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venerdì 26 giugno 2020

DOMENICA XIII DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 28 Giugno 2020



2Re 4,8-11.14-16a; Sal 88; Rm 6,3-4.8-11; Mt 10,37-42


Dei brani della Scrittura proposti oggi alla nostra attenzione si possono fare diverse letture. Cercheremo di leggere i testi unitariamente sviluppando il tema del camminare alla luce del volto del Signore, tema emerso già nel salmo responsoriale. Nella prima lettura (2Re 4,8-11.14-16) si parla di un cammino che va dalla sterilità alla fecondità: la vita di colui che accoglie il fratello, e con lui la visita di Dio, diventa una vita feconda. Nella seconda lettura (Rm 6,3-4.8-11) san Paolo ci propone un cammino che va dalla morte alla vita: nel battesimo siamo stati sepolti con Cristo per camminare in una vita nuova, quella di Cristo risorto. Si tratta di una partecipazione alla vita del Risorto che si sviluppa nel pellegrinaggio terreno per giungere al suo definitivo compimento nella gloria.


È però sulla lettura evangelica che vorrei soffermarmi. Le parole di Gesù raccolte in questo brano sono particolarmente dure ed esigenti. Il Signore ci propone il cammino paradossale della croce, quello che egli stesso ha percorso: “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me”.  Di fronte alla radicalità di queste parole, è giusto domandarsi quale sia il loro vero significato. Gesù non chiede di “sentire” più affetto per lui che per i propri familiari. Non si tratta di sentimenti, ma di valori, di porre cioè Cristo e la sua volontà prima di ogni altro valore e di ogni altra volontà. Non sarebbe un buon figlio chi, per far contenti i propri genitori, diventasse un ladro o un criminale. Anzi, questa maniera di agire sarebbe proprio il modo di disprezzare quella vita e quella dignità che i genitori ci hanno dato come valore da custodire. San Benedetto ha sintetizzato in modo giusto questa dottrina quando indirizzandosi ai monaci, che hanno fatto una scelta radicale di Cristo, dice nella sua Regola: “Nulla anteporre all’amore di Cristo” (4,21), e poi, quando più avanti afferma, parlando dell’obbedienza: “Essa è propria di coloro che ritengono di non avere assolutamente nulla più caro di Cristo” (5,2). Nessun vincolo umano e nessuna illusoria tentazione deve quindi sottrarci dalla fedeltà al Signore. Il legame con Gesù e, attraverso lui con il Padre deve costituire la priorità rispetto a tutti gli altri tipi di legami umani e la sua sequela deve essere più importante della vita stessa.


Il nostro passaggio sulla terra non è una passeggiata turistica, ma un faticoso cammino, che tuttavia nasconde e nello stesso tempo rivela un grande mistero, quello del Cristo morto e risorto. Alla fine del cammino c’è la partecipazione piena e definitiva alla vita del Risorto.