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domenica 11 aprile 2021

LA PANDEMIA E IL FUTURO DELLA LITURGIA

 



 

Non senza sollevare qualche polemica, in quasi tutti i Paesi del mondo il confinamento ha impedito a milioni di fedeli di celebrare l’Eucaristia, cosa che non era mai accaduta prima. Alcuni sacerdoti hanno celebrato la Mesa in privato e l’hanno trasmessa tramite i social media, supportando la comunione spirituale con la parola e con l’immagine e mantenendo così certi vincoli comunitari. Ciò nonostante, per quanto ci si sia sforzati di minimizzare gli effetti del confinamento, il popolo di Dio ha dovuto sopravvivere spiritualmente senza la pratica abituale dei sacramenti, o per lo meno senza mantenerne la continuità. Qui non è in gioco soltanto la relazione con Dio, ma anche quella con la Chiesa, con la comunità e con se stessi.

 

Quando verranno meno tutte le attuali restrizioni, forse molti cristiani torneranno in chiesa rafforzati da una fede che si nutre dei sacramenti, e questo particolare digiuno sarà servito loro per rendersi conto di quanto i sacramenti siano importanti. Purtroppo però a qualche comunità cristiana questa “desacramentalizzazione” temporanea recherà problemi, e alcuni fedeli si perderanno per strada per il semplice fatto che la consuetudine forgia la virtù. Pensiamo a parrocchie con fedeli di salute cagionevole, per i quali uscire per strada e tra la gente può diventare rischioso. O a quei genitori che, avendo sperimentato una certa difficoltà a educare i figli alla fede, ora dovranno convincerli daccapo dell’importanza di partecipare alla Messa dopo vari mesi di assenza. E che dire delle comunità giovanili in formazione, alle quali sono venute meno le consuetudini che favoriscono la pratica sacramentale? O di quelle persone che – magari dubbiose sulla fede, o impaurite, o sovraccariche di lavoro – hanno perso la sana abitudine di celebrare ogni settimana i sacramenti, e ora mettono in dubbio la propria appartenenza alla Chiesa?

 

È bene inoltre tenere presente che la difficoltà non è limitata alla celebrazione dell’Eucaristia. L’attività pastorale richiede un grande investimento di tempo e di immaginazione, perché mira a creare processi nelle persone. Con la pandemia attuale questo lavoro probabilmente è rimasto interrotto, e in alcuni casi andrà ripreso da zero. Parimenti, bisognerà ripensare le liturgie, gli incontri e le celebrazioni senza il calore della folla – processioni, gruppi, ritiri, preghiere comunitarie, conferenze, Giornate mondiali della gioventù ecc. –, perché ancora per qualche tempo non si potranno tenere come si è sempre fatto.

 

Consapevoli che la nostra fede cattolica è imperniata su una vita sacramentale, ci troviamo nell’urgenza di ridisegnare nuove proposte pastorali che rispondano alla vita spirituale del popolo di Dio e possano tornare a tessere nuovi vincoli comunitari. Tutto ciò esige uno sforzo supplementare e creatività da parte di agenti pastorali che talvolta non sono in numero sufficiente. Questo già avviene in alcune parti del mondo dove mancano sacerdoti, e nell’attuale situazione si aggiunge il fatto che molte comunità devono ricomporsi a ritmi forzati dopo vari mesi di assenza delle celebrazioni fisicamente condivise. Per fortuna non mancano il tempo, i motivi e la creatività sufficiente peer celebrare la vita.

 

(Álvaro Lobo Arranz S.I., Postumi spirituali del Covid-19. In “La Civiltà Cattolica” 2021 I 437-449 [qui 440-442] 4097 [6/20 marzo 2021])