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mercoledì 24 giugno 2020

“Oltre Summorum Pontificum” e autorità episcopale. Le perplessità di J. Ratzinger nel 2001 e le nuove possibilità di oggi




Pubblicato il 24 giugno 2020 nel blog: Come se non

Nell’anno 2001, in un Convegno svoltosi nell’Abbazia di Fontgombault,alla quale partecipava anche il prof. R. De Mattei, J. Ratzinger, allora Cardinale Prefetto della Congregazione della Fede, sosteneva che l’auspicabile estensione del rito tridentino nell’uso ecclesiale doveva essere temperata dalla garanzia episcopale della unità liturgica nella diocesi1. Nelle parole di quasi 20 anni fa, che delineavano un ampio quadro di possibili sviluppi futuri, era molto chiara la difficoltà teorica e pratica di una soluzione che prevedesse “forma parallele” del medesimo rito romano. Vale la pena leggere integralmente un passo di quel testo, dedicato a soppesare adeguatamente la questione delle competenze episcopali a garanzia della unità della Chiesa (sottolineo le espressioni più significative):
Il reste, d’autre part, quand même un problème: comment régler l’usage des deux rites ? Il me semble clair que, dans le Missel de Paul VI est le Missel en vigueur, et que son usage est normal. On doit donc étudier de quelle manière permettre et conserver pour l’Eglise le trésor de l’ancien Missel.
J’ai souvent parlé dans le même sens que notre ami Spaemann : s’il y avait le rite dominicain, s’il y avait – et il y a encore – le rite milanais, pourquoi pas aussi le rite – disons – « de saint Pie V » ?Mais il y a un problème très réel : si l’ecclésialité devient une question de choix libre, s’il y a dans l’Eglise des églises rituelles choisies selon un critère de subjectivité, cela crée un problème.
L’Eglise, est construite sur les évêques selon la succession des apôtres, dans la forme des Eglises locales, donc avec un critère objectif. Je suis dans cette Eglise locale et je ne cherche pas mes amis, je trouve mes frères et mes sœurs; et les frères et les sœurs, on ne les cherche pas, on les trouve. Cette situation de non arbitrarité de l’Eglise dans laquelle je me trouve, qui n’est pas une église de mon choix mais l’Eglise qui se présente à moi, est un principe très important. Il me semble que les lettres de saint Ignace vont très fortement dans cette ligne que cet évêque c’est l’Eglise; ce n’est pas mon choix, comme si j’allais avec tel groupe d’amis ou avec tel autre; je suis dans l’Eglise commune, avec les pauvres, avec les riches, avec les personnes sympathiques et non sympathiques, avec les intel¬lectuels et les stupides; je suis dans l’Eglise qui me précède.Ouvrir maintenant la possibilité de choisir son Eglise, « à la carte », cela pourrait réellement blesser la structure de l’Eglise.
On doit donc chercher – il me semble – un critère non subjectif, pour ouvrir la possibilité de l’ancien Missel. Cela me semble très simple s’il s’agit d’abbayes : c’est une bonne chose; cela correspond aussi à la tradition selon laquelle il y avait des ordres avec un rite spécial, par exemple les dominicains. Donc des abbayes qui garantissent la présence de ce rite, ou aussi des communautés comme les dominicains de saint Vincent Ferrier, ou d’autres communautés religieuses, ou aussi des fraternités : cela me semble être un critère objectif. Naturellement, le problème se complique avec les fraternités, qui ne sont pas des ordres religieux, mais des communautés de prêtres non diocésains et cependant exerçant dans les paroisses. Peut-être, la paroisse personnelle est une solution, mais n’est pas non plus sans problème. En tout cas, le Saint-Siège doit ouvrir à tous les fidèles cette possibilité de conserver ce trésor, mais d’autre part, il doit aussi conserver et respecter la structure épiscopale de l’Eglise“.
Ad una analisi attenta non sfugge come questo testo, 20 anni fa, prefigurasse molto efficacemente i rischi di quella “condizione di eccezione” che è venuta a crearsi proprio a partire dal MP Summorum Pontificum e che oggi è oggetto di ampia riconsiderazione ecclesiale. Analizziamo con cura il ragionamento proposto:
 a) se si ammettesse la “vigenza contemporanea” di due forme ritualidiverse, occorrerebbe assicurare che la relazione tra i due riti non intervenga a “minare” l’unità della Chiesa
b) Le soluzioni “classiche” – che lo stesso Ratzinger sembra confessare di aver condiviso – non sembrano essere sufficienti a risolvere la questione: il fatto che esista un “rito domenicano” o un “rito ambrosiano” non supera la questione che così viene formulata: “se la ecclesialità diventa una questione di libera scelta, se nella Chiesa vi sono chiese rituali scelte con criteri soggettivi, ciò costituisce un problema”.
 c) Permettere di scegliere “à la carte” la propria tradizione rituale sarebbe un modo di ferire gravemente l’unità e la struttura della Chiesa.
 d) La possibilità di attingere ai tesori del rito antico non può aggirare questo ostacolo, che non si lascia superare neppure da logiche monastiche o religiose. La Santa Sede – dice nel 2001 J. Ratzinger – deve assicurare ai fedeli la possibilità di attingere a questa ricchezza, ma deve anche conservare e rispettare la struttura episcopale della Chiesa.
 Qualche anno dopo SP abolirà le logiche dell’indulto del 1984 e del 1988 – che attribuivano all’autorità episcopale locale la possibilità di concedere le autorizzazione necessarie per fare eccezione ad una regola chiara. Tale logica si fondava appunto sulla ammissione che un solo rito è vigente, mentre un altro ha una praticabilità limitata, problematica e condizionata, che fa eccezione alla sua normale condizione di “rito non più in vigore”. Aver modificato la logica, sostituendola con il parallelismo tra due “usi” (o forme) del medesimo rito, pone oggi di nuovo la questione: come potranno i vescovi assicurare la comunione ecclesiale sul piano liturgico, discernendo tra uso ordinario e uso extra-ordinario? In che modo potranno impedire che si crei un biritualismo conflittuale e che si introducano così divisioni, dissidi e incomprensioni nel corpo ecclesiale, non solo in ambito liturgico, ma anche nella catechesi, nella formazione, nella testimonianza, nella carità? Il dettato del documento rimane sul tema molto vago – per non dire insensibile -, attribuendo per di più una competenza dirimente – che scavalca le competenze ordinarie della Congregazione per il Culto – alla Commissione Ecclesia Dei,oggi trasferite alla Congregazione per la Dottrina della Fede.
 A distanza di 20 anni da quel discorso e a 13 anni da SP, oggi è possibile riconsiderare la fondatezza di quell’avvertimento, per sostituire alla soluzione precaria del “parallelismo rituale” una vera “riconciliazione liturgica”, che assicuri all’unico rito comune tutta la ricchezza che la tradizione liturgica ha saputo elaborare, per essere fedele non solo al suo passato, ma anche al suo futuro.
Rispetto a quel testo si possono fare solo tre ulteriori osservazioni:
 a) La logica dell’indulto è rimedio “in extremis”. E’ una via “sempre possibile”, che non si può mai escludere e che permette di “derogare” ad una norma generale con una eccezione, che il Vescovo locale può stabilire. Ma, di fatto, è un rimedio sempre “a posteriori”, che non affronta veramente la questione della riconciliazione.
 b) Alla luce degli sviluppi contrastati e non pacificati di questi 20 anni, la assunzione di una “pacificazione” davvero “oltre SP” – ma anche oltre la via brevior dell’indulto – deve escludere la via del parallelismo delle forme rituali ordinarie/extraordinarie (o delle normative generali/eccezionali) per assicurare una “comunione rituale” che valorizzi le polarità interne alla tradizione liturgica comune, ossia quelle tra linguaggi verbali e non verbali, tra espressione e silenzio, tra movimento e stasi, tra dicibile e indicibile, tra assunzione della iniziativa e perdita della iniziativa, tra azione e passione.
 c) Il nuovo modo di pensare la “ars celebrandi” – non solo come “obbedienza alle rubriche”, ma come “attivazione di tutti i linguaggi” – è il luogo della comunione rituale del cristiano con il suo Signore, nella chiesa. Le due definizioni di ars celebrandi – che si trovano in “Sacramentum Caritatis” ai nn. 38 e 40 – proprio nella loro differenza armonica aprono un nuovo orizzonte alla pax liturgica.
1Cfr. Autour de la question liturgique. Avec le Cardinal Ratzinger, Actes des Journées liturgiques de Fontgombault 22-24 Juillet 2001, Association Petrus a Stella, Fontgombault, 2001.