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domenica 14 maggio 2023

DIO MISERICORDIOSO

 





Nelle antiche religioni pagane la divinità è concepita a immagine e somiglianza degli esseri umani. Così, ad esempio, gli dei dell’Olimpo, venerati dagli antichi greci e anche dagli etruschi che assorbirono la mitologia greca, venivano immaginati con le sembianze umane e con abitudini di vita simili a quelle degli uomini. Avevano qualità e poteri sovrumani, ma allo stesso tempo possedevano i difetti tipici degli umani. Invece nella Bibbia ebraico-cristiana è l’essere umano ad essere concepito a immagine e somiglianza di Dio. Leggiamo nel libro della Genesi: “Dio disse: ‘Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza’” (Gen 1,26). Ecco, quindi, che l’antropomorfismo con cui si esprime la Bibbia, non significa che Dio sia come uno di noi, ma è semplicemente il modo con cui Dio diventa in qualche modo comprensibile a noi. Infatti, Dio è trascendente e irraggiungibile. Dice san Paolo che Dio “abita una luce inaccessibile: nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo” (1Tm 6,16). Quando parliamo quindi di Dio, nel nostro caso della misericordia di Dio, bisogna aver sempre presente questo divario che c’è tra Lui e noi. Il nostro linguaggio è inadeguato ad esprimere ciò che Dio è. A questo proposito, Papa Francesco in una delle sue omelie a Santa Marta, a proposito della misericordia di Dio, ha detto: “Dio ci perdona come Padre, non come un impiegato del tribunale”

 

“Paziente e misericordioso” è il binomio che riassume meglio la descrizione che di Dio fa l’Antico Testamento. Il suo essere misericordioso trova riscontro concreto in tante azioni della storia della salvezza dove la bontà prevale sulla punizione. “Il suo amore è per sempre” è il ritornello che viene riportato ad ogni versetto del Sal 136 mentre si narra l’agire di Dio nella creazione e nella storia d’Israele.

 

Il Figlio di Dio incarnato, Gesù Cristo, è il volto della misericordia del Padre. La missione che Gesù ha ricevuto dal Padre è stata quella di rivelare il mistero dell’amore divino nella sua pienezza. “Dio è amore” (1 Gv 4,8.16), afferma per la prima e unica volta in tutta la Sacra Scrittura l’evangelista Giovanni. Questo amore è ormai reso visibile e tangibile in tutta la vita di Gesù. I segni che egli compie, soprattutto nei confronti dei peccatori, delle persone povere, escluse, malate e sofferenti, sono all’insegna della misericordia. Tutto in Lui parla di misericordia. Nulla in Lui è privo di compassione.

 

Quando si leggono i vangeli, si resta sorpresi nel constatare con quanta frequenza Gesù lascia trasparire la sua compassione di fronte alle più diverse situazioni umane di sofferenza, fisica o morale che sia. Nel linguaggio del Vangelo, compassione è una parola che ha a che vedere con le “viscere”: “essere commosso fino alle viscere”. È un sentimento, o meglio uno sconvolgimento che prende nell’intimo viscerale appunto. E Gesù passa dal sentimento all’intervento, all’azione concreta.

 

L’evangelista Luca parla frequentemente della misericordia/compassione; il suo Vangelo è stato chiamato il Vangelo della misericordia. Qui vorrei invitarvi a ricordare tre passaggi in cui il tema della misericordia è in primo piano: il racconto della risurrezione del figlio della vedova di Naim (Lc 7,11-17), e due parabole: quella del buon Samaritano (Lc 10,25-37) e quella del padre misericordioso nei confronti del figlio prodigo (Lc 15,11-32). Questi tre brani hanno un significato, un messaggio, che va aldilà delle situazioni concrete raccontate. Vi troviamo le situazioni umane più tipiche:

 

La morte, nella sua manifestazione più drammatica e con quel clima di angoscia che sconvolge i protagonisti: un giovane dinanzi alla morte e una madre che perde il suo unico figlio; la malvagità umana, o meglio, le sue infinite vittime abbandonate sul ciglio di tutte le strade del mondo; le situazioni di perdizione, nelle quali gli individui, più o meno coscientemente, hanno svenduto la propria dignità e si ritrovano così umiliati nell’intimo da non riuscir più nemmeno a sperare.  

 

Dio è misericordioso, ma è anche giusto. Come si possono conciliare questi due attributi divini? Noi siamo inclini a parlare della giustizia di Dio interpretandola semplicemente come una giustizia giudiziaria, secondo le nostre categorie giuridiche. Secondo la Bibbia però la giustizia divina non può ridursi all’esercizio di un giudizio. San Paolo ci ricorda che Dio “vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità” (1Tm 2,4). La giustizia di Dio è anzitutto misericordiosa fedeltà alla sua volontà di salvezza. Possiamo dire che Dio è giusto perché è fedele alla sua alleanza con l’umanità, anche quando noi siamo infedeli ad essa. Per capire meglio questo concetto di giustizia divina, occorre anche dire che la misericordia di Dio è possibile soltanto se è unita al suo perdono. La misericordia senza perdono non avrebbe senso; al massimo manifesterebbe un sentimento che assomiglia alla tolleranza o, peggio, all’indifferenza. Potrebbe perfino essere fraintesa, e colui che ne è beneficiario potrebbe pensare che gli è andata bene, non imparando nulla dai suoi errori. Provvidenzialmente, finché si vive, l’atteggiamento offensivo dell’uomo è ricambiato dall’amore misericordioso di Dio, che lo richiama continuamente invitandolo a ravvedersi.

 

E l’inferno? E’ nota la battuta di Hans Urs von Balthasar: “L’inferno c’è, ma è vuoto”. Ma come si concilia l’esistenza dell’inferno con l’infinita misericordia di Dio? Il Catechismo della Chiesa Cattolica risponde con le parole seguenti: “Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola ‘inferno’” (n. 1033).  Dio ci ha creati liberi e responsabili, e quindi rispetta le nostre decisioni. L’inferno è la possibilità negativa che si possa perdere consapevolmente la salvezza eterna.

 

San Paolo nella sua prima Lettera ai cristiani di Corinto, dopo aver denunciato gli scandali provocati da alcuni in quella comunità, si fa una domanda retorica: “Devo venire da voi con il bastone o con dolcezza d’animo?”. Certamente san Paolo va a Corinto con un cuore misericordioso È innegabile che oggi si preferisce parlare più della misericordia di Dio piuttosto che della sua giustizia. E ciò è vero anche a livello del supremo magistero della Chiesa. Ricordiamo l’enciclica Dives in misericordia di Giovanni Paolo II (anno 1980); l’enciclica Deus caritas est di Benedetto XVI (anno 2005) e il magistero di papa Francesco culminante nella iniziativa di indire un Giubileo straordinario della Misericordia. Forse gli uomini e le donne di questa nostra epoca abbiamo più bisogno non tanto di temere un Dio giusto, quanto di confidare in un Dio misericordioso. D’altra parte, confidare nella misericordia di Dio non nega certo la sua giustizia; semmai, la esalta.

 

La misericordia di Dio ci insegna che è importante non chiuderci nelle nostre sofferenze, nei nostri piccoli o grandi problemi, al fine di poter accogliere le sofferenze ed i problemi degli altri. Papa Francesco adopera frequentemente l’espressione “uscire da se stessi”. Uscire da se stessi, da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dalla tentazione di chiudersi nei propri schemi mentali che finiscono per chiudere l’orizzonte dell’azione creativa di Dio. Dio è uscito da se stesso per venire in mezzo a noi, ha posto la sua tenda tra noi per portarci la misericordia che salva e dona speranza. Gesù, dopo il discorso sulle beatitudini, dice a tutti noi: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36).

 

Con Platone, ma poi soprattutto con lo stoicismo, che considerava la compassione e la misericordia come una malattia dell’animo – aegritudo animi – la filosofia aveva considerato la misericordia alla pari di una debolezza umana (cf. Apologia 34c ss.) che si opponeva ad un comportamento guidato dalla ragione. Per il cristianesimo invece la misericordia è la virtù dei forti, di coloro che, dimentichi di sé, sono capaci di avvicinarsi con uno sguardo compassionevole alle miserie degli altri.

 

M. Augé