Translate

venerdì 25 ottobre 2024

DOMENICA XXX DEL TEMPO ORDINARIO (B) – 27 Ottobre 2024

 



 

 

Ger 31,7-9; Sal 125; Eb 5,1-6; Mc 10,46-52

 

 

La prima lettura parla del popolo d’Israele in esilio che viene consolato dalle parole di speranza del profeta Geremia che annuncia a tutti coloro che “erano partiti nel pianto” l’intervento salvifico di Dio che li riporterà in patria “tra le consolazioni”. L’evento, nella rilettura che ne fa la liturgia, diviene la profezia della grande restaurazione messianica, espressa simbolicamente nel brano evangelico odierno dalla narrazione della guarigione del povero cieco Bartimeo, compiuta da Gesù lungo la strada che porta a Gerusalemme. Due situazioni che illustrano assai bene la condizione dell’uomo alla ricerca della salvezza. Alla luce del disegno salvifico di Dio, tutti i personaggi e gli eventi della Bibbia possono essere considerati paradigmatici, esemplari. In essi possiamo ritrovare noi stessi con i nostri problemi e le nostre attese.

 

Prendiamo il personaggio Bartimeo. E’ seduto sulla strada a mendicare. Non è neppure in grado di vedere Gesù. Il cieco però, attraverso la fitta coltre delle tenebre che lo avvolge, riesce a sentire che Gesù Nazareno è lì di passaggio, e grida fiducioso invocando da lui pietà. Gesù lo fa chiamare, gli domanda cosa vuole e, alla richiesta del cieco che chiede di riavere la vista, Gesù lo guarisce con queste parole: “Va, la tua fede ti ha salvato”. La risposta di Gesù va oltre la richiesta del povero cieco. Egli grazie alla sua fede, non è solo liberato dalla sua infermità, ma “salvato”. Il racconto di san Marco si chiude con questa annotazione: “E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada”. Ormai Bartimeo vede in Gesù non solo il “benefattore” (Figlio di Davide) capace di guarirlo, ma anche il Maestro da seguire per la strada. La guarigione di questo cieco ha quindi una dimensione fisica, ma nello stesso tempo una dimensione spirituale: è stato liberato dalla cecità per poter diventare discepolo di Gesù. Il rilievo dato alla fede come causa della guarigione e la sequela da parte di questo “emarginato” hanno un significato paradigmatico: la salvezza è donata all’uomo nella fede e nella sequela lungo la strada verso la croce (questo miracolo è l’ultimo compiuto da Gesù in cammino verso Gerusalemme). Chi incontra il Cristo, chi si fida di lui, come il cieco Bartimeo, incontra la salvezza, viene cioè liberato dal suo male. Ma non basta incontrare il Cristo, occorre mettersi anche al suo seguito e condividere la sorte del Maestro che porta alla croce ma anche alla risurrezione.

 

Alla luce della seconda lettura, che parla di Gesù “sommo sacerdote”, che “è in grado di sentire giusta compassione” per la sofferenza e debolezza dell’uomo, la guarigione del cieco di Gerico assume le caratteristiche di un’opera di misericordia con la quale Gesù rivela l’amore misericordioso del Padre per noi. Da soli non riusciamo a vedere il cammino che conduce alla salvezza. Incontrare Cristo significa incontrare la luce che illumina il cammino che conduce alla salvezza attraverso i sentieri tortuosi della vita.

domenica 20 ottobre 2024

L’ASSEMBLEA CELEBRANTE





A differenza del Credo, che prevede un “io” come soggetto di quella che è una dichiarazione, la preghiera eucaristica si esprime nel “noi”, che ha per soggetto l’intera assemblea, anche se uno solo proclama a titolo comune. Il termine “sacerdote” per indicare il singolo che prega a nome di tutti, va considerato nel suo mero uso colloquiale, bisognoso di molti distinguo. Nella storia cristiana, infatti, non sono mancati i momenti in cui si sono reintrodotti quegli elementi di interdetto e di mediazione tipici di una sacralità che la liturgia cristiana ha sempre voluto superare. Per secoli il “sacerdote” è tornato ad essere nei fatti un mediatore del sacro, vecchia maniera. Essere speciale e separato, egli era il solo a poter maneggiare le cose sante, è l’unico, sostanzialmente, a rendere vera e valida la celebrazione.

La logica del sacro, le cui radici antropologiche affondano dentro profondità che a stento controlliamo, sta sempre in aguato. Il canone della preghiera però vigila più di noi, e nella parola prescritta tiene fermo quello che è dirimente. Quindi essa ci ricorda che magari uno presiede, ma a celebrare sono tutti. Anche quello che sta in fondo alla chiesa, nascosto dietro al confessionale, e non lo sa. Il popolo sacerdotale è anche santo, non perché tutti sono santi, nel senso convenzionale del termine, ma in virtù dell’essere parte di un organismo che è la santità di Gesù a qualificare nella sua interezza.

 

Fonte: Giuliano Zanchi, Preghiera e liturgia; San Paolo, Cinisello Balsamo 2024, pp. 66-67. 

venerdì 18 ottobre 2024

DOMENICA XXIX DEL TEMPO ORDINARIO (B) – 20 Ottobre 2024

 



 

Is 53,10-11; Sal 32; Eb 4,14-16; Mc 10,35-45

 

 

Nel brano evangelico odierno possiamo distinguere due momenti. Nel primo, vediamo gli apostoli e fratelli Giacomo e Giovanni che si avvicinano a Gesù per chiedergli l’onore dei primi posti accanto a lui nella gloria. Notiamo che la richiesta degli apostoli segue immediatamente il terzo annuncio della passione, morte e risurrezione fatto da Gesù ai Dodici sulla strada per Gerusalemme (cf. Mc 10,32-34). Con la Ioro incosciente richiesta, i due figli di Zebedeo dimostrano, da un lato, la loro incomprensione delle parole che Gesù ha appena pronunciato sul futuro di sofferenza e di morte e, dall’altro, rivelano di vivere la comunità come finalizzata alla loro personale riuscita. Evidentemente gli interessi dei discepoli si muovono su un livello del tutto diverso da quello su cui si muove Gesù, totalmente proteso a fare la volontà del Padre. Nel secondo momento, troviamo la risposta di Gesù, il quale rifiuta le pretese dei discepoli e al tempo stesso propone un nuovo ordine di valori ai quali si deve attenere colui che intende seguirlo: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse […] Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti”. Gesù dice come orientare la tendenza a primeggiare in modo che l’agire del discepolo sia una vera contestazione del comune agire degli uomini e serva a costruire una comunità di fratelli: ognuno deve mettere i propri doni, i carismi ricevuti, al servizio del bene comune, senza ricerca di privilegi.

 

Il discepolo, quindi, deve distanziarsi dalle logiche mondane e conformarsi al comportamento del Figlio dell’uomo, che “non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (cf. anche la prima lettura). In queste lapidarie parole di Gesù sono racchiuse quattro avvertenze: la prima è che servire è una dimensione dell’intera esistenza, non un frammento del nostro tempo o del nostro agire. Servire cioè è un modo di esistere, uno stile che nasce dal profondo di se stessi. La seconda avvertenza è che lo stile del servizio si oppone nettamente alla logica del farsi servire. Non si possono vivere alcuni spazi come servizio e altri come ricerca di sé. La terza avvertenza è che servire significa in concreto vivere sentendosi responsabile degli altri. La quarta avvertenza e forse la più importante: il vero servizio non raggiunge soltanto i bisogni, ma accoglie la persona. Si potrebbe essere efficienti per quanto riguarda i bisogni, trascurando poi del tutto le persone. Per Gesù i “molti” per i quali dona la vita sono persone, volti, non masse anonime o semplicemente problemi da risolvere.

 

L’insegnamento di Gesù punisce la nostra ambizione, il nostro pensare incentrato sull’esito personale, sulla nostra inconfessata brama di potere, la nostra ricerca di prestigio, il nostro vaneggiare di grandezza. I discepoli di Gesù siamo chiamati a porre nella società i germi concreti di uno stile di vita nuovo, di una generosità grande e piena. La parola di Gesù stigmatizza la logica dei poteri mondani, ma soprattutto si rivolge alla Chiesa. La prima testimonianza “politica” della Chiesa consiste nella sua strutturazione interna, nell’organizzazione delle sue strutture di autorità e nel modo di vivere l’autorità, che dev’essere conforme a quanto vissuto da Cristo e da lui richiesto ai discepoli.

 

 

domenica 13 ottobre 2024

L’AZIONE RITUALE

 



 

Sebastiano Bertin, Actio. L’azione rituale crocevia tra Dio e l’uomo (“Caro salutis cardo”. Studi 25), Edizioni Liturgiche – Roma, Abbazia di Santa Giustina – Padova, 2024. 496 pp. (€ 45).

 

Prima parte: L’eredità della riflessione sull’azione.

Capitolo 1: L’azione come oggetto d’indagine.

Capitolo 2: Status quaestionis: la riscoperta dell’azione e la sua valenza liturgico-sacramentale.


Seconda parte: L’antropologia dell’azione rituale.

Capitolo 3: L’azione come questione antropologica. Una possibile antropologia dell’azione come fondamento della teologia liturgica.

Capitolo 4: La risorsa dell’azione rituale nella postmodernità.


Terza parte: L’azione liturgica.

Capitolo 5: Il problema dell’azione nel pensiero liturgico-sacramentale.

Capitolo 6: L’ars celebrandi come ars agendi. Sfida per un’autentica teologia liturgica.


Conclusione.

venerdì 11 ottobre 2024

DOMENICA XXVIII DEL TEMPO ORDINARIO (B) – 13 Ottobre 2024

 



 

 

Sap 7,7-11; Sal 89; Eb 4,12-13; Mc 10,17-30

 

 

La prima lettura è un invito a formarsi la giusta scala dei valori. Il testo parla di ricchezza, onore, potere, salute, bellezza, tutte cose in sé positive e quindi appetibili. Tuttavia, tutte queste realtà non sono capaci di appagare la nostra sete di felicità, perché il loro valore rimane essenzialmente limitato e appunto per questo, non di rado, a chi le possiede lasciano il cuore vuoto. Ecco, quindi, che la parola di Dio ci esorta a colmare il vuoto del nostro cuore con un bene che non tramonta, “lo spirito di sapienza”, l’unica vera ricchezza. Colui che cerca instancabilmente questa sapienza senza lasciarsi incantare da altre bellezze è un uomo veramente saggio. Colui che incontra la sapienza, la conosce e ne fa il centro della propria vita sarà felice, perché con essa vengono tutti gli altri beni.

 

Ma cos’è questa sapienza di cui parla la prima lettura. La risposta la troviamo nel brano evangelico d’oggi. La vera sapienza consiste nell’accogliere la chiamata di Gesù e seguirlo collocando in lui ogni nostra speranza. L’uomo che si avvicina a Gesù viene presentato come un giusto osservante dei comandamenti di Dio e, al tempo stesso, molto ricco. Si tratta apparentemente quindi di un uomo a cui non manca nulla per essere felice. Ciò nonostante, quest’uomo sente il bisogno di qualcosa di più per assicurarsi la vera felicità, la vita eterna. Ecco perché si rivolge a Gesù in cerca di un consiglio: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”. Alla risposta di Gesù che gli chiede di donare i suoi beni ai poveri e seguirlo, il nostro uomo non ha la forza di rinunciare alle ricchezze e preferisce la sicurezza di queste ad una vita totalmente donata a Cristo. Il saggio invece è colui che dinanzi a questo dilemma, sceglie Cristo. Naturalmente, non tutti sono chiamati a fare un gesto così radicale, ma tutti siamo chiamati, quando ciò sia necessario per la nostra salvezza, a posporre i beni terreni ai valori del vangelo o, in altre parole, tutti siamo chiamati ad acquisire quella sapienza, alla luce della quale siamo in grado di valutare le cose terrene ed eterne diventando interiormente liberi e quindi aperti ai valori del regno di Dio. Nella sobrietà di quei beni che il Vangelo chiama ricchezze si trova la possibilità di altri beni ben più importanti.

 

Nell’ascolto assiduo della parola di Dio, ognuno di noi è chiamato a dare le sue risposte. La parola di Dio, infatti, non è semplice cronaca, ma è voce di Dio che ci interpella e ci sollecita ad una concreta risposta. Come ci ricorda la seconda lettura, “la parola di Dio è viva, efficace […]; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito […] e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore”. Sperimentare l’efficacia della parola di Dio significa aprire la propria vita ad un vero incontro con il Signore. Lasciamoci interpellare da questa parola. Non permettiamo che le loro sollecitazioni vadano a vuoto.

 

domenica 6 ottobre 2024

PREGHIERA E LITURGIA

 



Giuliano Zanchi, Preghiera e liturgia; San Paolo, Cinisello Balsamo 2024. 143 pp. (€ 14,00).

1. Gesù, una rivoluzione cultuale.

2.Cristo, epicentro della preghiera.

3. Nel “Noi” della Chesa.

4. Nel segno del sacramento.

5. Il nucleo eucaristico.

6. Mensa di una parola viva.

7. Registri, toni, modulazioni.

 

Il libro è “per quelli che hanno già una familiarità con la liturgia, e desideri  sinceri in fatto di preghiera, e vogliono mettere a fuoco con un supplemento di riflessione qualcosa che nella loro esperienza non trova ancora parole per definirsi. Più una serie di meditazioni che un saggio per specialisti” (Introduzione, p. 15).

Posso aggiungere, dopo una attenta lettura delle pagine di questo libro, che è un’opera utile anche agli specialisti.

 

venerdì 4 ottobre 2024

DOMENICA XXVII DEL TEMPO ORDINARIO (B) – 6 Ottobre 2024

 



 

Gen 2,18-24; Sal 127; Eb 2,9-11; Mc 10,2-16

 

È evidente che il tema delle letture bibliche odierne è quello dell’amore fedele come fondamento del matrimonio. Ma il testo del versetto del canto al vangelo sembra che allarghi in qualche modo la visuale quando propone come criterio di lettura del brano evangelico le parole di 1Gv 4,12: “Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi, e l’amore di lui è perfetto in noi”. L’amore fedele, quindi, non è solo fondamento della vita matrimoniale ma è anche principio di armonia tra i figli di Dio, tra noi tutti.

 

La prima lettura riporta il brano del libro della Genesi dove si narra la creazione della donna. Le immagini usate dal racconto mettono in risalto l’uguaglianza in dignità tra l’uomo e la donna. Inoltre, il testo presenta l’incontro di amore tra l’uomo e la donna come una realtà che rientra pienamente nel disegno voluto da Dio. Il brano evangelico ci tramanda alcune affermazioni di Gesù sul matrimonio in risposta ad una domanda fattagli dai farisei. La domanda verte su se sia lecito o meno ad un marito ripudiare la propria moglie. Come evidenzia il testo, tale possibilità era prevista dalla legge di Mosè. Gesù, superando i termini angusti in cui viene posto il problema, va alla radice della questione ed afferma che questa norma era stata scritta “per la durezza del vostro cuore”, e colloca poi il rapporto uomo-donna nella visione originaria di Dio in cui un tale ripudio non era contemplato. Rientrati poi a casa, Gesù risponde ad una nuova interrogazione su questo argomento fatta questa volta dai discepoli riaffermando la natura indissolubile dell’amore matrimoniale e la pari dignità che in esso hanno l’uomo e la donna. Per capire meglio le parole di Gesù, è utile che ci soffermiamo sull’espressione: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma…”  Cosa intende affermare Gesù? 

 

L’immagine del “cuore indurito” richiama la denuncia dei profeti contro l’atteggiamento degli israeliti che non erano in grado di cogliere il senso dell’azione e della parola di Dio. I profeti però al tempo stesso che fanno questa denuncia, promettono - almeno dopo l’esilio - che Dio farà loro dono di un cuore nuovo. Così, ad esempio, è conosciuto il testo di Ezechiele che parla del dono che Dio farà di un cuore di carne in sostituzione del cuore di pietra affinché i figli d’Israele siano capaci di pulsare in sintonia con il progetto di Dio. Queste promesse si realizzano pienamente in Gesù Cristo. In lui siamo stati santificati (cf. seconda lettura). In lui possiamo quindi essere liberati dalla durezza del nostro cuore e comprendere e vivere le esigenze di Dio. L’amore umano è fragile, minacciato continuamente dalla debolezza. Ma chi apre il suo cuore a Dio riceve la forza per portare a compimento il progetto divino. Per i discepoli di Gesù, “sposarsi nel Signore” significa lasciarsi condurre dallo Spirito ed accettare una possibilità inedita, che Dio rende possibile con la sua grazia.

domenica 29 settembre 2024

L’ARTE DEL PRESIEDERE

 




Presiedere è un termine del vocabolario cristiano che si trova già in Paolo: “Chi presiede (ho proistàmenos) presieda con diligenza” (Rm 12,8). Presiedere significa servire. Il presidente rappresenta Cristo, il Maestro che lava i piedi ai suoi discepoli. È un ministero svolto per favorire l’accoglienza del Mistero nella liturgia.

Ogni assemblea radunata “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” provoca la presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Questo è il “magnum mysterium” celebrato in ogni Eucaristia, che realizza il nostro essere Chiesa, Corpo di Cristo. Dal punto di vista teologico, e non semplicemente per una ideologia di tipo democratico, il ministero della presidenza fa riferimento a questo mistero. Poiché presiede in forza della grazia di Dio, conferitagli nell’Ordine sacro, il presbitero (ministro) non è un semplice delegato dei suoi fratelli. Ma il ministro ordinato non deve neppure dimenticare di essere nell’assemblea un battezzato che prega insieme ad altri battezzati. Presiedere in nome di Cristo significa chiamare l’assemblea ad essere interamente attiva con Cristo secondo l’adagio: uno solo presiede ma tutti celebrano.

Il ministero della presidenza oggi, dal punto di vista pastorale, consiste nel far entrare l’assemblea nella preghiera di Cristo e della Chiesa in una partecipazione attiva sia interiore che esteriore, trovando in essa nutrimento spirituale.

Il presidente non si può limitare ad eseguire correttamente le prescrizioni del rituale: egli deve permettere all’assemblea di abitare l’azione in corso. La finalità della liturgia è il bene spirituale dei partecipanti. Il servizio, l’arte del presiedere è in funzione di tutto ciò. In definitiva, l’arte di celebrare e di presiedere permetterà ai battezzati che esercitano attivamente il loro sacerdozio comune di vivere e gustare, dentro l’orizzonte di un’esperienza mistica, quanto è buono/bello il Signore.

 

Fonte: Loris Maria Tomassini, Nel segno della bellezza. Bellezza, liturgia e sensi spirituali, Cittadella, Assisi 2022, pp. 196-197.

 

venerdì 27 settembre 2024

DOMENICA XXVI DEL TEMPO ORDINARIO (B) – 29 Settembre 2024

 



 

Nm 11,25-29; Sal 18; Gc 5,1-6; Mc 9,38-43.45.47-48

 

 

Oggi la parola di Dio ci invita a rifuggire dalle chiusure, dagli esclusivismi di gruppo, e a guardare oltre i nostri confini. Il tema viene illustrato con due episodi. Il primo episodio è raccontato dalla prima lettura ed è accaduto nell’accampamento d’Israele nel deserto: due uomini, che non appartengono alla cerchia dei 70 anziani consiglieri dei Mosè, si mettono improvvisamente a profetizzare. Allora Giosuè mosso dalla gelosia si rivolge a Mosè perché li impedisca di profetizzare. Mosè però si mostra tollerante, anzi gioioso del fatto, a tal punto che augura che tutti possano essere profeti nel popolo del Signore e ricevere il suo spirito. Il secondo episodio è riportato dalla lettura evangelica: gli apostoli hanno visto uno che scaccia i demoni nel nome di Gesù e glielo hanno vietato perché non apparteneva al gruppo dei discepoli. Contestando la grettezza del gruppo dei dodici apostoli, Gesù fa capire che il regno di Dio si esprime anche altrove e mediante altri strumenti; più precisamente, ovunque si agisce come lui e mediante tutti coloro che si ispirano al suo messaggio. Gesù non ha bisogno di monopolizzare il suo potere; gli basta che la verità venga riconosciuta. Il Signore ci invita ad una fede libera e matura, capace di apprezzare il bene ovunque esso si trovi. L’azione di Dio che opera mediante il suo Spirito non può essere circoscritta dentro i confini di una comunità definita solo in base ai criteri di appartenenza. Chiunque esercita la carità e la misericordia avrà la sua ricompensa. Sia Gesù sia Mosè, davanti ad una impostazione del ministero della salvezza come dominio e privilegio, rispondono celebrando lo splendore della libertà e della generosità di Dio.

 

Ciò non significa però perdita della propria identità o mancanza di coerenza con i propri principi. Ce lo ricorda la seconda parte del vangelo d’oggi, dove san Marco raccoglie una serie di affermazioni a dir poco sconcertanti di Gesù: “Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala […] Se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo […] Se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via”. Si tratta evidentemente di immagini o modi di dire. Anzitutto Gesù adoperando queste immagini invita i suoi discepoli a controllare con cura e a sondare il loro comportamento sociale (piede e mano) e personale (occhio) per evitare che, nell’orgoglio della propria serena sicurezza, divenga radice di male per i fratelli che ancora stanno cercando Dio. Gesù, poi, si esprime con immagini concrete ed eloquenti per far capire che chi vuol essere suo discepolo deve fare una scelta chiara, radicale e definitiva, deve essere quindi disposto a sacrificare ogni cosa di sé se lo esige la fedeltà alla propria scelta di fede. L’importanza della coerenza è richiamata anche da san Giacomo nella seconda lettura a proposito dell’uso delle ricchezze: colui che le possiede, se non fa attenzione, questo possesso può mettere in pericolo la sua appartenenza al Signore e il suo stesso avvenire eterno.

 

 

domenica 22 settembre 2024

LA TERZA FORMA DEL RITO DELLA PENITENZA

 



Roberto Bischer - Andrea Toniolo (edd.), Ripensare la Penitenza. La terza forma del rito: eccezione o risorsa? (Giornale di Teologia 463), Queriniana, Brescia 2024. 263 pp. (€ 22,00).

Un libro che vale la pena leggere e meditare. Scritto da diversi autori: liturgisti, moralisti e canonisti. Si parte dalla positiva esperienza in alcune diocesi di Italia nel tempo della pandemia, in cui è stato permesso dai vescovi l’uso della terza forma del rito della penitenza. È evidente la crisi della prassi penitenziale ma non il desiderio di riconciliazione.

È auspicabile che, benché forte una pratica sacramentale plurisecolare, la Chiesa non manchi di verificare se tra il senso oggettivo dei sacramenti e quello soggettivamente percepito dai cristiani di oggi non si sia creato un fossato tale, da richiedere un’azione di ripristino del senso originario dei sacramenti.

In questi ultimi decenni è maturata, da parte della comunità, l’esigenza di ricuperare una forma di riconciliazione che prenda atto anche dell’attuale nuova sensibilità delle persone (per esempio il rifiuto di prassi che potrebbero avere a che fare con il controllo delle coscienze).

Il processo per giungere a un nuovo sistema penitenziale è ancora aperto. Va curato il passaggio dalla confessione alla riconciliazione non per via della soppressione dell’accusa dei peccati, ma attraverso una sua migliore comprensione – che superi la visione “materiale” dell’integrità – e un suo più accurato adattamento all’insieme bilanciato degli atti che il penitente compie per riconciliarsi con la Chiesa.

Sia il Concilio di Trento, che gli altri documenti che da esso dipendono affermano che la confessione di tutti i peccati gravi al sacerdote è “iure divino” (cf. DH 1679, 1706s). Oggi nessuno dubita che questa espressione abbia molti significati nei testi di Trento.

La riconciliazione con la Chiesa ha portato a riflettere sulla finalità principale del sacramento del perdono dei peccati gravi e la sua distinzione dalla direzione delle coscienze e dall’esercizio della virtù di penitenza esercitata anche come confessione di devozione. Va meglio pensata e affermata la distinzione dei due generi.

 

venerdì 20 settembre 2024

DOMENICA XXV DEL TEMPO ORDINARIO (B) – 22 Settembre 2024

 



 

 

Sap 2,12.17-20; Sal 53; Gc 3,16-4,3; Mc 9,30-37

 

Tra la via della croce, tema della domenica scorsa, e la via del servizio che ci viene proposta oggi dalla parola di Dio c’è una profonda affinità. Dopo la rivelazione del mistero di sofferenza verso cui si incammina, Gesù formula il codice dell’autorità cristiana come servizio e dono di sé per gli altri. Così comprendiamo quale senso Egli dà alla sua passione: è un servizio, un donare la vita per gli altri.

 

Le tre letture bibliche parlano di una serie di comportamenti inaccettabili da colui che intende vivere da uomo giusto. Constatiamo infatti che non è la giustizia ciò che il più delle volte interessa agli uomini, ma il prestigio, la grandezza, la carriera (cf. lettura evangelica), il possesso (cf. seconda lettura). Per ottenerli si litiga, si ricorre all’insulto, magari all’omicidio e alla guerra (cf. seconda e anche prima lettura). Infatti, l’avidità, l’intolleranza, la gelosia, l’asservimento agli istinti umani del possesso e del dominio hanno sempre generato guerre e conflitti larvati o dichiarati anche talvolta nelle comunità cristiane e nella Chiesa. Prendendo come punto di riferimento principale il brano evangelico, vediamo che domenica scorsa san Pietro cercava di dissuadere Gesù dal percorrere il cammino della croce; oggi mentre Gesù annuncia che sta per essere consegnato nelle mani degli uomini che lo uccideranno, tutto il gruppo dei discepoli sta discutendo su questioni di prestigio, su a chi aspettano i primi posti. Insomma, sembra che Gesù e i suoi discepoli parlino linguaggi diversi, siano mossi da interessi contrastanti, non riescano a comunicare tra loro. I pensieri di Gesù sono in aperta contraddizione con i pensieri dei discepoli. Comprendere la parola di Gesù implica un coinvolgimento spirituale che essi al momento non hanno raggiunto.

 

Pazientemente il Signore, arrivati a casa - dice il testo - cerca di spiegare quali devono essere i rapporti in seno alla comunità di coloro che intendono seguirlo e diventare discepoli: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. Gesù aggiunge alle sue parole il tenero gesto dell’abbraccio ad un bambino. Nel contesto, il gesto intende essere un pressante appello alla totale disponibilità, all’abbandono senza calcoli, doppiezze e interessi. A chi ambisce i primi posti fondandosi sulla propria “grandezza”, Gesù oppone il piccolo e ultimo per eccellenza, il bambino. Accoglierlo nel suo nome è accogliere lui stesso come Salvatore inviato dal Padre.

 

Il servizio è il segno del vero discepolo di Cristo, è il frutto di un amore dimentico di sé, e - ad esempio di Cristo - ha la sua massima espressione nel dono della vita per gli uomini. Il servizio cristiano non è passivo, ma attivo. Servire non significa sottomettersi a chiunque, ma mettere le nostre risorse spirituali e materiali, noi stessi a disposizione della promozione dei nostri fratelli e sorelle. San Giacomo, nella seconda lettura, parla della “sapienza che viene dall’alto”. La sapienza o saggezza cristiana procede per vie pacifiche, con la persuasione, cerca di evitare dissidi e contrasti, limita la polemica, evita la maldicenza; si pone invece al servizio della giustizia.

domenica 15 settembre 2024

LA CRISI DELLA PRATICA RELIGIOSA

 



 

In agosto del 2016, ho presentato in questo blog il libro di Franco Garelli, Piccoli atei crescono. Davvero una generazione senza Dio? Il Mulino, Bologna 2016. Otto anni fa, questo studio affermava che il fenomeno della “non credenza” tra i giovani italiani stava assumendo dimensioni impensabili soltanto sino a pochi anni fa, di cui c’è scarsa consapevolezza sia nell’immaginario collettivo sia tra gli stessi operatori del sacro. Tra l’altro, si affermava che la presenza ai riti religiosi (esclusi matrimoni e funerali) coinvolgeva settimanalmente il 13,2% dei giovani italiani tra i 18 e 29 anni (p. 37).

 

La settimana scorsa, ho presentato la recente opera del sociologo Luca Diotallevi, La Messa è sbiadita. La partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019. Secondo questa ricerca, la quota di individui con 18 anni di età o più che dichiarano di aver partecipato almeno una volta alla settimana a un rito religioso, passa dal 37,3% del 1993 al 23,7% del 2019 (p. 17). L’autore afferma, poi, che le donne stanno disertando i riti religiosi a un ritmo più veloce di quello degli uomini (p. 89). Non aggiungo altri dettagli che il sociologo illustra con precisione.

 

Il Prof. Diotallevi afferma che il suo lavoro è un lavoro sociologico e che la partecipazione ai riti religiosi potrebbe essere analizzato da altri punti di vista (p. 9). Non mancano nel libro delle valutazioni sulle cause di questo deprezzamento della pratica religiosa. Anzitutto occorre collocare questo fenomeno in un conteso sociale in cui i legami tra le persone sono più deboli, meno significativi, si incontra meno frequentemente l’amico, diminuiscono i matrimoni, si vota di meno, ecc. In questo contesto si inserisce anche la diminuzione della partecipazione ai riti religiosi. Poi, “non è affatto da escludere che nella concreta prassi celebrativa cattolica anche in Italia sia aumentato il disimpegno del modello prescritto. Che poi ciò sia in contraddizione con la riforma liturgica proposta dal Vaticano II non sorprenderebbe affatto. Così come non sorprenderebbe che la diffusione in ambito cattolico di liturgie centrate sul protagonismo di coloro che le presiedono e dei loro più stretti collaboratori ben se accordi con ciò che (poco sorprendentemente) accomuna le critiche “tradizionaliste” e quelle “progressiste” alla riforma liturgica del Concilio” (p. 82). Più avanti, l’autore ipotizza che la suddetta crisi della pratica religiosa sia “l’effetto di una sorta di risacca seguita alla dissoluzione della coalizione riformista guidata da Paolo VI, affermatasi al Vaticano II e manifestatasi pienamente per l’ultima volta con il varo delle riforme (concernenti non solo la liturgia) del biennio 1967/1969” (p. 83).

 

venerdì 13 settembre 2024

DOMENICA XXIV DEL TEMPO ORDINARIO (B) – 15 Settembre 2024


 


 

 

Is 50,5-9a; Sal 114; Gc 2,14-18; Mc 8,27-35

 

Il messaggio di questa domenica lo possiamo riassumere con le parole di san Paolo, riproposte dal canto al Vangelo: “Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (cf. Gal 6,14). Ciò che per l’apostolo Paolo è un motivo di vanto e di gloria, è stato un tempo per san Pietro motivo di scandalo. Infatti, nel brano evangelico odierno vediamo come dinanzi alle parole di Gesù che annuncia il destino di sofferenza e di morte che lo attende, Pietro non accetta che questa sia la sorte del Messia e cerca in ogni modo di dissuaderlo dall’abbracciare questo cammino di croce. Quante volte anche noi siamo dalla parte di Pietro con i nostri criteri e con le nostre valutazioni! Infatti, siamo inclini a pensare che il successo escluda la sofferenza. Gesù invece propone una visione dell’esistenza molto diversa, anzi sconcertante, in cui morte e vita, sconfitta e vittoria vanno misteriosamente insieme.

 

Anche la prima lettura propone lo sconcertante cammino della croce. Il profeta Isaia parla di un misterioso personaggio, il “Servo di Dio”, incrollabilmente fedele alla sua vocazione e alla sua missione nonostante le persecuzioni e gli oltraggi, figura profetica che annuncia Gesù. Questo personaggio, oggetto di persecuzione e umiliazione, risponde con la fermezza e la sicurezza di chi è sicuro della vittoria: “Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato”. I criteri con i cui noi misuriamo la riuscita di una vita devono cedere di fronte al criterio primo e assoluto: il misterioso disegno di Dio su di noi. È quello che Gesù ricorda a san Pietro: “tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”.

 

In modo simile, nella seconda lettura l’apostolo Giacomo parlando di una fede operosa ci ricorda che il regno di Dio non giunge nel clamore nel trionfalismo, ma nel sacrificio, nella dedizione, nella fedeltà quotidiana ai propri doveri, nella disponibilità a donare la propria vita per gli altri. E quanto insegna Gesù, rivolgendosi a tutti coloro che vogliono far strada con lui: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Ma poi egli aggiunge: “chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”. Parole che, nella loro paradossalità, hanno un significato assai netto: chi vuole essere realmente discepolo di Gesù deve smettere di considerare se stesso come misura di ogni cosa; deve rinunciare a difendersi e accettare di portare lo strumento della propria condanna a morte; deve uscire dai meccanismi di autogiustificazione e abbandonarsi totalmente al Signore. Se accettiamo di condividere la scelta di fedeltà estrema del nostro Maestro e Signore parteciperemo anche alla sua vittoria finale sulla morte. 

domenica 8 settembre 2024

LA MESSA DETTA ALTRIMENTI

 



 

Louis-Marie Chauvet, La Messa detta altrimenti. Ritornare ai fondamentali (Guide per la prassi ecclesiale 36), Postfazione all’edizione italiana di Andrea Grillo, Queriniana, Brescia 2024. 110 pp. (€ 14,00).

Se c’è un ambito che è oggetto di dibattiti e controversie nella Chiesa è la liturgia. C’è chi si schiera, a seconda della sensibilità, “per la messa di sempre” e chi a favore della riforma del Vaticano II. Papa Francesco, lungi dal fare della liturgia un pomo della discordia, non perde occasione per mostrare quanto essa sia importante per la fede e l’unità.

Proprio questo è lo spirito con cui scrive Chauvet. Pur prendendo atto dei cambiamenti nel rapporto della società contemporanea con il sacro, il rito e il celebrare, egli riprende passo dopo passo la struttura della liturgia eucaristica per spiegarne il senso profondo e la coerenza. Consapevole del fatto che in molti avvertono la presenza di un problema – la liturgia non attrae più i nostri contemporanei –, l’autorevole studioso indica la strada per uscire dall’impasse.

L’obiettivo di Chauvet è semplice: tornare ai fondamenti. La liturgia, come la Chiesa, non esiste per se stessa, ma per alimentare la vita di fede.

“Quale liturgia oggi, tra quella di ieri e quella di domani? Di che tipo di liturgia abbiamo bisogno nella presente fase storica?”. Queste sono le domande che percorrono le pagine del saggio.

(Quarta di copertina)

 

venerdì 6 settembre 2024

DOMENICA XXIII DEL TEMPO ORDINARIO (B) – 8 Settembre 2024

 



 

 

Is 35,4-7a; Sal 145; Gc 2,1-5; Mc 7,31-37

 

 

Il messaggio racchiuso nelle letture bibliche odierne può essere riassunto con le parole della lettera di san Giacomo, ascoltate alla fine della seconda lettura: “Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?”

 

In un momento in cui i figli d’Israele in esilio si sentivano dimenticati da Dio, oppressi dal potere straniero e abbandonati alla loro sfortuna, Isaia (cf. prima lettura) rivolge ad essi parole di speranza: “Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio […] viene a salvarvi”. E tra le opere meravigliose di Dio che viene a salvare, il profeta include: “si schiuderanno gli orecchi dei sordi”. Queste promesse di salvezza si compiranno pienamente solo con l’avvento di Gesù Cristo. Egli stesso si è riferito a questo passaggio di Is 35 per spiegare la sua missione ai discepoli inviati da Giovanni Battista (cf. Mt 11,4-6). La guarigione del sordomuto, di cui parla il brano evangelico odierno è uno dei segni con i quali Gesù si manifesta alle folle come colui che adempie gli annunci di Isaia e degli altri profeti. Notiamo i dettagli del racconto: Gesù prende il sordomuto in disparte, gli pone le dita negli orecchi e con la saliva gli tocca la lingua; poi, teso verso il cielo, emette un sospiro e dice: “Effatà”, cioè “Apriti”. I gesti compiuti da Gesù assumono qui un ruolo sacramentale, indicano e vogliono produrre quella salvezza che è dono del cielo, è annuncio di quanto avverrà ai discepoli, sui quali verrà pronunciata quella parola “Effatà”. Marco si premura subito di tradurla per farci capire che Gesù non è un mago che pronuncia parole strane, ma è portatore di salvezza. La guarigione non passa attraverso gesti strani, esoterici, magici, ma semplicemente attraverso un contatto che esprime la compassione, l’amore, la tenerezza di Dio verso colui che soffre. L’evangelista conclude il racconto della guarigione del sordomuto con queste parole: “…pieni di stupore, dicevano: ‘Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti’!”. Di fronte al gesto di Gesù la folla non può trattenersi dal riconoscervi i segni dell’azione di Dio. Nelle opere e nelle parole di Gesù si manifesta la pienezza dell’amore salvifico di Dio.


Nel mondo attuale, nonostante il moltiplicarsi del benessere, c’è gente stanca, sfiduciata, disorientata, gente in cerca di felicità, persone che hanno smarrito il senso della vita. Nessuno può vivere senza speranza. Tutti abbiamo bisogno di un ideale che dia senso alla nostra vita. Ognuno di noi attende dal futuro qualcosa che sia migliore del presente. Come Israele nel momento duro della prova, come il sordomuto di cui parla il vangelo, anche noi siamo chiamati a rivolgere lo sguardo a Dio ci manda un messaggio di speranza. Nonostante le apparenze contrarie e l’apparente trionfo della prepotenza, Dio rende giustizia agli oppressi (cf. salmo responsoriale). Questo messaggio di ottimismo ci invita a superare tutto ciò che sa di rassegnazione a quanto mortifica e opprime l’uomo, e ad essere protagonisti di questa speranza nell’ambiente in cui viviamo: in famiglia, nel lavoro, nella società. Chiediamo al Signore di poter dire anche noi una parola di coraggio a tutti gli smarriti di cuore che incontriamo sulla nostra strada, perché possiamo ripetere con loro le parole del ritornello del salmo responsoriale che abbiamo pregato:Loda il Signore anima mia”.

 

 

 

domenica 1 settembre 2024

LA MESSA SBIADITA

 



Luca Diotallevi, La Messa è sbiadita. La partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019 (Problemi aperti 278), Rubbettino Editore 2024. 122 pp. (€ 13,00).

Il libro si pone essenzialmente tre domande. Quanto è cambiata la componente più importante della partecipazione religiosa in Italia tra il 1993 ed il 2019? (Si dirà anche qualcosa sugli anni della sindemia da Covid e del lock-down, e si vedrà che non hanno prodotto inversioni di tendenza).

Come è cambiata l’influenza di altri fattori sociali su questa forma di partecipazione religiosa?

Come è cambiata l’influenza di questa forma di partecipazione su altri aspetti della vita sociale?

Non si tratta solo di documentare un calo, ma di provare a guardare cosa avviene dentro una porzione più piccola, ma pur sempre molto importante, della società italiana. Quanto e come pesa il sesso, la generazione di appartenenza, l’età e quanto ha pesato essere nati o essere cresciuti in certi periodi storici invece che in altri?

Tra i tanti segni “meno” si vede però emergere anche un segno “più”: quello della influenza di questa forma di partecipazione religiosa sulla disponibilità a gesti di solidarietà, accoglienza ed aiuto nei confronti di altre persone.

I “praticanti” sono oggi un gruppo sociale molto diverso da quello che erano un quarto di secolo fa. E si avviano a diventare presto qualcosa di ancora diverso da ciò che sono oggi: alcune dinamiche di quella trasformazione vengono qui evidenziate e discusse.

(Quarta di copertina)

 

venerdì 30 agosto 2024

DOMENICA XXII DEL TEMPO ORDINARIO (B) – 1 Settembre 2024

 



 

 

Dt 4,1-2.6-8; Sal 14; Gc 1,17-18.21b-22.27; Mc 7,1-8.14-15.21-23

 

 

La parola di Dio questa domenica ci invita al discernimento tra ciò che è essenziale e ciò che è periferico, ciò che è prioritario e ciò che è secondario nella nostra vita. Così, ad esempio, nella nostra relazione con Dio siamo tentati talvolta di aggrapparci a facili sicurezze, a una religiosità fondata su regole chiare e precise che dispensino da una più profonda responsabilità personale. Alla tentazione del legalismo e del formalismo, le letture bibliche odierne rispondono invitandoci ad un rapporto con Dio fondato su scelte maturate consapevolmente nel profondo della nostra coscienza, del nostro cuore, e attuate poi con piena responsabilità.

 

Nella prima lettura vediamo che Mosè, alla fine del lungo pellegrinaggio attraverso il deserto verso la terra promessa, invita il popolo d’Israele ad “ascoltare” e a mettere “in pratica” le leggi e le norme che egli stesso ha trasmesso a nome del Signore: “perché, dice, viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi”. La legge di Dio quindi va anzitutto ascoltata, recepita, personalizzata affinché la sua osservanza sia veramente sorgente di rinnovamento nella nostra vita. Il carattere immutabile della legge, che Gesù è venuto non ad abolire, ma a portare a compimento, non conduce al fondamentalismo, poiché si tratta di una legge viva, affidata ad un popolo responsabile di questo dono. Essa instaura tra Dio e noi una relazione di amicizia fiduciosa, la cui osservanza rende testimonianza “agli occhi dei popoli”, come dice Mosè. In modo simile, san Giacomo nella seconda lettura, ci insegna che si tratta di accogliere “con docilità” la parola di Dio, che è stata piantata in noi. “Piantata” in noi, deve crescere e dare frutti concreti di vita cristiana.

 

Il brano evangelico aggiunge alcuni ulteriori elementi a questo insegnamento. che hanno come valore centrale il richiamo all’essenziale, cioè alla dimensione del cuore, sede delle decisioni umane. Gesù polemizza contro le tradizioni dei farisei, che appesantiscono la legge, svuotandola del suo contenuto autentico e, riprendendo parole del profeta Isaia, il Signore afferma: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”. Dio ci chiede il cuore! Chi ha il cuore puro, cioè semplice, cerca sinceramente Dio, la sua volontà, il suo amore, e cerca anche sinceramente il prossimo, perché creatura amata da Dio. Chi invece ha il cuore impuro, cioè egoista, cerca se stesso al di sopra di tutto, allora questo tale pur osservando esternamente le leggi è un ipocrita perché dà a Dio non se stesso ma solo qualcosa di se, il suo cuore è lontano dal Signore. Per Gesù l’essenziale nella vita etica non è l’osservanza della norma in sé, ma il “cuore”, cioè la consapevolezza e l’amore con cui si osserva la norma. Come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica, il cuore “è il luogo della decisione, che sta nel più profondo delle nostre facoltà psichiche. È il luogo della verità, là dove scegliamo la vita o la morte. È il luogo dell’incontro, poiché, ad immagine di Dio, viviamo in relazione: è il luogo dell’Alleanza” (n. 2563).

 

Certamente, Gesù non condanna l’esteriorità a favore unilateralmente di una astratta e vaga interiorità del cuore. Siamo corpo e anima, esteriorità e interiorità, due dimensioni del nostro essere non opposte, ma complementari. Possiamo applicare questo insegnamento al nostro modo di partecipare alla santa Messa: ogni nostra preghiera, ogni nostro gesto durante il rito della Messa ha senso in quanto proviene dal cuore e informa la nostra esistenza. Non sia che il Signore possa rimproverare anche noi con le parole del profeta: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”. 

 

domenica 28 luglio 2024

MARTA E MARIA: DUE MODI DI PERCEZIONE DI CRISTO?

 



 

Le due sorelle hanno due modi molto diversi di incontrare Gesù. Marta mostra tutto il suo amore nell’ospitarlo. Da lei il “fare”, l’attività è in primo piano, mentre Maria siede ai piedi di Gesù e ascolta attentamente le sue parole. Le due sorelle sono state spesso descritte come i due atteggiamenti opposti della vita attiva e della vita contemplativa che però in realtà devono essere viste insieme, non a caso le due sono sorelle. Questo è già evidente nei vangeli: Maria sarà tornata alla sua vita quotidiana e Marta è ricordata per la sua fede nel Vangelo di Giovanni (Gv 11,19-27). Anche nel Vangelo di Luca non sembra esserci un’opposizione, perché prima dell’incontro con Marta e Maria Luca descrive la parabola del buon samaritano, il cui amore attivo per il prossimo è raccomandato come esempio da imitare (Lc 10, 25.37). Entrambe le pericopi immediatamente successive indicano che l’amore per Dio e l’amore per il prossimo vanno di pari passo. Dopo l’intervento di Papa Francesco, la liturgia onora Marta, Maria e Lazzaro nello stesso giorno (29 luglio). E sappiamo dalla vita quotidiana: più abbiamo “Marta” in noi, cioè molte attività da svolgere, più abbiamo bisogno di “momenti di Maria”.

 

Fonte: Marco Benini, “Percezione del Cristo risorto nella sua parola. Coinvolgimento dei sensi esterni e interni”, in Juan Riego (a cura di), Divina perceptio. Percezione ed esperienza del mistero di Cristo nella liturgia (Biblioteca di Iniziazione alla liturgia 11), EDUSC, Roma 2024, pp. 45-46.

 

 

venerdì 26 luglio 2024

DOMENICA XVII DEL TEMPO ORDINARIO (B) – 28 Luglio 2024

 



 

 

2Re 4,42-44; Sal 144; Ef 4,1-6; Gv 6,1-15

 

 

La prima lettura ci racconta come il profeta Eliseo ha sfamato con una ventina di pani un gruppo di cento persone. Il brano evangelico parla di un prodigio simile, ma di proporzioni molto maggiori, compiuto da Gesù, il quale sfama una grande folla che lo seguiva, circa cinquemila uomini, con solo cinque pani d’orzo e due pesci. La folla, visto il prodigio della moltiplicazione dei pani e dei pesci compiuto da Gesù, cominciò a dire: “Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo”. Ecco, quindi, che il miracolo accende le speranze messianiche della moltitudine. Malgrado ciò l’equivoco è enorme: la gente cerca Gesù perché era stata saziata, non perché aveva capito il messaggio del suo gesto. Infatti, sia la moltiplicazione dei pani compiuta da Eliseo sia la moltiplicazione dei pani e dei pesci compiuta da Gesù sono dei gesti profetici (“segni”) che nell’ambiente in cui sono sorti e nella mentalità degli scrittori che li narrano hanno un valore simbolico: i due racconti intendono proclamare l’intervento di Dio - mediante i suoi messaggeri - nei momenti del bisogno umano, la potenza della sua parola, la credibilità dei suoi profeti. Ecco perché la liturgia d’oggi ci invita nel salmo responsoriale a ripetere: “Apri la tua mano, Signore, e sazia ogni vivente”.

 

L’evento della moltiplicazione dei pani ha anche un significato eucaristico. Giovanni annota che “era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei”. Gesù quella volta non vi partecipò. Lì sul monte egli non mangia l’agnello ma imbandisce un banchetto in cui si distribuisce e si spezza insieme il pane. L’allusione al banchetto eucaristico è già evidente, ma si accresce ancor più se pensiamo che, a differenza dei racconti di moltiplicazione dei Sinottici in cui anche i discepoli sono attivi, qui, come nei racconti sinottici dell’ultima Cena, solo Gesù agisce quando si tratta di prendere, rendere grazie, dare e distribuire il pane, non senza prima aver messo alla prova la fede dei suoi discepoli.

 

Non mancano oggi situazioni umane di autentica necessità, di fame vera e propria, in cui tutti possiamo in qualche modo intervenire secondo i mezzi nostri e le nostre possibilità. I nostri fratelli e le nostre sorelle bisognosi hanno diritto a trovare in ciascuno di noi qualcosa dell’abbondanza di Dio che si è manifestata nel gesto di Gesù che ha sfamato le folle. Nella seconda lettura, san Paolo inizia con questa esortazione: “Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi   esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto”. Comportarsi in modo coerente con la chiamata ricevuta significa per Paolo anzitutto “conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace”. La realizzazione di questo ideale di unità e di comunione richiede la disponibilità alla condivisione anche dei beni terreni (cf. orazione colletta).

 

Oggi ancora, come un giorno sul monte, Gesù spezza il pane per noi, anzi in quel pane egli dona a noi tutto se stesso, caparra della nostra eterna comunione con lui.

 

domenica 21 luglio 2024

BENEDIZIONE DEGLI ANIMALI

 



Premesse

1058.
 Molti animali, per disposizione della stessa provvidenza del Creatore, partecipano in qualche modo alla vita degli uomini, perché prestano loro aiuto nel lavoro o somministrano il cibo o servono di sollievo. Nulla quindi impedisce che in determinate occasioni, per es. nella festa di un santo, si conservi la consuetudine di invocare su di essi la benedizione di Dio.

 

(Dal Benedizionale del Rituale Romano)