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lunedì 23 dicembre 2024

NATALE DEL SIGNORE – 25 Dicembre 2024

 



Messa nella notte

 

Is 9,1-3.5-6; Sal 95; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14

 

A Natale celebriamo il meraviglioso progetto che Dio ha tracciato per la storia e per l’intero cosmo. Questo bambino nato a Betlemme è il nostro Salvatore: “Oggi è nato per noi il Salvatore”. È un annuncio che si ripete più volte in questa santissima notte.

 

Gesù “è nato per noi”. È logico quindi che ci domandiamo cosa arreca a noi questa nascita. La risposta la troviamo nelle parole con cui si chiude il vangelo di questa notte: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama”, e cioè pace a tutti gli uomini perché Dio ha liberamente deciso di amarli. La prima lettura ci ricorda che tutta la storia dell’umanità è un faticoso cammino nelle tenebre e nell’oppressione alla ricerca di luce, di verità, di speranza e di pace. Gesù, il “Principe della pace”, di cui parla il profeta Isaia, è la risposta definitiva di Dio alle attese dell’umanità. “Egli - dice san Paolo nella seconda lettura - ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga”.

 

Nel mistero della nascita di Gesù, gli spiriti celesti al tempo stesso che annunziano “sulla terra pace agli uomini”, proclamano “gloria a Dio nel più alto dei cieli”. Che cos’è la gloria di Dio? È Dio stesso in quanto si rivela nella sua maestà, nella sua potenza, nello splendore della sua santità. Dio manifesta la sua gloria con i suoi interventi meravigliosi nella storia. Ma, secondo san Giovanni, la gloria nascosta di Dio è apparsa nel Cristo fra gli uomini (cf. Gv 1,14; 11,4-40) ed è riconoscibile solo attraverso la fede (cf. Gv 2,11). In altre parole, la gloria di Dio è Dio stesso in quanto manifesta il suo amore, un amore che si riflette sul volto di Cristo e da lui arriva a noi. La “pace sulla terra” quindi è la manifestazione storica della gloria di Dio, la manifestazione della volontà salvifica di Dio in Cristo per noi. Possiamo quindi affermare anche che quando gli uomini e le donne di questo mondo siamo nella pace, viviamo in pace, Dio è glorificato in noi: la gloria di Dio è l’uomo redento, l’uomo che ha accolto Gesù come Salvatore. Gesù, “Principe della pace”, appare nella storia dell’umanità come segno di riconciliazione con Dio e con gli uomini. Con lui “la pace vera è scesa per noi dal cielo” (antifona d’ingresso). Con Cristo inizia il tempo della nuova ed eterna alleanza tra l’uomo e Dio, un tempo - ormai definitivo - di pace, d’intimità e familiarità di tutti noi con Dio.

 

La salvezza di Dio ci viene offerta in forma umana, nella povertà e debolezza, nel “segno” di un bambino, che assume la nostra debolezza: “la nostra debolezza è assunta dal Verbo” (prefazio III del Natale). Perciò la tradizione cristiana ha fatto del Natale una festa di profonda solidarietà umana. Il Natale è un invito a riscoprire i veri valori che danno spessore alla nostra esistenza: il senso della vita, il gusto di ciò che è essenziale, il sapore delle cose semplici, lo stupore della vera libertà, la voglia di costruire la propria esistenza nel servizio agli altri e nell’impegno quotidiano per la realizzazione di un mondo riconciliato. Il buon Natale che ci scambiamo vicendevolmente dev’essere anzitutto un augurio di pace e di serenità intensa e profonda, che ci renda capaci di avvicinarci agli altri per farli partecipi della nostra pace, più felici e più fratelli e sorelle, più inseriti nella grande famiglia umana e cristiana.

 

 

 

Messa dell’aurora

 

Is 69,11-12; Sal 96; Tt 3,4-7; Lc 2,15-20

 

La Chiesa celebra la manifestazione di Cristo nella carne come una luce soprannaturale, che si è levata per il giusto e ha recato gioia ai retti di cuore. Tutta la storia dell’umanità è un faticoso cammino nelle tenebre alla ricerca di luce, di verità e di speranza. Il Natale è una festa di luce che rischiara la notte delle nostre tenebre, paure e disperazioni.

 

Alla luce della prima lettura, tratta dal profeta Isaia, il mistero del Natale appare come la manifestazione dell’amore di Dio che salva. Anche la lettura apostolica parla del manifestarsi della bontà di Dio, salvatore nostro. San Paolo, rivolgendosi al suo discepolo Tito, afferma che la prova massima della sua bontà e del suo amore Dio ce la fornisce donandoci il suo proprio Figlio. Egli ha congiunto il nostro limite alla sua infinità, ci ha restituito la possibilità di esistere nella speranza. Il Natale celebra il dono dell’amore divino nel Cristo, rivelazione del Padre e salvezza del mondo. Questo dono, fatto a tutti, apre il cuore dell’uomo alla speranza.

 

Nel brano evangelico vediamo che i primi destinatari di questa rivelazione sono alcuni umili pastori che pascolano il loro gregge nelle vicinanze di Betlemme. È significativo che l’annuncio della nascita di Gesù sia dato a poveri pastori, e non ai potenti di Gerusalemme o ai sacerdoti del tempio. Vediamo poi che la risposta dei pastori alle parole dell’angelo è stata coerente e immediata: “Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere...” E san Luca aggiunge: “E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro”. I pastori quindi, obbedendo alla rivelazione ricevuta, si recano a Betlemme e vedono il Bambino. In questo modo, conosciuto l’avvenimento, riferiscono, e cioè annunciano agli altri quanto essi hanno udito e visto nel loro incontro con Gesù. Il vangelo non nominerà più i testimoni di questa prima rivelazione. Secondo san Luca, dobbiamo a Maria, la Madre di Gesù, se si è conservato il ricordo di queste circostanze: “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”. Solo colui che è attento ascoltatore della Parola può essere portatore di quell’annuncio che suscita la meraviglia della fede.

 

L’eucaristia rievoca e ripresenta la morte e la risurrezione del Cristo, ma, con il mistero della Pasqua, e in ordine ad esso, ricorda e rinnova, in certo modo, tutta la storia della salvezza, di cui l’incarnazione e la nascita di Gesù sono gli inizi. Il Natale del Signore segna l’inizio di quel cammino salvifico che porta Gesù a farsi in tutti simile agli uomini, fuorché nel peccato, fino alla morte di croce: è il cammino che, da una parte, prepara la Pasqua e ad essa conduce e, dall’altra, riceve significato salvifico proprio dalla Pasqua.

 

L’orazione dopo la comunione ci indica l’atteggiamento con cui dobbiamo celebrare il Natale: “conoscere con la fede le profondità del mistero, e viverlo con amore intenso e generoso”.

 



Messa del giorno

 

Is 52,7-10; Sal 97; Eb 1,1-6: Gv 1,1-18

 

Nel Natale di Cristo, la Chiesa con le parole profetiche del salmo responsoriale ci invita a lodare il Signore che ha compiuto prodigi e ha manifestato la sua salvezza e il suo amore per la casa d’Israele. Nel bambino di Betlemme questa salvezza si è manifestata, non solo ad Israele, ma a tutti gli uomini della terra che possono ormai contemplarla e accoglierla. L’ingresso del Salvatore nel mondo e nella storia provoca un sussulto di felicità in tutti e in tutto. La gioia del Natale però sarebbe superficiale se non fosse fondata sulla contemplazione del mistero natalizio alla luce della fede. Ecco perché in questa messa del giorno siamo invitati a contemplare, guidati dalla parola di Dio, le profondità di questo mistero.

 

La lettura evangelica è presa dal mirabile inno che fa di prologo al vangelo di Giovanni, vera e profonda meditazione sul mistero del Natale. San Giovanni annuncia che il Verbo di Dio si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi; ma al tempo stesso annuncia che tutti coloro che accolgono questo bambino, il Figlio di Dio fatto carne, ricevono anch’essi il potere di diventare figli di Dio. In Cristo ci viene offerta la possibilità di una nuova origine, non più fondata sul sangue e sulla carne, ma su Dio stesso. Le parole iniziali del vangelo di Giovanni “in principio” evocano idealmente quelle parallele di Gen 1,1 riguardanti la creazione, tema a cui fa riferimento anche la colletta quando dice: “O Dio, che, in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti”. Il mistero del Natale riguarda quindi anche noi. Il mistero di un Dio fatto uomo ci immerge nel mistero di noi, uomini e donne, che diventiamo figli di Dio. Si tratta di quel “misterioso scambio” di cui parla il prefazio della messa: il Verbo di Dio assume la nostra natura umana nella sua debolezza e fragilità, e noi, uniti a lui in comunione mirabile, condividiamo la sua vita immortale. La stessa dottrina esprime san Paolo in un brano che viene proposto oggi alla nostra attenzione nella Liturgia delle Ore: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Primi vespri, lettura breve - Gal 4,4-5). Nel Natale noi contempliamo gli inizi della nostra salvezza. La prima lettura, tratta da Isaia, annuncia profeticamente questo evento quando dice: “tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio”, parole riprese dal ritornello del salmo responsoriale, come ormai realizzate e riproposte dall’antifona alla comunione.

 

San Leone Magno, contemplando il mistero dell’Incarnazione, esclama: “Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna” (Liturgia delle Ore: Ufficio delle letture, seconda lettura). Questa stessa esortazione è implicita nel testo del prologo di san Giovanni quando si dice che a colui che accoglie il Figlio di Dio fatto carne, viene dato potere di “diventare” figlio di Dio: la nostra identità di figli di Dio è inserita dentro un processo dinamico che si apre ad una crescita progressiva e senza sosta che ci conduce verso gli spazi della vita divina. Come dice la Costituzione Gaudium et Spes del Vaticano II, “solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo (n. 22). L’umanesimo cristiano radica nel divino e nell’eterno la nostra povera condizione mortale.

 

L’eucaristia che oggi celebriamo è per eccellenza il sacrificio della nuova alleanza, il rito della nuova umanità, che ci introduce progressivamente alla partecipazione della vita divina.  

 

 

domenica 22 dicembre 2024

DISTRUGGERE IL SACRO?

 



Non è il Tempio il luogo principale dove Cristo predica, agisce, dona ciò che di più prezioso ha, bensì è la strada, la piazza, le case delle persone semplici ma anche quelle sei farisei. È fuori dalla città di Gerusalemme, e non sul sagrato del Tempio, che viene crocifisso.

Cosa significa tutto questo? Che dobbiamo distruggere il Tempio e il Sacro? Qualcuno ha pensato esattamente questo. E la grande crisi che stiamo attraversando è dovuta anche a questa ingenuità. È invece esattamente il contrario di tutto ciò. È proprio il Sacro e il Tempio che ci allenano a riconoscere Dio, perché la categoria del sacro è la categoria della giusta distanza, di ciò che rende un quadro di Rembrandt un capolavoro o una poltiglia di colori. L’abolizione di quella distanza è l’abolizione dell’occasione che noi abbiamo di accorgerci di quella bellezza. Ecco perché l’abolizione del Sacro è la cosa peggiore che noi possiamo fare. E lo scollamento liturgico che viviamo nelle nostre comunità è sintomo di questo grande fraintendimento.

È la bellezza della liturgia che mi può aiutare a riconoscere Cristo anche nel volto dei poveri, o nella bellezza del creato, o nelle ombre di un dolore come nello splendore di una gioia. Ma se la liturgia diventa solo ritualismo consegnato alla mercé di chi celebra, allora essa non è più sacro ma narcisismo.

Fonte: Cfr. Luigi Maria Epicoco, Solo i malati guariscono. L’umano del (non) credente, San Paolo Cinisello Balsamo 2024, pp. 37-39.

 

venerdì 20 dicembre 2024

DOMENICA IV DI AVVENTO (C) – 22 Dicembre 2024

 



 

 

Mi 5,1-4a; Sal 79; Eb 10,5-10; Lc 1,39-45

 

 

Il Sal 79, che fu una supplica d’Israele per implorare l’intervento di Dio liberatore, è diventato preghiera e supplica della Chiesa soprattutto nel Tempo di Avvento, vicini ormai al Natale. Nell’attesa dell’imminente manifestazione del Cristo, la nostra preghiera diventa pressante: “Signore, fa splendere il tuo volto e noi saremo salvi” (ritornello del salmo responsoriale).

 

La quarta e ultima domenica di Avvento svolge il ruolo di una sorta di vigilia del Natale e quindi l’attenzione dei testi liturgici è volta a coloro che, in ogni nascita, sono i protagonisti: la madre e il suo figlio. Il Messia annunciato, “colui che deve essere il dominatore in Israele” (prima lettura), giunge tramite la piena disponibilità di Maria al piano di Dio (cf. vangelo). Egli viene per adempiere la volontà salvifica del Padre, per salvare cioè l’uomo mediante l’offerta non di olocausti né sacrifici ma del proprio corpo (cf. seconda lettura). 

 

La venuta del Figlio di Dio richiede una preparazione, una disposizione all’accoglienza. Questa preparazione si compie lungo tutto l’Antico Testamento, e trova espressione particolare nelle parole dei profeti e nelle speranze e preghiere del popolo d’Israele. Ma questa preparazione ha un suo particolare compimento nella fede obbediente di Maria. Elisabetta proclama Maria beata perché “ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”. Troviamo nel vangelo di san Luca un altro passaggio dove viene lodata da Gesù stesso la fede obbediente di Maria. L’evangelista ci tramanda le parole di una donna che si trova tra la folla che segue e ascolta Gesù: “Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!”. A queste parole Gesù risponde: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!” (Lc 11,27-28). Qui sta la vera grandezza di Maria, nella sua totale disponibilità all’ascolto e nell’accoglienza fattiva della parola di Dio. Maria, che ha incarnato l’attesa e la fede di Israele nelle promesse di Dio, diventa prototipo della Chiesa nel suo cammino incontro al Cristo.

 

Possiamo quindi affermare che il testo evangelico è anzitutto celebrazione dell’accoglienza. Elisabetta riconosce in Maria colei che ha accolto la parola di Dio credendo al suo compimento. Maria canta Dio come Colui che l’ha accolta nella sua piccolezza rivolgendole uno sguardo di amore e di elezione. Nella visitazione, poi, Maria ed Elisabetta si accolgono reciprocamente riconoscendo ciascuna l’azione che Dio ha compiuto nell’altra: Elisabetta, la sterile, è rimasta incinta, e Maria, la vergine, ha concepito per opera dello Spirito Santo. Il mistero del Natale è un mistero di accoglienza: accoglienza di Dio che viene a noi, e accoglienza vicendevole riconoscendo in noi e negli altri la presenza di Dio con i suoi doni.

domenica 15 dicembre 2024

I PRIMI PASSI DELLA RIFORMA LITURGICA

 



Piero Marini, I primi passi della riforma liturgica del Concilio Vaticano II. Il Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia: 10 ottobre 1963 – 7 marzo 1965  (Bibliotheca “Ephemerides Liturgicae” “Subsidia” 214), CLV – Edizioni Liturgiche, Roma 2024. 28 pp. (€ 55,00).

Il volume è un vero e proprio diario che l’Autore, avendo prestato la sua opera per 22 anni, dal 1965 al 1987, nei vari Organismi della Santa Sede che hanno diretto l’attuazione della riforma liturgica stabilita dal Concilio Vaticano II, ha scritto dal suo privilegiato punto di osservazione. Dal resto sono molti a ritenere che Mons. Piero Marini abbia “contribuito in maniera decisiva a realizzare nella Chiesa universale gli scopi della riforma liturgica del Concilio Vaticano II. Inoltre, come Maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie ha dimostrato che è possibile trasporre fedelmente – nella tradizione della Chiesa e in modo creativo secondo la situazione – il libro liturgico nella celebrazione concreta della liturgia. Secondo il mandato del Concilio egli ha realizzato con una vivacità eccezionale l’inculturazione della fede e della liturgia nell’organizzare la celebrazione della Messa papale in tutti i continenti. Attraverso la sua fondamentale riflessione e la sua apertura alle esigenze contemporanee egli ha aperto cammini nuovi per affermare la presenza della liturgia nei media” (Motivazione con cui, il 14 novembre 2009, l’Università di Friburgo gli ha conferito la Laurea Honoris Causa in Teologia).

La pubblicazione è impreziosita da due ampie Appendici, nelle quali sono raccolti vari documenti ed elenchi di persone e cose finora inediti o pubblicati in maniera sparsa, che costituiscono la parte più voluminosa della ricerca ora a disposizione degli studiosi di liturgia.

Fonte: Quarta di copertina.  

venerdì 13 dicembre 2024

DOMENICA III DI AVVENTO (C) – 15 Dicembre 2024

 



 

 

Sof 3,14-17; Is 12,2-6; Fil 4,4-7; Lc 3,10-18

 

Il tema centrale e tradizionale della terza domenica di Avvento è la gioia “perché il Signore è vicino” (seconda lettura), anzi è in mezzo a noi come “salvatore potente” (prima lettura). Infatti, è lui che battezza “in Spirito Santo e fuoco” (vangelo); il “fuoco” nella prospettiva di Luca è il simbolo dello Spirito Santo che Gesù comunica ai discepoli a pentecoste. Se il messaggio della seconda domenica di Avvento era un pressante invito alla conversione per far fruttificare in noi il dono della salvezza, oggi siamo invitati alla gioia, frutto del dono della salvezza. Domenica scorsa, il personaggio centrale era Giovanni Battista che invitava a preparare le vie del Signore. Oggi il personaggio centrale è Gesù, datore dello Spirito.

 

L’Avvento, proiettandoci verso il mistero della presenza salvatrice del Cristo, non può non essere caratterizzato dalla gioia. Quando però fin dal Medioevo l’Avvento aveva assunto un aspetto fortemente penitenziale, questa domenica interrompeva la penitenza e diventava una festa gioiosa, quasi anticipo del Natale ormai vicino. Il senso festivo e gioioso veniva sottolineato da alcuni segni esteriori, quali ad esempio il fatto di indossare per la celebrazione eucaristica i paramenti colore rosa. Ciò è ancora possibile, ma certamente molto meno significativo in quanto l’Avvento ha perso quel forte aspetto penitenziale che lo assimilava alla Quaresima. In ogni modo, la liturgia odierna è contrassegnata da un forte richiamo alla gioia, che viene vista come espressione immediata della fede che riconosce la vicinanza del Signore.

 

 La gioia cristiana, di cui parliamo, non è vuota, senza senso, ma è fondata sulla presenza di Dio che salva. In questo contesto, possiamo affermare che l’eucaristia è la gioia del nostro pellegrinaggio. Si tratta di una gioia anzitutto interiore, profonda, che si colloca nella sfera della salvezza, nella ricerca sincera di Dio, nella persuasione ferma di averlo come propria eredità, nella certezza incrollabile di poter contare su di lui in ogni evenienza. Questa gioia è misteriosa, perché può coesistere anche col dolore fisico e morale, con l’umiliazione, la tentazione, la solitudine. Paradosso cristiano, espresso in modo sublime da san Francesco d’Assisi quando dice: “E’ tanto il bene che m’aspetto che ogni pena m’è diletto”. L’uomo può essere ricco, pieno di salute e, nonostante tutto, sentire il cuore profondamente insoddisfatto. Se non si è ricchi dentro, ricchi di fede e di speranza, difficilmente si può avere l’esperienza della gioia cristiana. La spiritualità cristiana della gioia però non deve attenuare in noi la partecipazione cordiale ai beni di questo mondo e alla sua condivisione gioiosa con gli uomini, nostri fratelli. Anzi nella condivisione fraterna e gioiosa dei beni di questo mondo si esprimono i frutti della salvezza portata da Cristo, e trovano compimento le parole profetiche: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio” (canto al vangelo – Is 61,1).

 

domenica 8 dicembre 2024

LA BIBBIA

 



La Bibbia non è un libro di matematiche.

La Bibbia è uno scrigno di esperienze, di volti, di storie.

La Bibbia non è un romanzo, parla di me e di te, perché affronta ciò che ci fa uomini in ogni spazio e in ogni tempo.

La Bibbia non è un libro di ricette, è più un dito puntato verso una direzione.

In questo senso, è Parola di Dio, cioè Dio ha assunto quelle storie, quelle esperienze, quelle parole come contenitori in cui riversare la Sua Parola.

Ma la chiave di lettura di tutta la Bibbia non sta in un’idea portante.

La chiave di lettura di tutte quelle pagine è Gesù Cristo.

È Lui l’unico accesso vero a quelle parole.

Tutto parla di Lui e in vista di Lui.

Fonte: Luigi Maria Epicoco, Solo i malati guariscono. L’umano del (non) credente, San Paolo Cinisello Balsamo 2024, pp. 39-40.

venerdì 6 dicembre 2024

IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA B.V. MARIA – 8 Dicembre 2024

 



 

 

Gn 3,9-15.20; Sal 97; Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26

 

La Chiesa celebra l’Immacolata Concezione della vergine Maria nel Tempo di Avvento, in cui la liturgia fa memoria del progetto della salvezza secondo il quale Dio, nella sua misericordia, chiamò i Patriarchi e strinse con loro un’alleanza d’amore; diede la legge di Mosè; suscitò i Profeti; elesse Davide, dalla cui stirpe doveva nascere il Salvatore del mondo: di questa stirpe Maria è figlia eletta, quasi il punto di arrivo. Il peccato originale ha impreso nello spirito di noi tutti qualcosa di oscuro e ribelle che ci spinge a rifiutare il dialogo con Dio e a fare di noi stessi il centro di ogni progetto di vita. Solo la salvezza divina può operare il cambiamento radicale di questo atteggiamento. Maria è stata preservata di questa macchia perché, “piena di grazia”, diventasse Madre del Salvatore.        

 

Nel brano del vangelo, abbiamo ascoltato le parole dell’angelo: “Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te”. Comprendiamo molto bene il turbamento di Maria: in quel momento percepisce la bontà di Dio che si riversa su di lei e si sente confusa, come davanti a un dono che giudica troppo prezioso e inatteso per lei. Era quel progetto che Dio rivelava in poche frasi: “Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo…” Un progetto che sconcerta Maria: come può avere un figlio se non è andata ancora ad abitare in casa di Giuseppe? Maria non rinuncia ad esprimere il suo smarrimento, il suo bisogno del tutto umano di capire. E quale risposta riceve? “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra”. In definitiva viene detto: Fidati Maria. Lascia fare a Dio.

 

E la grandezza di Maria sta proprio in questo, nell’accogliere il disegno di Dio con generosità, anche se non riesce a capire le strade che egli ha scelto per manifestare il suo amore agli uomini… Ecco, questo è l’essenziale. E in questa vicenda noi tocchiamo con mano la bontà di Dio che non ci ha abbandonato alla nostra storia di infedeltà e fragilità. Ma anche la risposta libera e generosa che ha trovato in una donna, che ha acconsentito a diventare madre del Salvatore.

 

In fondo è proprio quello che celebriamo con la festa dell’Immacolata: un Dio che ci precede sempre, che fa grazia, che offre il suo amore prima ancora che noi possiamo riconoscerlo e ricambiarlo. Dio non usa improvvisare: così aveva preparato Maria, l’aveva preservata da ogni contatto con il peccato delle origini. Un privilegio? Certo. Ma che non l’ha esonerata dalla fede, dalla fatica di aderire, giorno dopo giorno, a un progetto troppo bello e troppo grande per essere compreso e previsto.

         

Anche noi, come ci ricorda san Paolo nella seconda lettura, pur sottomessi all’eredità oscura del peccato originale, siamo stati scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati di fronte a Dio nella carità. Anche noi siamo chiamati a pronunciare il nostro “sì” al progetto che Dio ha su ciascuno di noi. Ciascuno di noi è chiamato a cooperare, come Maria, al grande disegno che Dio ha sull’umanità.

 

domenica 1 dicembre 2024

PRENDERE LA PAROLA

 



Chino Biscontin – Roberto Laurita, Prendere la parola. Omelie e molto altro: una sfida per tutti (Guide per la prassi ecclesiale 37), Queriniana, Brescia 2024.171 pp. (€ 15,00).

 

Cosa significa “prendere la parola”? Non solo nell’omelia, durante la messa, ma anche nelle celebrazioni “in attesa di un prete” (ADAP), animate da diaconi, religiosi e religiose, da laici e laiche. E poi nelle altre azioni liturgiche, nella catechesi, nei gruppi di ascolto della Parola, nei diversi frangenti della vita di una comunità parrocchiale…

In modo chiaro ed estremamente concreto, i due autori, grazie alla loro competenza e alla loro esperienza, offrono una risposta. Perché prendere la parola in ambito ecclesiale non è solo esporre una teologia o saper applicare una tecnica oratoria. E’ tentare di raggiungere il cuore di un’esperienza e di un servizio preziosi: è comunicare la fede, destarla, accompagnarla, intenderne gli interrogativi profondi, sanarne l’astrattezza o le debolezze, all’insegna di una spiritualità nutrita di sapienza e di audacia.

(Quarta di copertina)