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mercoledì 24 dicembre 2025

UNA RIFLESSIONE ACCANTO AL PRESEPE (Lc 2,1-20)

 



L’evento è molto semplice e possiamo dire che si svolge più o meno così: una decisione politica a livello dell’impero romano rende possibile la nascita di Gesù nella città di Davide; questo è il senso generale dell’introduzione. Quando viene al mondo, Gesù è praticamente ignorato dai ricchi, ma riverito e accolto dai poveri, questa nascita apre il cielo sulla terra, porta gioia e pace. Possiamo dire che qui c‘è già tutto il futuro di Gesù. Egli opera nel contesto del mondo intero, la sua salvezza riguarda l’universo; opera però attraverso strumenti semplicissimi: il cielo si muove a cantare la gloria di questi fatti, ma sulla terra pochi si accorgono, i più semplici, i più umili, anche se comunque un inizio di riconoscimento del Signore c’è. Come si può vedere, il brano è molto ricco, molto intenso, pieno di contrasti ed è certamente uno dei brani più belli proprio perché unisce cielo e terra, grandiosità e piccolezza, rifiuto e accoglienza; in qualche modo, è tutta la vita di Gesù, con la sua grandiosità e la sua insignificanza, ad essere posta qui sotto gli occhi di colui che contempla; è come un’introduzione alla vita di Gesù. Non a caso, infatti, le icone hanno rappresentato la mangiatoia come una tomba, e Gesù vi appare come colui che sarà messo nel sepolcro.

 

Fonte: Carlo Maria Martini, Il Vangelo del Natale. Una riflessione accanto al presepe, Con una guida pratica alla lectio divina, TS Edizioni, Milano 2025, p. 29.

lunedì 22 dicembre 2025

NATALE

 






NATALE DEL SIGNORE – 25 Dicembre 2025

Messa della notte

 

Is 9,1-6; Sal 95; Tit 2,11-14; Lc 2,1-14

 

Il progetto di salvezza che Dio ha da tutta l’eternità sull’uomo e sul mondo trova nella nascita di Gesù il momento culminante della sua attuazione. La Chiesa, riprendendo il Sal 95 nella sua liturgia natalizia (lo troviamo come salmo responsoriale anche nei giorni 29, 30, 31 dicembre), vede in esso una profezia dell’incarnazione del Verbo e della vocazione di tutti i popoli della terra dall’idolatria alla fede in lui, venuto per salvare tutte le nazioni. Tutta la creazione è invitata a partecipare alla danza di gioia, perché il Signore governerà tutte le genti del mondo con giustizia. Il bambino nato a Betlemme è quindi il nostro Salvatore: “Oggi è nato per noi il Salvatore”. È un annuncio che si ripete più volte in questa santissima notte di Natale (antifona d’ingresso, canto al vangelo, lettura evangelica, antifona alla comunione).

 

Il tema predominante nei testi di questa notte è la luce (colletta, prima lettura, vangelo, orazione sulle offerte). La prima lettura ci ricorda che, come è stato per l’antico popolo d’Israele, così pure è per tutta la storia dell’umanità che cammina nelle tenebre e nell’oppressione alla ricerca di luce, di verità, di speranza e di  pace. Gesù, il “Principe della pace”, di cui parla il profeta Isaia, è la risposta definitiva di Dio alle attese dell’umanità. Anche per noi è offerta la visione della grande luce che fa fiorire la gioia. In Gesù - dice san Paolo nella seconda lettura – “è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini”.

 

Questo messaggio di salvezza viene comunicato non ai potenti della terra, ma a un gruppo di umili pastorali, rozzi, affaticati dalle lunghe e gelide notti di Palestina. ai quali l’angelo del Signore dice: “oggi, nella città di Davide, è nato per voi un salvatore, che è Cristo Signore”. Poi, con l’angelo, appare una moltitudine di spiriti celesti che al tempo stesso che annunciano “sulla terra pace agli uomini”, proclamano “gloria a Dio nel più alto dei cieli”. La gloria di Dio è Dio stesso in quanto si rivela nella sua maestà, nella sua potenza, nello splendore della sua santità. La “pace in terra” quindi è la manifestazione storica della gloria di Dio, la manifestazione della volontà salvifica di Dio in Cristo per noi. Possiamo quindi affermare anche che quando gli uomini siamo nella pace, viviamo in pace, Dio è glorificato in noi: la gloria di Dio è l’uomo redento, l’uomo che ha accolto Gesù come Salvatore. Gesù, “Principe della pace”, appare nella storia dell’umanità come segno di riconciliazione con Dio e con gli uomini. Con lui “la vera pace è scesa a noi dal cielo” (antifona d’ingresso). Incarnazione e mistero pasquale sono misteri indissolubili e mentre si celebra uno, non si può non associarlo all’altro: “Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità” (seconda lettura).

 

La nascita di Gesù da Maria a Betlemme segna l’inizio della nostra era indicando in questo modo che ciò che in quella notte accadde è stato fondamentale per la storia degli uomini. La nostra storia, la nostra vita, le sorti dell’umanità dipendono da questo fatto e trovano in esso ispirazione e senso. La storia dell’uomo ha senso perché Cristo ne è parte integrante, perché egli ne è anzi il personaggio centrale. Sulla scia di Gesù noi camminiamo per le strade del mondo certi di non andare allo sbaraglio, ma di avere un traguardo di salvezza. Tutti i nostri limiti, tutte le nostre sofferenze, tutte le nostre paure, tutte le nostre miserie sono state redente dal momento che Dio stesso le ha assunte nell’umanità di Gesù.

 

 

 

NATALE DEL SIGNORE – 25 Dicembre 2025

Messa dell’aurora

 

 Is 62,11-12; Sal 96; Tit 3,4-7; Lc 2,15-20

 

Come nella messa di mezzanotte, anche in quella dell’aurora riappare il tema della luce (antifona d’inizio, colletta, salmo responsoriale) abbinato a quello della gioia (salmo responsoriale, antifona alla comunione, preghiera dopo la comunione). Il Sal 96 presenta il regno di Dio come un’apparizione sconvolgente, nella quale saranno travolte le potenze del male che dominano il mondo. I versetti del salmo ripresi dall’odierna liturgia fanno riferimento in modo particolare ai temi della luce e della gioia, che sono temi squisitamente natalizi: Jhwh, re della luce, appare nella cornice di una gloriosa teofania a cui assiste tutta la sfilata delle creature e tutta l’umanità. Con questo testo la Chiesa celebra la manifestazione di Cristo nella carne come una luce soprannaturale, che si è levata per il giusto e ha recato gioia ai retti di cuore.    

 

Nella prima lettura, ci viene proposto un breve oracolo del Terzo Isaia. Al popolo ebreo umiliato dall’esilio, il profeta annuncia la liberazione: “Arriva il tuo Salvatore”. Il popolo liberato acquista una fisionomia diversa: diventa “popolo santo”, “redento dal Signore”, “ricercato” e “non abbandonato”. Alla luce di questo oracolo, il mistero del Natale appare come la manifestazione dell’amore di Dio che salva. Anche la lettura apostolica parla della manifestazione della bontà di Dio, Salvatore nostro, che effonde la sua misericordia: san Paolo, rivolgendosi al suo discepolo Tito, afferma che la prova massima della sua bontà e del suo amore Dio ce lo ha fornito donandoci il suo proprio Figlio. Il Natale celebra il dono dell’amore divino nel Cristo, rivelazione del Padre e salvezza del mondo.

 

Nella lettura evangelica continua la narrazione dell’annunciazione ai pastori, aperta nella messa della notte. Il brano odierno mette in evidenza la risposta dei pastori alle parole dell’angelo, una risposta coerente e immediata: “Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere...” San Luca aggiunge: “E dopo averlo visto riferirono ciò che del bambino era stato detto loro”. L’evangelista parla anche di Maria, la madre di Gesù, la quale raccoglie queste parole (così letteralmente) e le medita nel suo cuore, cioè cerca di penetrarne il senso. Fin d’ora Maria è il tipo di ogni vero uditore della parola di Dio. I pastori se ne sono andati “glorificando e lodando Dio”. Il loro andare diventerà, nel corso del Vangelo e degli Atti degli Apostoli, paradigma della diffusione della Buona Novella tra le genti.

 

La salvezza di Dio ci viene offerta in forma umana, nella povertà e debolezza, nel “segno” di un bambino, che assume la nostra debolezza: “la nostra debolezza è assunta dal Verbo” (prefazio III del Natale). Perciò la tradizione cristiana ha fatto del Natale una festa di profonda solidarietà umana.

 

Anche l’eucaristia del Natale rievoca e ripresenta la morte e la risurrezione del Cristo, ma, con il mistero della Pasqua, e in ordine ad esso, ricorda e rinnova, in certo modo, tutta la storia della salvezza, di cui l’incarnazione e la nascita di Gesù sono gli inizi. Il Natale del Signore segna l’inizio di quel cammino salvifico che porta Gesù a farsi in tutto simile agli uomini, fuorché nel peccato, fino alla morte di croce: è il cammino che, da una parte, prepara la Pasqua e ad essa conduce e, dall’altra, riceve significato salvifico proprio dalla Pasqua.

 

 

 

NATALE DEL SIGNORE – 25 Dicembre 2025

Messa del giorno

 

 

Is 52,7-10; Sal 97; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18

 

 Nel Natale di Cristo, la Chiesa ci invita a lodare con le parole profetiche del salmo 97 il Signore che ha compiuto prodigi e ha manifestato la sua salvezza e il suo amore per la casa d’Israele. Nel bambino di Betlemme questa salvezza si è manifestata, non solo ad Israele, ma a tutti gli uomini e donne della terra che possono ormai contemplarla e accoglierla. L’ingresso del Salvatore nel mondo e nella storia provoca un sussulto di felicità in tutti e in tutto. La gioia del Natale però sarebbe superficiale se non fosse fondata sulla contemplazione del mistero natalizio alla luce della fede. Ecco perché in questa messa del giorno siamo invitati a contemplare, guidati dalla parola di Dio, le profondità di questo mistero.

 

La prima lettura riporta un brano del Secondo Isaia, l’anonimo annunziatore del ritorno di Israele dall’esilio di Babilonia. Il profeta parla di un messaggero che annunzia pace, felicità, salvezza. Questa missione, nel Nuovo Testamento, Gesù l’attribuirà a se stesso (cf. Lc 4,43). La seconda lettura conferma che Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio. La lettura evangelica è presa dal grandioso prologo al vangelo di Giovanni. Vale la pena di concentrare la nostra attenzione su questo sublime brano. Giovanni annunzia che il Verbo di Dio si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi; ma al tempo stesso annunzia che tutti coloro che accolgono questo bambino, il Figlio di Dio fatto carne, ricevono anch’essi il potere di diventare figli di Dio. In Cristo ci viene offerta la possibilità di una nuova origine, non più fondata sul sangue e sulla carne, ma su Dio stesso. Il mistero del Natale riguarda quindi anche noi. Il mistero di un Dio fatto uomo ci immerge nel mistero dell’uomo che diventa figlio di Dio. Si tratta di quel “misterioso scambio” di cui parla il III prefazio di Natale: il Verbo di Dio assume la nostra natura umana nella sua debolezza e fragilità, e noi, uniti a lui in comunione mirabile, condividiamo la sua vita immortale (cf. anche la preghiera dopo la comunione). La stessa dottrina esprime san Paolo in un brano che viene proposto oggi alla nostra attenzione: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Primi vespri, lettura breve - Gal 4,4-5). Nel Natale noi contempliamo gli inizi della nostra salvezza. L’antifona alla comunione annuncia profeticamente questo evento quando dice: “tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro Dio” (cf. Sal 97,3).

 

Il grande padre della Chiesa romana, san Leone Magno, contemplando il mistero dell’Incarnazione, esclama: “Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna” (Ufficio delle letture, seconda lettura). Questa stessa esortazione è implicita nel testo del prologo di Giovanni quando si dice che a colui che accoglie il Figlio di Dio fatto carne, viene dato potere di “diventare” figlio di Dio: la nostra identità di figli di Dio è inserita dentro un processo dinamico che si apre ad una crescita progressiva e senza sosta e ci conduce verso gli spazi della vita divina.

 

L’eucaristia che oggi celebriamo è per eccellenza il sacrificio della nuova alleanza, il rito della nuova umanità, che ci introduce progressivamente alla partecipazione della vita divina. Celebrare in Natale significa celebrare l’umanità come luogo in cui il divino trova la sua massima manifestazione. 

 

 

venerdì 19 dicembre 2025

DOMENICA IV DI AVVENTO (A) – 21 Dicembre 2025

 



 

 

Is 7,10-14; Sal 23; Rm 1,1-7; Mt 1,18-24

 

Le letture bibliche di questa domenica mettono in luce le figure di Maria e di Giuseppe, e anche quella di san Paolo, modelli tutti e tre di accoglienza della Parola di Dio e di obbedienza ad essa. La prima lettura riporta il messaggio del profeta Isaia al re Acaz, chiedendogli di non elemosinare aiuto dall’Assiria, ma di fidarsi solo dell’aiuto di Dio. Acaz, però, non se la sente di fidarsi solo di Dio, vorrebbe rifiutare ogni segno divino; le sue parole apparentemente rispettose del volere divino (“Non voglio tentare il Signore”) sono frutto piuttosto della protervia di chi non vuole essere costretto a fidarsi dell’invisibile, di chi vuole a tutti i costi misurare e controllare le sue sicurezze. Nel racconto del brano evangelico di Matteo la figura centrale è Giuseppe. Al contrario del re Acaz, di cui parla il brano di Isaia, Giuseppe accetta il “segno” del bambino nato da una vergine e, fiducioso nella parola di Dio trasmessagli per mezzo dell’angelo, impegna tutta la sua vita per questo bambino e sua madre. Il testo evangelico conclude con queste parole: “fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa”. Giuseppe, quindi, accoglie il messaggio e ubbidisce.

 

Accanto alla figura di Giuseppe sta quella di Maria, la Madre di Gesù. Diversamente di quanto ha fatto san Luca, nei racconti della nascita e infanzia di Gesù, san Matteo non ci ha trasmesso alcuna parola di Maria. L’evangelista Matteo presenta una Maria silenziosa, ma docile strumento del disegno di Dio: ciò che avviene in lei è adempimento di “ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta”.

 

San Paolo nell’introduzione alla lettera ai Romani, proposta come seconda lettura, parla della sua vocazione. Dio lo ha chiamato a divenire apostolo, un inspiegabile e incomprensibile atto di grazia. In quanto tale, il ministero di apostolo è legato all’obbedienza di fede. Paolo si definisce apostolo e servo di Cristo Gesù. Vi è un intrinseco rapporto tra fede e obbedienza: la fede consiste nell’obbedire e l’obbedienza consiste nel credere.

 

Siamo chiamati a realizzare la nostra vita entrando liberamente e gioiosamente nell’orbita del disegno di Dio. Bisogna fidarsi di Dio. La nascita di Gesù che ci apprestiamo a celebrare è un segno della fedeltà di Dio. Disponiamoci ad accogliere, nell’obbedienza della fede, ad esempio di Giuseppe e Maria, il Signore che viene a salvarci.

 

L’orazione sulle offerte fa un suggestivo accostamento tra il mistero dell’incarnazione e il mistero eucaristico. Lo Spirito Santo che ha santificato con la sua potenza il grembo della Vergine Maria è lo stesso che consacra i doni del pane e del vino per la celebrazione del sacrificio eucaristico. Lo Spirito è poi colui che ci prepara ad accogliere il Signore che viene.

 

domenica 14 dicembre 2025

IL LEZIONARIO DELLA MESSA

 


Maurizio Barba – Elena Massimi, L’”Ordo Lectionum Missae” del Concilio Vaticano II. Storia della redazione attraverso studi e documenti inediti del “Coetus XI” (Bibliotheca “Ephemerides Liturgicae” “Subsidia 208). 1210 pp. (€ 90,00).

Il volume ripercorre l’itinerario di elaborazione dell’Ordo Lectionum Missae del periodo antepreparatorio e preparatorio del Concilio Vaticano II, passando attraverso il dibattito conciliare relativo alla redazione dei numeri di Sacrosanctum Concilium riguardanti la proclamazione della Parola di Dio nella celebrazione eucaristica. Cuore di questo studio è il materiale inedito che attesta tutto il lavoro compiuto dal Coetus XI incaricato per l’elaborazione dell’OLM. Si guarderà non solo alle cosiddette Relationes presentate dal gruppo di studio ai membri del Consilium, che ben evidenziano la complessità del lavoro, ma anche agli studi più significativi elaborati dai membri del Coetus stesso, in modo particolare alle preziose e imprescindibili tavole sinottiche di P. Gaston Fontaine (1921-1992), protagonista del Movimento liturgico nel Canada francese, che raccolgono le pericopi bibliche utilizzate da varie famiglie liturgiche dai primi secoli fino alle soglie del Vaticano II. Si tratta, in sostanza, di una raccolta in ordine sistematico delle pericopi bibliche usate nelle diverse liturgie, antiche e moderne, occidentali e orientali, in seno alla Chiesa cattolica e nelle comunità ecclesiali non cattoliche per i periodi di Avvento, Natale e Quaresima. Tutto il materiale inedito esaminato è collocato, mediante trascrizione, nelle Appendici, e rappresenta uno scrigno importante per coloro che sono interessati ad approfondire ulteriori aspetti del Lezionario. Ci si augura che il presente volume possa offrire agli studiosi un abbondante materiale di studio e di approfondimento, ma soprattutto sia di stimolo per far avanzare lo studio delle fonti e in particolare della Parola di Dio proclamata nella celebrazione liturgica, perché al popolo di Dio siano dischiusi sempre di più i tesori della Sacra Scrittura.

(Dall’Introduzione) 

venerdì 12 dicembre 2025

DOMENICA III DI AVVENTO (A) – 14 Dicembre 2025

 



 

 

Is 35,1-6a.8a.10; Sal 145; Gc 5,7-10; Mt 11,2-11

 

 

Il brano evangelico odierno esordisce con queste parole: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. È la domanda che i discepoli di Giovanni Battista rivolgono a Gesù. È una domanda che ha una sua attualità. L’interrogativo ci deve tenere costantemente aperti a una nuova visuale delle cose che ci permetta di riconoscere l’azione sempre nuova di Dio nella storia. Chi è per noi Gesù? Abbiamo riconosciuto in lui il nostro Salvatore? Gesù alla domanda rivoltagli da Giovanni per bocca dei suoi dei discepoli, invece di rispondergli con un sì o con un no, lo rimanda a quelle opere di cui Giovanni aveva sentito parlare, opere che documentano attraverso una libera citazione del profeta Isaia (brano riproposto come prima lettura) che egli è veramente il Messia inviato da Dio. Per Giovanni, tormentato dal dubbio, la parola di Gesù è un invito a fidarsi di lui, a credere. L’uomo che è in attesa di salvezza ha nelle parole e nelle opere di Gesù una risposta definitiva. In lui la salvezza di Dio ha fatto irruzione nella nostra vita.

 

Da parte sua, san Giacomo, nella seconda lettura, ci invita a perseverare in un atteggiamento di pazienza. È vero - lo abbiamo detto - la salvezza di Dio si è manifestata nel suo Figlio fatto uomo, egli è il Salvatore promesso. I frutti pieni della sua venuta però li dobbiamo raccogliere giorno dopo giorno nell’operosità paziente e incessante. Per san Giacomo, il mistero della nostra salvezza è simile al ciclo della natura nel suo rinnovarsi incessante, che alla fine non delude l’attesa paziente e testarda del contadino. Abbiamo bisogno di tempo affinché il regno di Dio cresca e maturi nella storia, in ciascun di noi. La pazienza esige disponibilità e cooperazione alla crescita. Il domani di salvezza definitiva che attendiamo è anche nelle nostre mani.

 

La salvezza di Dio è vicina a noi, anzi è in mezzo a noi, e ciò dev’essere motivo di gioia. Non è la gioia di chi non trova ostacoli da affrontare; è la gioia di chi accetta il piano di Dio su di lui e si sente al suo posto, sa che la sua vita è al sicuro e può compiere le sue scelte con piena libertà interiore. Nei momenti di smarrimento o di sofferenza, nei momenti di stanchezza, quando le certezze sembrano svanire, la fede ci assicura che Dio viene a salvarci, che la nostra attesa non è vana. Se abbiamo riconosciuto Gesù come nostro Salvatore, il nostro cuore non ha nulla da temere.      

 

Gesù è vicino a noi come Salvatore soprattutto nell’eucaristia. L’antifona di comunione lo afferma riproponendo le parole di Is 35,4, tratte dalla prima lettura d’oggi: “Coraggio, non temete! Ecco il nostro Dio. Egli viene a salvarvi”. E l’orazione sulle offerte precisa che il sacrificio eucaristico rende “efficace in noi l’opera della salvezza”.

lunedì 8 dicembre 2025

IL MISTERO

 



 

Vittorino Andreoli, Mistero. Una risposta, non una domanda, Fondazione Terra Santa, Milano 2025. 223 pp. (€ 16,90).

 

Proponendo il mistero non come interrogativo, ma come risposta e limite ineludibile di ogni individuo, Vittorino Andreoli – attraverso un percorso circolare che fonde neuroscienze, filosofia, riti e fede – ragiona sul tempo, la morte, l’amore e il sacro, svelando come scienza e spiritualità si incontrino per offrire coraggio e senso all’ignoto.

La lunga riflessione riconosce il filo rosso tra passato e futuro, trasformando il mistero in un compagno di vita e uno stimolo alla conoscenza.

Dalla forza incantatrice della fede ai limiti strutturali del cervello, dai segreti dell’infinito alle verità nascoste dietro il gesto rituale, ogni riflessione è il tassello di un intricato mosaico, che mostra come la trascendenza sia una dimensione strutturale e costitutiva di ogni uomo e donna, una dimensione che aiuta a vivere.

Ecco perché il mistero non è un punto interrogativo, ma la filigrana che sottende la trama della vita: il battito del cuore nei segreti dell’amore, la tensione dell’anima di fronte alla perdita di una persona cara, la meraviglia davanti all’ultima scoperta scientifica, che apre a nuove incognite e nuove domande.

Il mistero diventa così un sostegno vivente, un invito a non fermarsi mai nella ricerca più profonda: quella del perché esistiamo.

 

(Risvolto del libro)  

domenica 7 dicembre 2025

IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA B.V. MARIA – 8 Dicembre 2025

 



 

 

Gen 3,9-15.20; Sal 97; Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26-38

 

In Maria immacolata celebriamo l’alba della redenzione, l’inizio della nuova umanità o, come dice il prefazio della messa, “l’inizio della Chiesa, sposa di Cristo senza macchia e senza ruga, splendente di bellezza”.

 

Secondo ha interpretato la tradizione, Maria è figurata dal Protovangelo nella donna nemica e vittoriosa di Satana, evento che viene proposto come prima lettura (Gen 3,9-13) assieme alla disobbedienza di Adamo ed Eva (Gen 3,14-15). La scelta di questo brano intende mettere in evidenza il peccato sul quale Maria è vittoriosa e suggerire l’idea di Maria come nuova Eva. Come Adamo ed Eva sono personaggi emblematici per esprimere l’umanità caduta nel peccato, così Gesù, nuovo Adamo, e sua madre, nuova Eva, diventano personaggi altrettanto emblematici che enunciano l’umanità rinnovata. “Il nodo della disobbedienza di Eva è stato sciolto dall’obbedienza di Maria; ciò che la vergine Eva aveva legato con la sua incredulità, la vergine Maria l’ha slegato con la sua fede” (S. Ireneo; Cost. Lumen Gentium, n. 56).

         

La lettura evangelica propone l’evento dell’Annunciazione: l’angelo proclama Maria “piena di grazia”, testo classico del Nuovo Testamento in cui la tradizione ha visto annunciata la verità dell’Immacolata Concezione di Maria. È senza dubbio la pagina più letta nella liturgia, più meditata dagli artisti, più riprodotta in tele e nelle sculture. I Padri della Chiesa hanno visto in questo evento la contropartita di ciò che è successo nella caduta del paradiso terrestre: Eva non ascolta il precetto di Dio, Maria invece ascolta il messaggio dell’angelo inviato da Dio; Eva disobbedisce alla parola di Dio, Maria invece pronuncia il suo “si” ubbidiente al piano di Dio su di lei: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”; Eva significa “madre di tutti i viventi”, Maria lo è in senso più profondo in quanto è madre dei redenti mediante la morte del Figlio suo, vincitore del male e della morte. Maria, generando il Cristo, ha posto nella terra il “seme” indistruttibile del bene, della giustizia e della speranza. Esso si radicherà e trasformerà l’umanità intera. È la stessa realtà che descrive il brano introduttivo alla lettera agli Efesini (seconda lettura) in cui l’Apostolo afferma che Dio, in Cristo “ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità”. Questa singolare elezione trova un’applicazione particolarissima in Maria. L’Immacolata è il primo segno della vittoria pasquale di Cristo. Con lei, l’umanità ritrova la strada per percorrere una storia di santità, non più di peccato. L’Immacolata è quindi un segno di speranza. Ciò che è avvenuto in lei è anticipo e frutto al tempo stesso della vittoria di Cristo risorto sulla morte e sul peccato.

 

L’eucaristia, ripresentazione sacramentale del mistero pasquale, “guarisce in noi le ferite di quella colpa da cui, in modo singolare”, Maria è stata preservata nella sua immacolata concezione (orazione dopo la comunione).

 

venerdì 5 dicembre 2025

DOMENICA II DI AVVENTO (A) – 7 Dicembre 2025

 


 

 


Is 11,1-10; Sal 71; Rm 15,4-9; Mt 3,1-12

 

Se la domenica scorsa ci invitava a vivere in attesa vigilante del Signore che viene, oggi siamo incoraggiati a rendere significativa questa attesa con una vita che sia già ora e qui espressione dei valori del regno di Dio che viene.


La prima lettura ci presenta l’immagine di una società perfetta, in apparenza utopica. Isaia la descrive con accenti toccanti: “il lupo dimorerà insieme con l’agnello, il leopardo si sdraierà accanto al capretto, il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà...” Queste e altre raffigurazioni, che ci ricordano le favole ed i cartoni animati della nostra infanzia e che sono in contrasto con la realtà faticosa e spesso violenta che distingue la nostra vita quotidiana, vogliono esprimere una società in cui i contrasti vengono composti armonicamente e dove regna indisturbata la giustizia e la pace. Questa società, secondo il profeta Isaia, è quella inaugurata dal Messia sul quale si poserà lo Spirito del Signore per deporre nella storia di questo mondo un seme nuovo di giustizia e di pace.

 

Nel brano del vangelo ascoltiamo san Giovanni Battista che annuncia la venuta del Messia, il quale ci “battezzerà in Spirito Santo e fuoco”, il fuoco che brucia la pula e annienta i peccatori. Perciò il Precursore invita i suoi ascoltatori alla conversione: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!” E’ quindi colui che viene, il Messia, a rendere visibile la vicinanza del Regno. La società perfetta, profetizzata da Isaia, è dono dello Spirito del Messia ma esige anche la nostra operosità. Il regno messianico non diventa una realtà nel mondo senza la nostra conversione. La 3a ant. dell’Ufficio di letture ribadisce lo stesso insegnamento quando afferma: “Purifichiamo i nostri cuori, per camminare nella giustizia incontro al Re: egli viene, non tarderà”.

 

Nella seconda lettura, san Paolo dando uno sguardo rapido all’insieme delle Scritture prende atto che esse convergono sul mistero di Cristo e tracciano la via della salvezza che il cristiano è chiamato a percorrere per rimanere perseverante, trovare consolazione e tenere viva la speranza. Ma non è solo una speranza emotiva, bensì una relazione viva con il Cristo. La società perfetta di cui abbiamo parlato, è possibile solo se abbiamo “gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù” e, in questo modo, impariamo a vedere nei nostri simili i fratelli e le sorelle figli dello stesso Padre.

 

La celebrazione eucaristica è segno efficace di questo regno di giustizia e di pace, di cui attendiamo la piena realizzazione. Nell’assemblea eucaristica, infatti, si attua l’unità di tutti noi in Cristo: “Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane” (1Cor 10,17). Perciò stesso l’eucaristia ci insegna “a valutare con sapienza i beni della terra e a tenere fisso lo sguardo su quelli del cielo” (preghiera dopo la comunione).

domenica 30 novembre 2025

GLI SPAZI DELLA LITURGIA

 



 

Giuliano Zanchi, Dare luogo alla grazia. Sugli spazi della liturgia, Vita e Pensiero, Milano 2025. 145 pp. (€ 14,00).


Giuliano Zanchi, sacerdote, teologo ed esperto di estetica, crea qui una piccola ed intensa “guida” per riscoprire, valorizzare e dare senso ai luoghi della liturgia cristiana, quegli ambiti in cui si dispiega il rito e che spesso vengono considerati come puri elementi di corredo. E invece essi sono spazi ricchi di senso, perché ospitano l’incontro della comunità dei credenti con Gesù: non semplici arredi, ma luoghi della presenza, espressioni materiali e concrete della grazia.


Indice: il corpo, l’assemblea, le soglie, l’ambone, l’altare, il battistero, la luce, le immagini.

venerdì 28 novembre 2025

DOMENICA I DI AVVENTO (A) – 30 Novembre 2025

 



 

Is 2,1-5; Sal 121; Rm 13,11-14a; Mt 24,37-44

 

In questa domenica I di Avvento, ricordiamo che noi tutti siamo in cammino verso la Gerusalemme celeste e ne esprimiamo la gioia quando diciamo col salmista: “Quale gioia, quando mi dissero: «andremo alla casa del Signore»” (salmo responsoriale). All’inizio dell’Anno liturgico siamo invitati a riprendere con rinnovato coraggio il nostro cammino verso la patria del cielo, in un gioioso contesto di comunione e di pace, ma anche in attesa vigilante del Signore che viene.

L’Avvento ricorda le due venute del Signore e le mette in intimo rapporto, la prima nel mistero della incarnazione e la seconda alla fine dei tempi: “Al suo primo avvento nell’umiltà della condizione umana egli portò a compimento la promessa antica, e ci aprì la via dell’eterna salvezza. Quando verrà di nuovo nello splendore della gloria, ci chiamerà a possedere il regno promesso che ora osiamo sperare vigilanti nell’attesa” (prefazio dell’Avvento I). Questa Ia domenica è tutta quanta incentrata sulla venuta del Signore alla fine dei tempi, alla quale siamo invitati a prepararci. Quando facciamo delle scelte nella vita di ogni giorno, le facciamo avendo davanti l’immagine di un futuro che intendiamo raggiungere: economico, sociale, culturale, ecc. Oggi siamo invitati a farle guardando anche al futuro di Dio, di un Dio che è venuto, viene e verrà per noi.

Il brano evangelico raccoglie alcune parole di Gesù in cui egli afferma che l’incontro con lui alla fine del nostro pellegrinaggio terreno sarà improvviso e inatteso. Il testo evangelico è tutto focalizzato sull’incertezza del quando, che viene ripetuta tre volte: “vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà…”. Siamo invitati quindi a risvegliare in noi uno spirito vigilante. La vigilanza è la capacità di essere presenti a ciò che si vive. Non si tratta di una vigilanza passiva e inoperosa, ma attiva e dinamica; dobbiamo andare incontro al Cristo che viene e dobbiamo farlo “con le buone opere” (colletta). Tutta la vita deve essere una preparazione prolungata e fedele ad accogliere Cristo che viene. Un messaggio simile lo troviamo nella prima lettura, in cui il profeta ci esorta a percorrere il nostro cammino “nella luce del Signore”. Nella lettura apostolica, san Paolo, riprendendo il simbolismo della luce e, dopo aver ricordato che siamo nella notte in attesa dell’alba luminosa dell’avvento di Cristo, ci invita a svegliarci perché il giorno della salvezza è vicino. In questo contesto, l’Apostolo aggiunge che dobbiamo gettare via le “opere delle tenebre” e comportarci “come in pieno giorno”. Il futuro verso cui camminiamo deve innestare nel presente la tensione per l’impegno nei valori che, vissuti nel presente, conducono al possesso di quelli futuri e definitivi. Ogni attimo della nostra vita è impastato di eternità. Perdere la memoria del futuro equivale ad appiattire il presente. Il cristiano essendo una persona di memoria, è una persona di attesa. La nostra esistenza di credenti è destinata a svolgersi, come è naturale, in seno alla storia concreta degli uomini e delle donne ma allo stesso tempo è chiamata a far lievitare la storia con la novità della speranza, cioè con la fede nel progetto salvifico di Dio.

La partecipazione all’eucaristia è “pegno della redenzione eterna” (orazione sulle offerte), ci sostiene nel nostro cammino e ci guida ai beni eterni (cf. orazione dopo la comunione).

 

domenica 23 novembre 2025

QUALE EUCARISTIA?

 



Thomas O’Loughlin, Quale Mensa per noi tu prepari! L’Eucaristia como evento che plasma un popolo, Queriniana, Brescia 2025. 90 pp. (€ 14,00).

In questo libro O’Loughlin libera l’eucaristia dallo spazio chiuso dei tabernacoli e dai polverosi scaffali delle biblioteche. Sempre rispettoso, riesce a collocare il corpo di Cristo sulla mensa delle nostre case, perché possiamo condividerlo in particolare con quanti vivono in situazioni svantaggiate o di rifiuto.

L’eucaristia non è infatti un oggetto statico di adorazione, bensì un rendere grazie senza tempo, un banchetto imbandito dal Dio di Gesù al quale ognuno può trovare posto. Questa meditazione ci nutre e ci ricorda con la sua freschezza che è il popolo di Dio ad essere chiamato a celebrare il proprio mistero di fede. Eucaristia dunque è un verbo, più che un nome: è l’azione semplice e potente di “condividere un pezzo di pane”. O’Loughlin ce ne illustra le implicazioni dirette per tanti aspetti della nostra vita: dalla costruzione di una comunità alla giustizia alimentare. È prendersi cura uno dell’altro e accogliere gli altri alla stessa mensa come fratelli e sorelle.

(Quarta di copertina)

venerdì 21 novembre 2025

DOMENICA XXXIV DEL TEMPO ORDINARIO (C) – 23 Novembre 2025 NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO RE DELL’UNIVERSO

 



 

 

2Sam 5,1-3; Sal 121 (122); Col 1,12-20; Lc 23,35-43

 

L’anno liturgico si chiude con questa domenica, dedicata a Cristo re dell’universo, chiave di lettura del mondo e della storia. In concreto, la solennità odierna propone la regalità di Cristo nella sua luce biblica e non in quella sociologica. Bisogna quindi evitare le ambiguità che hanno talvolta caratterizzato questa festa in un passato non lontano. Il dominio regale di Cristo si esercita sull’universo e sugli individui piuttosto che sulle società. Infatti, le letture bibliche insistono sull’aspetto escatologico, e cioè ultraterreno e spirituale della regalità di Cristo. “Il Regno non si compirà attraverso un trionfo storico della Chiesa secondo un progresso ascendente, ma attraverso una vittoria di Dio sullo scatenarsi ultimo del male” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 677).

 

La prima lettura narra l’unzione di Davide consacrato a re d’Israele. La figura di Davide prefigura quella di Cristo, l’Unto per eccellenza (cf I Vespri, ant. Al Magn.). La dimensione universale e cosmica della regalità di Cristo è celebrata in modo particolare nell’inno della Lettera ai Colossesi che ci viene proposto come seconda lettura: “Tutte le cose sono state create per mezzo di lui [Cristo] e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono”. Tra l’inno paolino e la descrizione della crocifissione di Gesù corre un abisso, a prima vista inconciliabile. Infatti, il brano del vangelo ci ricorda che Gesù esercita il suo dominio non tramite la forza, ma nella debolezza della croce. Il potere che Cristo rivendica sull’uomo non è di mondana potenza, ma proposta di valori liberanti, ai quali chiede un’adesione libera e personale promettendo a colui che li accoglie, come al buon ladrone del vangelo, la partecipazione al suo regno: “oggi con me sarai nel paradiso”.

 

Il regno di Cristo si stabilisce in “ogni creatura, libera dalla schiavitù del peccato” (colletta). Se vogliamo quindi che Cristo re eserciti il suo potere sul mondo, dobbiamo anzitutto far sì che il suo regno si stabilisca dentro di noi, nelle profondità del nostro essere, da dove prende origine la nostra espressione, la nostra parola, le nostre opere e il nostro dinamismo interiore. Cristo regna nei nostri cuori quando “viviamo secondo la verità nella carità e cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di Cristo” (Lodi mattutine, lettura breve: Ef 4,15).

 

La celebrazione eucaristica anticipa in noi i doni del regno di Dio. Già nell’Antico Testamento la comunione tra Dio egli uomini, che caratterizzava l’avvento definitivo del Messia e del suo regno, viene rappresentata con l’immagine di un banchetto sacro al quale il Dio di Israele inviterà tutti i popoli (Is 25,6-10). Questa immagine è ripresa anche dal vangelo nella parabola del banchetto nuziale (Mt 22,1-4; Lc 14,16-24) e in quella delle dieci vergini (Mt 25,1-13; Lc 12,35-38).

domenica 16 novembre 2025

L’ESPERIENZA DEL RITMO

 



 

L’esperienza del ritmo implica movimento, impulso, differenziazione, vitalità, forma riconoscibile. Ci appare non come una cosa tra le cose, ma come una qualità che è data dalla loro relazione. Come scriveva Marius Schneider, “il ritmo è una articolazione qualitativa, non quantitativa, del tempo e dello spazio. Oscillando nella ripetizione continua, esso ruota intorno a un centro inafferrabile, che però è il punto focale della relazione che si stabilisce fra due qualità o due individui, premesso che ciascuna qualità è chiaramente caratterizzata e, di conseguenza, permette all’altra di esprimersi […] Nella sua ultima astrazione, il ritmo è il modo più profondo della vita spirituale”.

Effettivamente, l’esperienza del ritmo non è legata solo alla musica, ma è molto più ampia, profonda e pervasiva; perciò, è anche difficile da definire in modo esaustivo. Sperimentiamo il ritmo nella periodicità dei fenomeni cosmici, nella ciclicità della natura, nella vitalità del mondo biologico, nelle ricorrenze delle storie che viviamo. Inoltre, l’essere umano stesso è in grado, in qualche misura, di dare un certo ritmo alla sua esistenza, ai suoi gesti, alle sue “creazioni” (si pensi in particolare alle creazioni artistiche). L’esperienza qualitativa del ritmo, che è nelle cose ma non coincide con esse, ha un che di misterioso e inafferrabile, ma anche molto reale, nel suo farci sentire in armonia e in un equilibrio dinamico dentro di noi e con l’ambiente esterno.

Attraverso queste esperienze ritmiche noi possiamo percepire una qualità del tempo e dello spazio, conosciamo e ri-conosciamo il nostro mondo e noi stessi in esso. Sentiamo l’impulso della vita, che emerge sulla piattezza dell’amorfo e dell’apatico, e percepiamo una forma del mondo. Il ritmo può permeare qualsiasi aspetto della vita fisica e spirituale, incrocia natura e cultura. Esso dice insieme differenza e relazione, distanza e collegamento, tempo e eternità. È pensabile che anche la dimensione religiosa, aperta alla trascendenza, sia caratterizzata da un modo ritmico di abitare il mondo che ce lo riveli sotto una luce nuova.

 

Fonte: Luigi Girardi (a cura di), Rito e ritmo. Celebrare la differenza (Caro salutis cardo. Contributi 40), Roma –Padova 2025, pp. 6-7.

 

venerdì 14 novembre 2025

DOMENICA XXXIII DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 16 Novembre 2025

 



 

Ml 3,19-20a; Sal 97 (98); 2Ts 3,7-12; Lc 21,5-19

 

 

La fine del mondo e il giudizio universale, temi che ci propone oggi la parola di Dio, sono da considerarsi come un giorno di festa in cui Dio viene a stabilire definitivamente la giustizia. Dopo le severe parole di Gesù che abbiamo ascoltato nel vangelo, può sembrare fuori posto questa affermazione.

 

Invece questo giorno, che la Bibbia chiama “giorno del Signore”, è descritto dalla prima lettura come “un giorno rovente come un forno”, in cui Dio annienterà i superbi e gli ingiusti, ma salverà coloro che hanno timore del suo nome, e cioè quelli che servono Dio con fedeltà. Per questi “sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia” (cf anche I Vespri, ant. al Magn). Il vangelo raccoglie le parole di Gesù sulla fine del Tempio di Gerusalemme. E quando gli chiedono: “Signore, quando accadrà questo…?”, Gesù non risponde, ma prende l’occasione per portare l’attenzione dei suoi discepoli sugli ultimi tempi, di cui ne rivela l’incertezza del giorno e dell’ora. In attesa del compimento della vicenda terrena, ci viene dato come codice di comportamento l’esortazione di san Paolo ai cristiani di Tessalonica: in attesa del trionfo della giustizia, in attesa che il male sia vinto, l’Apostolo ci invita a vivere la nostra vita nella pace lavorando, cercando di non essere di peso agli altri, guadagnandoci così il nostro destino. Questa esortazione coincide con l’affermazione di Gesù che conclude il discorso sulla fine dei tempi con queste parole: “Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime” (II Vespri, ant. al Magn.).

 

La perseveranza è frutto della grazia, è frutto dello Spirito, ma è anche risposta coerente e quotidiana della nostra volontà al dono di Dio. La vita cristiana non è passiva attesa di doni che piovono dal cielo; è invece ricerca appassionata, impegno generoso che si traduce in un concreto sforzo per testimoniare la giustizia e la salvezza di Dio. In questo mondo siamo di passaggio. Tante volte invece le realtà terrene ci si offrono in tutta la loro forza seducente, in modo che non è facile mantenersene liberi. Il nostro sguardo deve rivolgersi verso quei beni che ci procurano “felicità piena e duratura” (colletta). A questo proposito, sant’Agostino dice che il cristiano deve “servirsi del mondo, non farsi schiavo del mondo” (Ufficio delle letture, 2a lettura). Dio ha progetti di pace su di noi, non progetti di sventura (cf ant. d’ingresso, Ger 29,11). Infatti, dopo le severe parole di Gesù, abbiamo ascoltato che egli afferma: “Nemmeno un capello del vostro capo perirà”. Pertanto, il linguaggio immaginoso che usa la Scrittura per descrivere il giorno finale non deve incutere paura. Non serve vivere in attesa ansiosa e oziosa del futuro. L’attesa cristiana si chiama speranza, la quale non è né ansiosa né oziosa ma attiva. La vita è amministrazione di un dono che ci è stato affidato, quindi è responsabilità. Bisogna prendere sul serio il tempo presente. Siamo chiamati non all’evasione dal mondo, ma a costruire qui e ora le premesse che preparano l’avvento definitivo del regno di Dio.

 

Il Signore che verrà alla fine dei tempi come giudice è realmente presente nell’Eucaristia sotto gli umili segni sacramentali del pane e del vino. Nell’Eucaristia quindi è racchiusa e già in atto la beata speranza che alimenta l’attesa e il desiderio della Chiesa e di ogni credente nel ritorno del Signore. Perciò possiamo gridare ai quattro venti con gli antichi cristiani: “Vieni, Signore Gesù” (Ap 22,20).

 

domenica 9 novembre 2025

RITO E RITMO

 



Luigi Girardi (a cura di), Rito e ritmo. Celebrare la differenza (Caro salutis cardo. Contributi 40), CLV-Edizioni liturgiche, Roma – Abbazia di Santa Giustina, Padova 2025. 238 pp. (€ 32,00).

L’esperienza del ritmo è vasta, profonda e pervasiva. La incontriamo nei fenomeni cosmici, naturali, biologici, culturali. Il ritmo conserva e dischiude una qualità particolare della nostra esperienza, decisiva anche per la dimensione religiosa. Occorre chiedersi allora in che modo il ritmo è presente nella dinamica del rito e che cosa è in gioco attraverso di esso. Non ha forse la liturgia un proprio ritmo? Come interagire con i ritmi della vita sociale di oggi? L’arte di celebrare non è forse una questione (anche) di ritmo? Questi e altri interrogativi aprono un percorso riflessivo estremamente fecondo.

Contributi di Andrea Albertin, Giorgio Bonaccorso, Claudio Ubaldo Cortoni, Loris Della Pietra, Serena Facci, Marco Gallo, Luigi Girardi, Paolo Tomatis, Lorenzo Voltolin.

venerdì 7 novembre 2025

DEDICAZIONE DELLA BASILICA LATERANENSE – 9 Novembre 2025

 



 

Ez 47,1-2.8-9.12; Sal 4 (46); 1Cor 3,9c-11.16-17; Gv 2,13-22.

La lettura evangelica ci ricorda che Gesù è il nuovo tempio: “Egli parlava del tempio del suo corpo”. In Lui Dio si è fatto carne ed è venuto a piazzare la sua tenda in mezzo a noi. Come dice san Paolo, noi siamo membra vive del corpo di Cristo, quindi anche noi siamo “tempio di Dio”. I templi fatti dalla mano dell’uomo sono al servizio del tempio di pietre vive, non fatto dalla mano dell’uomo; come dice il prefazio della messa, la “Chiesa è significata dalle chiese che edifichiamo”. Questa dottrina acquista un particolare significato nel giorno della dedicazione della basilica di San Giovanni in Laterano, la cattedrale del vescovo di Roma, che “sovrintende alla carità” (sant’Ignazio di Antiochia) di tutte le Chiese locali e perciò viene chiamata anche “Chiesa madre di tutte le chiese”. Celebrando dunque questa festa, ricordiamo innanzitutto che siamo in comunione gli uni con gli altri, nonostante le diversità, e tutti siamo in comunione con il papa, vescovo di Roma.

Anche se ogni vescovo esercita il suo ministero di santificazione e di culto in tutta la diocesi, la cattedrale è il luogo proprio in cui egli svolge le funzioni di grande sacerdote del suo gregge, il luogo dove proclama la Parola e presiede le celebrazioni sacramentali, in particolare l’eucaristia. Da una parte, la Chiesa, come sacramento o segno e strumento della presenza della salvezza offerta in Cristo, ha bisogno di realizzarsi e rendersi visibile in un luogo concreto. D’altra parte, la liturgia è un’azione che si svolge necessariamente nell’ambito spazio-temporale. Ciò la rende, di fatto, manifestazione del mistero della Chiesa, rappresentata nella comunità riunita e presieduta dai suoi pastori.

La dedicazione della chiesa cattedrale può essere interpretata alla stregua di una iniziazione cristiana dell’edificio che rappresenta la comunità dei fedeli. Infatti, così come “con i sacramenti dell’iniziazione cristiana, il battesimo, la confermazione e l’eucaristia, sono posti i fondamenti di ogni vita cristiana” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1212), così anche la dedicazione dell’edificio ecclesiale sta a significare la consacrazione di una Chiesa particolare. In questo senso, l’anniversario della dedicazione della chiesa cattedrale, che deve celebrare l’intera comunità diocesana, è come l’anniversario del battesimo dell’intera comunità cristiana e, in definitiva di un popolo santificato con la Parola e i sacramenti, chiamato a crescere e a svilupparsi, in analogia con il corpo umano, fino a raggiungere la misura di Cristo in pienezza (cf. Ef  4,13-16). Nell’Ufficio delle letture del Comune della dedicazione di una chiesa, la Liturgia delle Ore ci propone un brano tratto da un discorso di sant’Agostino, in cui il santo vescovo d’Ippona afferma, tra l’altro: “La dedicazione della casa di preghiera è la festa della nostra comunità. Questo edificio è divenuto la casa del nostro culto. Ma noi stessi siamo casa di Dio. Veniamo costruiti in questo mondo e saremo dedicati solennemente alla fine dei secoli…”

La preghiera dopo la comunione, dopo aver affermato che la Chiesa è il segno visibile della Gerusalemme celeste, chiede al Signore che ci “trasformi in tempio vivo della sua grazia perché possiamo entrare nella dimora della sua gloria”.

domenica 2 novembre 2025

LA GIOIA IN UNA ESPERIENZA RELIGIOSA

 



 

Non c’è forse una gioia che non sia, o che possa non essere, anche esperienza religiosa, e di questa vorrei ora dire qualcosa che possa rimanere nel cuore, e nella memoria di chi voglia leggere queste mie considerazioni, nutrite di psichiatria, ma anche dei pensieri di sant’Agostino e di santa Teresa d’Avila, di Blaise Pascal e di santa Teresa di Lisieux, di madre Teresa di Calcutta e di Dietrich Bonhoeffer, il grande teologo protestante che fu recluso in un carcere berlinese e poi  condotto alla morte, a trentanove anni, nel campo di concentramento di Fossenbürg. Ho già richiamato le sue parole vibranti perché le cose che egli ha scritto sulla gioia sono di una straordinaria bellezza, e sono animate da una fede e da una speranza luminose e incancellabili.

Ascoltiamole ancora, quando la tristezza e l’angoscia scendono in noi: “Come possiamo aiutare chi non ha la gioia e si è perso di coraggio, se noi stessi non abbiamo gioia né coraggio?” E ancora: “In Dio abita la gioia e da lui essa discende prendendo spirito, anima e corpo, e dove questa gioia ha afferrato l’uomo lì essa si propaga e diviene trascinante, lì spalanca porte chiuse”; e un suo ultimo pensiero: “C’è una gioia che non sa niente del dolore, della miseria e dell’angoscia del cuore; essa non ha consistenza, e vale soltanto per dei momenti. La gioia di Dio è passata per la povertà della mangiatoia e la miseria della croce; per questo è insuperabile, inconfutabile”. Alla gioia, mirabilmente descritta da Bonhoeffer, dovremmo sempre guardare come a una stella cometa che non si spenga mai.

La gioia sconfina nella preghiera, e ci fa uscire dai limiti aridi del nostro egoismo, aprendoci agli sconfinati orizzonti della relazione con Dio, e con gli altri, nel contesto di una gioia che non morirà. Madre Teresa di Calcutta diceva alle sue consorelle che ogni missionaria della carità avrebbe dovuto essere testimone di una gioia da far risplendere negli occhi, negli sguardi, nel volto e nelle azioni. Così, tutti, e in particolare i poveri e i sofferenti, avrebbero riconosciuto la presenza della gioia in lei, e nelle sue consorelle. Le parole di madre Teresa: “La gioia è preghiera, è il segno della nostra generosità, del nostro altruismo, dell’unione intima e continua con Dio”. Non dovremmo mai dimenticarlo.

 

Fonte: Eugenio Borgna. Con un ricordo di Vittorio Lingiardi (Vele 23), Giulio Einaudi editore, Torino 2025, pp. 34-36.  

 

venerdì 31 ottobre 2025

COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI – 2 Novembre 2025 1° formulario di Messa


 


 

Gb 19,1.23-27°; Sal 26 (27); Rm 5,5-11; Gv 6,37-40

 

L’intero formulario della Messa è improntato alla “speranza che i tuoi fedeli risorgeremo a vita nuova” (colletta). La speranza cristiana è essenzialmente speranza di fronte alla morte.

Nella prima lettura, Giobbe, a metà del suo tempestoso contendere con Dio, intravede un barlume di speranza. Egli, intuendo che il Dio vivente è della sua parte, fa un atto di fede nella risurrezione: “Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! […] e i miei occhi lo contempleranno”. Chi sia il “redentore” di cui parla Giobbe, lo illustrano le altre due letture. Nel secondo brano biblico, san Paolo afferma che “la speranza non delude” Infatti se quando eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi, può perderci ora che siamo stati da lui “riconciliati” con Dio?. Il brano evangelico conferma che chi crede nel Figlio di Dio ha la vita eterna, ed egli lo risusciterà nell’ultimo giorno. Su questa linea, i cinque prefazi dei defunti esaltano la speranza nella vita futura fondata sulla risurrezione di Cristo. La morte acquista tutto il suo significato solo se riportata alla dimensione e illuminazione cristologica.

Siamo abituati a ricordare in questo mese autunnale di novembre i nostri cari defunti. Nonostante la morte e al di là di essa, noi speriamo che la vicenda storica dell’uomo su questa terra avrà una conclusione positiva. Ci attende non il vuoto, non il nulla, ma l’incontro definitivo con il nostro Redentore. Per il cristiano la morte è una nuova nascita: “come in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita” (antifona d’inizio; cf. 1 Cor 15,22). Con la morte cadono tutti i limiti della nostra condizione terrena per essere liberi pienamente e definitivamente nella totalità della nostra esperienza, portando con noi la nostra storia che in qualche modo ritroveremo in Dio. Con la preghiera del salmo responsoriale, abbiamo esclamato: “Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi”. Sono immagini con cui la Bibbia esprime la beatitudine eterna a cui siamo tutti chiamati.

Il mistero della morte, che si è compiuto nei nostri congiunti, ci invita ad approfondire il senso della vita da cui la morte ricava significato. Tutti abbiamo bisogno di un qualche punto di riferimento, nessuno può vivere senza ideali, senza valori di riferimento. Alla luce di questi ideali cerchiamo di dare un senso alla vita. Per il cristiano, Cristo e il suo vangelo rappresentano l’ideale a cui far riferimento. La vita presente prepara quella futura e definitiva. Nell’aldilà ritroveremo ciò che abbiamo seminato qui. Il pensiero della morte è salutare quando ci incoraggia ad una vita vissuta consapevolmente, quando ci aiuta a non disperdere i doni di Dio che sono in noi.