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domenica 19 gennaio 2025

ORDO ROMANUS PRIMUS

 



Giovanni Zaccaria (a cura di), Ordo romanus primus, Introduzione, testo latino-italiano, Glossario, Concordanza verbale, Bibliografia (Veritatem inquirere 17), EDUSC, Roma 2024. 200 pp. (€ 25,00).

Sono lieto di presentare quest’ottima edizione del Ordo romanus primus con le stesse parole della quarta pagina di copertina.

L’Ordo romanus I è il più antico testimone completo giunto fino a noi della celebrazione eucaristica papale a Roma. Si tratta di un testo risalente alla seconda metà del VII secolo e che è stato tramandato tramite manoscritti romani e gallicani.

Il presente volume avvia allo studio di questa fonte attraverso diverse prospettive: i saggi introduttivi permettono al lettore di districarsi in mezzo alle complesse vicende della Roma dell’epoca (K. Ginter) e a quelle che hanno dato origine agli ordines e, dunque, al testo stesso (F. Bonomo), per poi entrare nello specifico della descrizione della celebrazione (L. Żak) e di alcuni degli elementi teologici che emergono dalla lettura dell’Ordo (G. Zaccaria).

Il cuore del volume è costituito dalla traduzione all’italiano con il testo originale a fronte, che permette anche a chi non ha familiarità con la lingua latina di accostarsi a questo importante documento liturgico.

Infine una concordanza verbale (A. Toniolo) permette a chi si dedica agli studi di teologia liturgica e non solo, di accedere al testo da un punto di vista differente ma altrettanto importante.

venerdì 17 gennaio 2025

DOMENICA II DEL TEMPO ORDINARIO( C ) – 19 Gennaio 2025

 



 

 Is 62,1-5; Sal 95 (96); 1Cor 12,4-11; Gv 2,1-11

 

In questa domenica ci viene proposta la scena semplice e toccante del miracolo delle nozze di Cana. Gesù si trova con sua madre Maria ed i suoi discepoli ad una festa di nozze nella cittadina di Cana di Galilea. Venendo a mancare il vino, Gesù cambia sei giare d’acqua in vino. Ciò che sembra interessare particolarmente a san Giovanni, che racconta il fatto, è che con questo primo miracolo Gesù ha manifestato la sua gloria ed i discepoli hanno creduto in lui. Questo prodigio, come i restanti miracoli compiuti da Gesù, sono chiamati da san Giovanni “segni”, in quanto mostrano che Gesù è il Figlio di Dio, il Messia, il Salvatore atteso.

 

La presenza di Maria non è una presenza di contorno, ma determinante e attiva. E’ Lei infatti a provocare l’intervento di Gesù. Alle parole di Maria “Non hanno più vino”, Gesù risponde: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”. Ma quale ora? Con Gesù giunge l’ “ora” attesa annunciata dai profeti: in lui Dio manifesta la sua gloria afferma san Giovanni, facendo eco alle parole del profeta Isaia che abbiamo ascoltato nella prima lettura: “Allora le genti vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria”. Secondo il vangelo di Giovanni, la gloria nascosta di Dio è apparsa nel Cristo fra gli uomini (cf. Gv 1,14; 11,4.40) ed è riconoscibile attraverso la fede (cf. Gv 2,11). Il dono della fede fa sì che i discepoli intravedano nel miracolo o “segno” operato da Gesù a Cana la presenza di Dio che salva. Il gesto compiuto da Gesù alle nozze di Cana è quindi una “epifania” messianica, cioè una manifestazione di ciò che egli è e della sua missione salvifica.

 

Nell’Antico Testamento la felicità promessa da Dio ai suoi fedeli è espressa sovente sotto la forma di una grande abbondanza di vino, come si vede negli oracoli di consolazione dei profeti d’Israele. Gesù, col miracolo dell’acqua cambiata in vino mostra che è cominciata l’era messianica in cui Dio comunica in abbondanza i suoi beni. Il momento culminante di quest’era sarà costituito dalla morte e risurrezione di Cristo, cioè dal mistero della sua pasqua. A questa fase culminante della sua opera si riferisce Gesù quando dice a Maria sua madre: “Non è ancora giunta la mia ora” (cf. Gv 7,30; 8,20; 12,23.27; 13,1; 17,1). In ogni caso, il vino nuovo che egli fornisce miracolosamente a Cana è già segno del dono completo della redenzione offerto sulla croce e perennemente presente nel sacrificio dell’altare: il vino distribuito in abbondanza è segno del sangue che sgorga dal costato di Gesù in croce, sangue della nuova ed eterna alleanza, versato per noi e per tutti in remissione dei peccati.

 

La salvezza attesa dai profeti e compiuta da Cristo è sempre presente in mezzo a noi nei segni del pane e del vino dell’Eucaristia che celebriamo in obbedienza alle parole del Salvatore: “Fate questo in memoria di me”. Ci possiamo domandare se per noi la partecipazione alla santa Messa è veramente un incontro di fede con il nostro Salvatore, un momento in cui riscopriamo il senso della nostra vita cristiana come vita di comunione con Dio e con i fratelli e sorelle, un momento di gioia e di grazia.

 

domenica 12 gennaio 2025

IL CULTO DONO E COMPITO

 



Andrea Grillo (ed.), Il dono e il compito del culto. Il sacramento come officium (Giornale di Teologia 462), Prefazione di Alceste Catella, Queriniana, Brescia 2024. 278 pp. (€ 22,00).

Questo libro conduce a riscoprire una antica concezione del sacramento come officium, ossia come “compito” per i credenti, conferendole al tempo stesso uno statuto più chiaro e convincente.

Prima parte: Il “genere” del sacramento per istruire la questione.

Seconda parte: Verifiche del modello in tre aree storiche e disciplinari: Dio assume le nostre buone operazioni di Zeno Carra; Tre luoghi simbolici del sacramento: l’officium, il sanctificare e il signare di Claudio U. Cortoni; Alcune pratiche rituali con esito sistematico diverso di Marco Gallo.

Terza parte: Distinzioni sistematiche, esperienza rituale della fede e prospettive pastorali.

Postfazione, di Giovanni Grandi.

venerdì 10 gennaio 2025

DOMENICA DOPO L’EPIFANIA: BATTESIMO DEL SIGNORE ( C ) 12 Gennaio 2025

 


 

Is 40,1-5.9-11; Sal 103 (104); Tt 2,11-14; 3,4-7; Lc 3,15-16.21-22

 

In questa domenica, che è ancora in qualche modo una eco del tempo di Natale - Epifania, celebriamo il battesimo di Gesù al Giordano, in cui egli si rivela alle folle come il “Figlio prediletto” di Dio, sul quale scende lo Spirito Santo, colui che battezza “in Spirito Santo e fuoco” (vangelo). Le altre due letture chiariscono ulteriormente la figura e missione del Messia: egli “viene con potenza” a liberare l’uomo dalla sua “schiavitù” (prima lettura), “con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo” (seconda lettura).

Luca, secondo una sua prospettiva frequente, colloca il battesimo di Gesù in un atto di preghiera. La differenza dalle parallele rappresentazioni di Marco e Matteo è tutta in questa “preghiera”. La teofania contemplata da Gesù dopo il suo battesimo costituisce l’epilogo naturale e il vertice della sua preghiera. I cieli si aprono come risposta alla preghiera di Gesù e lanciano un annuncio che definisce la realtà autentica dell’uomo–Gesù: egli è il Figlio di Dio. In lui, perciò, la presenza di Dio è perfetta; egli possiede in forma definitiva lo Spirito di Dio.   

 

Gesù col battesimo nel Giordano inizia la sua vita pubblica. Perciò il gesto del battesimo è, da parte di Gesù, l’accettazione e l’inaugurazione della sua missione di Servo sofferente. Accentando il battesimo dalle mani di Giovanni, Gesù si fa solidale con i peccatori, lui che è senza peccato; accetta cioè la sua missione di redentore dei nostri peccati, prende su di sé il peccato del mondo per portarlo via dal mondo. A questo atteggiamento di Gesù di totale disponibilità a compiere la volontà divina risponde la voce del Padre: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te io ho posto il mio compiacimento”, e lo Spirito Santo scende su di lui. Gesù diventa così la sorgente dello Spirito per tutta l’umanità.

 

La missione di Gesù è quindi tutta quanta in funzione della nostra salvezza. Ecco perché il battesimo con cui egli inizia la sua missione è anche da interpretarsi in funzione del nostro battesimo (cf. l’orazione colletta). Celebrare il battesimo di Gesù significa prendere coscienza del nostro battesimo, di ciò che questo sacramento significa per la nostra vita. Il battesimo di Gesù non è stato solo un momento, ma è stata espressione di tutta la sua vita, una vita di appartenenza al Padre e ai fratelli. Nel battesimo che noi abbiamo ricevuto nel nome di Cristo, figlio amato, anche noi siamo diventati figli di Dio e anche noi abbiamo ricevuto in dono lo Spirito Santo. La partecipazione sacramentale al mistero pasquale di Cristo operata dal battesimo rende attuale per noi l’intera vicenda salvifica di Gesù, come dono e come impegno. Il battesimo, infatti, ci inserisce nella vita e nella missione della Chiesa e, attraverso di essa, nella missione del Figlio e dello Spirito Santo. Il sacramento del battesimo non è soltanto un mezzo di salvezza per noi stessi, ma contemporaneamente una responsabilità in vista della salvezza di tutti. In questo modo pure noi, al seguito di Gesù, siamo chiamati ad accogliere la volontà del Padre e ad aprirci alla solidarietà con i fratelli, con gli uomini, con il mondo. Il battesimo che abbiamo ricevuto è in noi un continuo richiamo a vivere una vita al servizio della salvezza degli uomini nostri fratelli.

 

Il battesimo di Gesù al Giordano è simbolo di ciò che egli avrebbe compiuto nella realtà della vita, offrendosi come agnello di Dio sulla croce per i nostri peccati, mistero che si ripresenta sacramentalmente nella celebrazione eucaristica.

 

lunedì 6 gennaio 2025

IL SACRO

 



 

La sacralità è così ambigua che ha bisogno di essere costantemente evangelizzata. Il vocabolario biblico non è infatti quello del “sacro” (sono piuttosto i dèi pagani che vengono sacralizzati), ma quello del “santo”. Ecco perché, se c’è del sacro in liturgia, questo è al servizio della santificazione di ciò che le nostre lingue occidentali, direttamente o indirettamente dipendenti dalla lingua latina, chiamano “profano”, e non della sacralizzazione: il profano deve essere lasciato alla sua “profanità”, se mi è permesso di usare questa parola un po’ barbara, cosa che la sua sacralizzazione non può fare, perché la sacralizzazione funziona come “messa a parte” dell’oggetto, della persona, del luogo, e presuppone il suo allontanamento dal mondo dell’ordinario per essere consacrato alla divinità. Al contrario, la santificazione di ciò che rimane profano è possibile al punto che anche il vocabolario sacrificale usato in prospettiva cristiana nel Nuovo Testamento viene “dirottato” in questo senso. Tra la quindicina di esempi presenti nel Nuovo Testamento, ne spiccano due:

 

“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare il vostro corpo – tutta la vostra persona – come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, questo è per voi il modo giusto di rendergli culto” (Rm 12,1).

“Per mezzo di Gesù, dunque, offriamo a Dio continuamente un sacrificio di lode, cioè le parole delle nostre labbra che confessano il suo nome. Non dimenticatevi di essere generosi e di condividere i beni, perché di tali sacrifici il Signore si compiace” (Eb 13,15s.).

 

Così è la stessa sua vita che il cristiano è chiamato a offrire come sacrificio spirituale, come culto capace di “placare Dio” e in particolare proprio in questa vita “profana”, come cura concreta per gli altri. Ricordiamo che le basi erano già state largamente gettate dai profeti, come mostrano le tre citazioni fatte in precedenza (Os 6,6; Is 29,13; Ger 7,9-11); la novità cristiana sta nel fatto che questo chiarissimo movimento verso la spiritualizzazione del sacrificio e di tutto il sacro in generale è legato al Signore Gesù e all’offerta che egli ha fatto della propria vita, offerta interpretata, in termini ebraici, come “sacrificio di soave odore (Ef 5,2).

 

La Lettera agli Ebrei in tal senso è esemplare: rileggendo tutta la prima alleanza dal punto di vista del culto del tempio (cioè del sacerdozio e dei sacrifici), vede in Gesù il nuovo e unico sommo sacerdote che porta a compimento il sacerdozio del tempio. La sua novità e unicità risiedono nel fatto che, nell’antica alleanza, la consacrazione del sommo sacerdote comportava una ritualità di separazione che lo “strappava” dalla sua umanità di “troppo umano” per poter esercitare l’ufficio di intermediario sacerdotale tra Dio e gli uomini, mentre la consacrazione di Gesù come sommo sacerdote avviene, al contrario, per il fatto che egli si immerge nella nostra umanità sino a farsi “in tutto nostro fratello” (Eb 2,17) e a condividere così le nostre sofferenze e la nostra morte.

 

Tutto ciò mostra chiaramente il rovesciamento operato dalla fede cristiana: “rovesciamento”, non “sostituzione”. La sacralità, che è necessaria, rimane, ma è lì solo per essere meglio dirottata a vantaggio di ciò che sintetizza tutta la Torah: il duplice amore per Dio e per l’altro; o meglio, l’amore per Dio che si compie nell’amore per l’altro. “Chi ama l’altro ha adempiuto tutta la Legge” (Rm 13,8), scriveva san Paolo.

 

Fonte: cfr. Louis-Marie Chauvet, La Messa detta altrimenti. Ritornare ai fondamentali, Queriniana, Brescia 2024, pp. 16-18.

domenica 5 gennaio 2025

EPIFANIA DEL SIGNORE – 6 Gennaio 2025

 



 

Is 60,1-6; Sal 71; Ef 3,2-3a.5-6; Mt 2,1-12

 

Il salmo responsoriale, proiettando lo sguardo oltre gli orizzonti storici del tempo in cui fu scritto, annuncia una salvezza, che verrà offerta dal Messia, senza limiti geografici e sociali: la sua giustizia sarà perfetta, il suo dominio universale, il suo regno eterno, il cosmo intero sarà coinvolto nella pace offerta in abbondanza dal Signore.

 

Anche il brano di Isaia, proposto come prima lettura annuncia, dopo l’umiliazione dell’esilio, lo splendore futuro di Gerusalemme, il brillante avvenire della città santa e la sua vocazione universale. Di questa vocazione è erede la Chiesa di Gesù: essa è la nuova Gerusalemme chiamata ad illuminare tutti gli uomini con la luce di Cristo che si riflette sul suo volto (cf. Costituzione Lumen Gentium, n.1). Sulla stessa linea d’onda, la seconda lettura parla di un “mistero” manifestato attraverso il ministero degli apostoli e dei profeti, secondo cui “i gentili sono chiamati, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”. Di fronte al Signore che viene, ciò che conta non è la razza o la cultura o la prudenza umana, ma soltanto la disponibilità della fede e l’attenzione ai segni dei tempi. Infatti, vediamo che la salvezza, offerta a tutti gli uomini, è accolta in primo luogo dai “lontani”. Coloro che conoscevano le Scritture, scribi e farisei, non hanno cercato e perciò non hanno trovato il Messia. I Magi, invece, si sono messi in cammino, hanno indagato, chiesto e trovato. Per trovare Gesù occorre assumere l’atteggiamento dei Magi: cercare il Signore; vedere i segni della sua presenza; andare al suo incontro. Il senso dinamico della fede si esprime poi nella chiamata a rendere testimonianza, ad annunziare a tutti la salvezza sperimentata, come i Magi nel loro ritorno da Betlemme. La buona novella del vangelo è indirizzata a tutti e deve perciò essere annunciata a tutti.

 

La simbologia della luce, già presente nella liturgia natalizia, la ritroviamo nella liturgia dell’Epifania con una sottolineatura particolarmente “epifanica” che si proietta sul mondo intero: “Oggi in Cristo luce del mondo tu hai rivelato ai popoli il mistero della salvezza…” Queste parole del prefazio invitano ad interpretare in senso cristologico la luce di cui parlano la prima lettura e il brano evangelico. La luce è il simbolo della presenza e del rivelarsi di Dio all’umanità che si realizza pienamente in Cristo. L’Apocalisse chiama il Cristo “la stella del mattino” (Ap 2,28; 22,16). Nella preghiera dopo la comunione supplichiamo Dio affinché questa sua luce “ci accompagni sempre in ogni luogo…”

 

Il nocciolo del messaggio dell’Epifania è quindi che Dio si manifesta, si fa uomo e chiama tutti a sé nel suo regno. Dice san Leone Magno: “Celebriamo nella gioia [...] l’inizio della chiamata alla fede di tutte le genti” (Liturgia delle Ore: Ufficio delle letture, seconda lettura). L’Epifania ci ricorda che Cristo è venuto per chiamare alla salvezza tutta l’umanità, simbolicamente rappresentata dai Magi di cui parla il vangelo. La Chiesa non può tenere per sé questo mistero, ma deve annunciarlo al mondo. Essa non può venir meno a questo compito che la rende insieme destinataria e serva della buona novella del vangelo. Ecco, dunque, che la solennità dell’Epifania diventa la logica e naturale conclusione del Natale e proietta tutti noi, come i pastori e come i Magi, sulle strade del mondo per annunciare a tutti gli uomini le meraviglie di Dio.

 

venerdì 3 gennaio 2025

II DOMENICA DOPO NATALE – 05.01.2025

 



 

Sir 24,1-4. 12-16; Sal 147; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18

 

 

In questa domenica non celebriamo nessuna festa particolare; viene riproposto alla nostra attenzione ancora il mistero del Natale.

 

Il tema ricorrente nelle letture bibliche d’oggi è quello della Sapienza: essa è elogiata nel brano della prima lettura, dove esprime il concreto agire di Dio nella storia della salvezza del Popolo eletto che ha raggiunto il suo massimo culmine nel Verbo - Sapienza di Dio fatto carne, di cui parla il vangelo d’oggi, e continua in tutti i credenti nel Signore Gesù attraverso il dono dello Spirito “di sapienza e di rivelazione”, di cui parla la seconda lettura. Nel suo misterioso disegno Dio ha rivelato se stesso attraverso la storia dell’antico popolo d’Israele ed infine ha piantato stabilmente la sua tenda in mezzo a noi per mezzo del Verbo fatto carne, la Sapienza di Dio fatta persona umana. A partire dal Natale, “abita” definitivamente in noi Cristo, “Sapienza” che ci rivela il Padre e dona la “benedizione” dello Spirito. In Cristo ci viene rivelato non solo il mistero di Dio ma anche il mistero della persona umana.

 

Ci interessa veramente conoscere chi è Dio? Per noi cristiani, Dio non è un principio cosmico anonimo, un’entità astratta, ma è entrato nel nostro orizzonte storico in modo concreto nella figura di Gesù. Conoscere Dio vuol dire riconoscerlo come colui che invia il Figlio, Gesù il Cristo; vuol dire accettarlo come colui che si dona a noi mediante il Figlio; vuol dire, infine, scoprire Dio come Padre dell’Unigenito e come nostro Padre. In definitiva, è la coscienza filiale di Gesù che costituisce la norma della fede cristiana in Dio, nel Padre. Perciò il nostro rapporto con Dio è principalmente con il Padre di Gesù Cristo. San Giovanni dice: “Sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere il vero Dio” (1Gv 5,10 - Primi vespri, lettura breve). L’evento del Natale ci permette di comprendere il mistero di Dio attraverso i tratti umani di Gesù. Egli è l’immagine visibile e il volto umano di Dio Padre.

 

Chi è la persona umana? L’uomo moderno è spesso disorientato: non sa bene chi sia e dove vada. Di qui la sua angoscia, la sua insicurezza, o le false sicurezze cui si affida. Alla luce della fede, sappiamo che la nostra esistenza non è un vagare senza meta. In Cristo, nel suo modo di vivere, nei principi che hanno regolato la sua esistenza, possiamo cogliere non solo chi è Dio per noi ma anche che cosa siamo noi per Dio. Il nostro vuoto esistenziale può essere riempito solo da Cristo, Sapienza di Dio. Gesù è “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6).         

 

mercoledì 1 gennaio 2025

GIUBILEO 2025

 



Enzo Bianchi, Lessico del Giubileo (Sentieri), EDB 2024. 92 pp. (€ 8,00)

Fratel Enzo Bianchi accompagna il pellegrino-lettore a conoscere e sperimentare il Giubileo biblico, ebraico e cristiano. Celebrare l’anno giubilare, particolarmente questo ordinario del 2025, come “Pellegrini di speranza” significa vivere un tempo forte, impegnarsi tutti insieme, ecclesialmente, ad accogliere la misericordia del Signore, rinsaldare la vita cristiana, unica vera testimonianza a Cristo. Questo testo è rivolto a chi si appresta a vivere il cammino giubilare, perché avrà la sapienza di tutti pellegrini che nella storia della fede ebraica e cristiana hanno camminato per strade si speranza.

(Quarta di copertina)