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domenica 19 giugno 2022

IL PANE E IL VINO DELL’EUCARISTIA

 



 

Il pane e il vino sono gli elementi del banchetto eucaristico, il cui simbolismo racchiude in sé un contenuto non solo conviviale ma anche sacrificale o di oblazione.

Non è senza motivo che Gesù abbia scelto il pane perché diventi il suo corpo nell’Eucaristia. Nell’area geografica in cui si è svolta la vita di Gesù il pane è l’alimento fondamentale, quello che può bastare per nutrire una persona. Il pane è, poi, carico di molteplici significati. Nel Deuteronomio, per descrivere la terra promessa in cui non mancherà nulla, il Signore parla di una “terra dove non mangerai con scarsità il pane” (Dt 8,9). La Bibbia considera il pane come dono di Dio, un mezzo di sussistenza così essenziale che, mancare di pane, significa mancare di tutto. Nella preghiera del Padrenostro che Cristo insegna ai suoi discepoli, la richiesta del “pane quotidiano” sembra quindi riassumere tutti i doni che ci sono necessari (Lc 11,3). Dono di Dio e “frutto del nostro lavoro”, il pane è fatto per essere spezzato e condiviso. Ogni pasto suppone una riunione e quindi una comunione. Mangiare il pane regolarmente con uno significa essergli amico quasi intimo: “Anche l’amico in cui confidavo, che con me divideva il pane, contro di me alza il suo piede” (Sal 41,10). La Genesi ci racconta che l’uomo caduto in peccato, mangerà il pane col sudore del suo volto (cf. Gen 3,19): rotta la comunione con Dio, il pane, che è dono di Dio, diventa un bene che si raggiunge con fatica.

Nell’Eucaristia adoperiamo il pane azzimo, in greco a-zumè, cioè “senza lievito”. Perché? Innanzitutto, sicuramente, in relazione alla Pasqua ebraica. Prima di passare dalla schiavitù alla libertà, Dio ha ordinato al popolo ebraico di mangiare rapidamente l’agnello e il pane azzimo. Nell’ultima cena, condivisa con i suoi discepoli, Gesù ha dunque preso del pane azzimo. Ci sono anche delle ragioni pratiche: si conserva più a lungo del pane lievitato e fa meno briciole quando lo si distribuisce. Questo pane diverso ci ricorda che l’Eucaristia non è un pasto come tutti gli altri.

Come il pane, anche il vino dal punto di vista simbolico è carico di molteplici significati. Il vino è simbolo di tutto ciò che la vita può avere di piacevole: l’amicizia, l’amore umano, la gioia. Il vino “allieta il cuore dell’uomo”, dice il Sal 104,15. La felicità promessa da Dio al suo popolo è espressa sovente sotto la forma di una grande abbondanza di vino, come si vede negli oracoli di consolazione dei profeti. Quando invece il popolo è infedele, rompe la comunione con Dio, il Signore parla della privazione del vino. Il profeta Amos denunciando coloro che opprimono l’indigente, afferma: “… voi che avete innalzato vigne deliziose, non ne berrete il vino” (Am 5,11). Pane e vino sono quindi simbolo di comunione.  Gesù è venuto per darci il vino della nuova alleanza, il vino delle nozze eterne, e questo vino è il suo Sangue versato per noi.

In occasione dell’ultima cena, offrendo la coppa del vino, Gesù aggiunge che non berrà più d’ora in avanti il frutto della vite fino a che non sarà venuto il regno di Dio (Lc 22,18). Nell’attesa, questo vino sarà quello del suo sangue versato. Nel giardino degli Ulivi, mentre prova la solitudine e l’angoscia fino a sudare sangue, Gesù parla di questo calice che egli accetta: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia, non sia fatta la mia, ma la tua volontà!” (Lc 22,42).

Il pane e il vino sono anche simbolo di sacrificio, di oblazione. Il pane e il vino non sono rinvenibili in natura, ma sono frutto di un processo che esprime appunto una simbologia sacrificale. Dal chicco di grano che muore sottoterra nasce la spiga carica di chicchi; essi, a loro volta, devono essere duramente macinati per diventare farina, la quale amalgamata con l’acqua diventa impasto, che al vaglio del fuoco offre il pane. Un processo simile riscontriamo nella produzione del vino: i chicchi dell’uva sono sottoposti al torchio, alla ebollizione e purificazione del tino, alla stagionatura paziente per diventare vino buono che rallegra il cuore di quanti lo berranno, suggellando familiarità e stringendo amicizie. Non si tratta di riflessioni da sottovalutare! Notiamo ancora che “ostia” viene dal latino hostia, che significa “vittima”, dal verbo hostire, “colpire”. L’ostia designa dunque la vittima offerta in sacrificio e che, prima di essere prestata a Dio, è stata colpita, immolata.

Con la riforma liturgica del Vaticano II è stato ripristinato l’uso antico di portare in processione il pane, il vino e l’acqua, simbolo della partecipazione dell’assemblea all’atto di offerta.