La linea opposta al formalismo è preoccupata di
fornire i contenuti emarginando la forma. Anzi, sembra che il rito possa
legittimarsi e svolgere sensatamente il suo compito soltanto quando è
“compreso”. La tensione tra forma e contenuto si risolve in un tertium
che svolge apparentemente una funzione mediatrice e che in realtà deborda
sempre più fino a diventare una specie di password del rito: la
spiegazione. Se al Concilio di Trento si era posto il problema
dell’intelligibilità della liturgia, soprattutto a causa del divario creato da
una lingua non più accessibile, e si era offerta la possibilità di spiegare
frequentemente inter missarum sollemnia ciò che si legge nella
celebrazione oltre che le grandi verità sull’Eucaristia, al Vaticano II, in un
quadro teologico mutato, si riafferma la questione della funzione didattica
della liturgia, ma in subordine rispetto alla destinazione al culto di Dio e si
esorta a rinvenire il materiale “istruttivo” non in una spiegazione esterna ma
nella stessa forza dei riti. Tale approccio non è di marca intellettualistica,
ma esperienziale in quanto nell’azione liturgica si dà un vero e proprio
dialogo tra Dio e il suo popolo, le realtà divine sono comunicate attraverso signa
visibilia e la fede dei partecipanti è nutrita non da verità previe, ma
dalla “materia” rituale (cfr. SC 33).
Fonte: Loris Della Pietra, “La manipolazione
dell’esperienza liturgica nello squilibrio tra forma e contenuto”, in Loris
Della Pietra (a cura di), La liturgia manomessa (“Caro salutis cardo”.
Contributi 39), Edizioni Liturgiche, Roma – Abbazia di Santa Giustina, Padova
2024, pp. 115-116.