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domenica 21 maggio 2023

COMUNITÀ LITURGICA E CELEBRATIVA

 


La vita comunitaria è molto più che una istituzione. È la realizzazione di un modo di rapportarsi, insito nel disegno di Dio creatore, che è stato minacciato fin dall’inizio della storia, a causa del ripiegarsi dell’uomo su se stesso, dell’egoismo e della lotta per il potere. Da qui sono sorte le invidie, le divisioni e le guerre fratricide. Ecco perché Gesù conclude la sua esistenza con la morte in croce “per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11,52). D’allora la comunità dei discepoli di Gesù sarà perseverante “nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere […] Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune […] Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo” (At 2,42.44.46-47). Da notare in questa descrizione della vita della primitiva comunità di Gerusalemme, l’armonia tra celebrazione del culto e vita comune.

La celebrazione liturgica è un fatto comunitario e insieme personale, che impegna il coinvolgimento libero e responsabile dei singoli partecipanti nell’azione cultuale che è essenzialmente e costitutivamente ecclesiale. Parlare di partecipazione interna e di partecipazione esterna come di due momenti diversi e separabili, è ambiguo e deviante. Il Concilio Vaticano II ha avuto il merito di condensare in una espressione lapidaria e ormai nota le modalità della partecipazione: “per ritus et preces id [= mysterium fidei] bene intellegentes (SC 48): “comprendendo bene [il mistero della fede] nei suoi riti e nelle sue preghiere”. I riti e le preghiere non sono una realtà esterna, ma sono la mediazione con cui si accede al mistero che si celebra. La stessa comprensione di cui parla il testo non si ferma ai riti, né raggiunge il mistero della fede senza di essi; al contrario, si comprende il mistero della fede proprio attraverso i riti e le preghiere con cui si celebra.

Il rito comprende parola e gesto, e deve essere interpretato come azione. È famosa l’affermazione dell’intellettuale africano del Senegal Léopold Senghor: “Gli occidentali dicono (con Renato Cartesio): penso, quindi sono; noi africani diciamo: danzo, quindi esisto”. Dobbiamo ricuperare il valore del rito, azione simbolica, come strumento di partecipazione e via attraverso cui entriamo nella profondità del mistero.

Il teologo irlandese Thomas O’Loughlin, con un suo stile molto particolare, afferma che benché si potrebbe partecipare grazie ad un ascolto orante e ad un’attenzione assorta e silenziosa, noi siamo il popolo dell’incarnazione, dei corpi tanto quanto delle menti e dello spirito (Cf. Th. O’LoughlinRiti corretti. Perché celebrare bene conviene, Queriniana, Brescia 2020, 77). E, come nota Aristotele, ci impegniamo maggiormente in ciò che ci coinvolge attraverso i sensi: più veniamo coinvolti mediante i cinque sensi, più siamo interessati a quel che accade intorno a noi. Una celebrazione è intessuta di segni e di simboli, di parole e di azioni (cfr. CCC 1145 e 1153). La partecipazione si svolge attraverso questi diversi linguaggi.

Papa Francesco ha detto: “La liturgia non è “il campo del fai-da-te”, ma l’epifania della comunione ecclesiale. Perciò, nelle preghiere e nei gesti risuona il “noi” e non l’“io”; la comunità reale, non il soggetto ideale” (Discorso alla Plenaria della CCDDS, 14.02.2019). La celebrazione liturgica ci sradica dal nostro individualismo e ci educa a stare insieme, a condividere, a pregare insieme. L’individualismo soffoca il senso della comunità.

L’eucaristia è presenza di Cristo, memoria efficace del suo sacrificio y comunione ad esso. In tempi passati queste tre dimensioni dell’eucaristia (presenza, sacrificio e comunione) sono state vissute talvolta come devozioni private e separate: così dal secolo XII/XIII in poi la presenza di Cristo era adorata nelle esposizioni del Santissimo, ma la comunione era una prassi privata fatta poche volte e fuori della messa. La liturgia ci insegna a vivere queste tre dimensioni dell’eucaristia in modo unitario e comunitario. Se le separiamo sarebbe come illudersi di poter gustare una parmigiana di melanzane, mangiando prima il pomodoro, poi le melanzane e poi la mozzarella, gradevoli anche separatamente ma niente a che vedere con il gusto di una buona parmigiana.

Caratteristica della modernità è una forte e crescente disaffezione verso il rito, la tradizione e il linguaggio simbolico, che va di pari passo con la crescita dell’individualismo. E ciò viene da lontano. Secondo alcuni studiosi, nella storia culturale e religiosa europea degli ultimi secoli c’è stata una tendenza a la comprensione fredda e intellettuale della religione e conseguentemente della liturgia. Anzitutto troviamo una progressiva “razionalizzazione” della religione e un primato attribuito alla ragione a partire dall’illuminista Immanuel Kant, secondo il quale l’essenza della religione è la “fede razionale”, o meglio una ragione che sappia controllare la fede. Friedrich Schleiermacher, uno dei massimi rappresentanti del romanticismo tedesco, volendo combattere il razionalismo di Kant, esalterà l’esperienza religiosa, concepita però come “pura esperienza interiore” e questa interpretata come semplice “sentimento”. In questo modo, se tutto viene interiorizzato, la liturgia come rito perde la sua capacità simbolica. Ciò spiegherebbe la crescente “testualizzazione” della liturgia a scapito della sua dimensione propriamente rituale (Cf. Aldo Natale TerrinLiturgia come gioco, Morcelliana 2014, 11-16).

Alcuni anni fa, la Congregazione per la Dottrina della Fede nella Lettera Placuit Deo (22.02.2018) su alcuni aspetti della salvezza cristiana, quando si descrive l’impatto delle trasformazioni culturali attuali sul significato della salvezza cristiana, si afferma: “si diffonde la visione di una salvezza meramente interiore, la quale suscita magari una forte convinzione personale, oppure un intenso sentimento, di essere uniti a Dio, ma senza assumere, guarire e rinnovare le nostre relazioni con gli altri e con il mondo creato. Con questa prospettiva diviene difficile cogliere il senso dell’Incarnazione del Verbo, per cui Egli si è fatto membro della famiglia umana, assumendo la nostra carne e la nostra storia, per noi uomini e per la nostra salvezza”.  Quindi, per quanto a noi riguarda qui, si tratta di un tipo di spiritualità che non guarisce e non rinnova le nostre relazioni con gli altri, non crea uno spirito comunitario.

La liturgia invece è un antidoto contro l’individualismo. Alla celebrazione cultuale siamo convocati come comunità e in essa siamo coinvolti in una azione comunitaria che, a sua volta, può rinvigorire i nostri legami come comunità.