984 e
del 1988 – che attribuivano all’autorità episcopale locale la possibilità di
concedere le autorizzazione necessarie per fare eccezione ad una regola chiara.
Tale logica si fondava appunto sulla ammissione che un solo rito è vigente,
mentre un altro ha una praticabilità limitata, problematica e condizionata, che
fa eccezione alla sua normale condizione di “rito non più in vigore”. Aver
modificato la logica, sostituendola con il parallelismo tra due “usi” (o forme)
del medesimo rito, pone oggi di nuovo la questione: come potranno i
vescovi assicurare la comunione ecclesiale sul piano liturgico, discernendo tra
uso ordinario e uso extra-ordinario? In che modo potranno impedire che si crei
un biritualismo conflittuale e che si introducano così divisioni, dissidi e
incomprensioni nel corpo ecclesiale, non solo in ambito liturgico, ma anche
nella catechesi, nella formazione, nella testimonianza, nella carità? Il
dettato del documento rimane sul tema molto vago – per non dire insensibile -,
attribuendo per di più una competenza dirimente – che scavalca le competenze
ordinarie della Congregazione per il Culto – alla Commissione Ecclesia
Dei,oggi trasferite alla Congregazione per la Dottrina della Fede.
A distanza di 20 anni da quel discorso e a 13 anni da SP, oggi è possibile
riconsiderare la fondatezza di quell’avvertimento, per sostituire alla
soluzione precaria del “parallelismo rituale” una vera “riconciliazione
liturgica”, che assicuri all’unico rito comune tutta la ricchezza che la
tradizione liturgica ha saputo elaborare, per essere fedele non solo al
suo passato, ma anche al suo futuro.
Rispetto a quel testo si possono fare solo tre ulteriori osservazioni:
a) La logica dell’indulto è rimedio “in extremis”. E’ una via “sempre
possibile”, che non si può mai escludere e che permette di “derogare”
ad una norma generale con una eccezione, che il Vescovo locale può
stabilire. Ma, di fatto, è un rimedio sempre “a posteriori”, che non
affronta veramente la questione della riconciliazione.
b) Alla luce degli sviluppi contrastati e non pacificati di questi 20 anni,
la assunzione di una “pacificazione” davvero “oltre SP” – ma anche oltre
la via brevior dell’indulto – deve escludere la via del
parallelismo delle forme rituali ordinarie/extraordinarie (o delle normative
generali/eccezionali) per assicurare una “comunione rituale” che valorizzi le
polarità interne alla tradizione liturgica comune, ossia quelle tra linguaggi
verbali e non verbali, tra espressione e silenzio, tra movimento e stasi, tra
dicibile e indicibile, tra assunzione della iniziativa e perdita della
iniziativa, tra azione e passione.
c) Il nuovo modo di pensare la “ars celebrandi” – non solo come “obbedienza
alle rubriche”, ma come “attivazione di tutti i linguaggi” – è il luogo della
comunione rituale del cristiano con il suo Signore, nella chiesa. Le due
definizioni di ars celebrandi – che si trovano in “Sacramentum Caritatis” ai
nn. 38 e 40 – proprio nella loro differenza armonica aprono un nuovo
orizzonte alla pax liturgica.
1Cfr. Autour de la question liturgique. Avec le Cardinal
Ratzinger, Actes des Journées liturgiques de Fontgombault 22-24 Juillet 2001,
Association Petrus a Stella, Fontgombault, 2001.