Devo riconoscere che
l’esistenza di luoghi che richiamino la trascendenza, in un mondo così preso
dalle questioni del quotidiano e dalla corsa al successo che si misura in
quantità di moneta, è di stimolo e di richiamo a questa dimensione dimenticata.
Tale convinzione ha una lunga
storia. E forse il segno più esplicito di questo bisogno si lega all’idea di un
“monastero dei non credenti”, un luogo di “fuga”, o meglio di “rifugio”
temporaneo, lontano dal mondo in cui dedicarsi alla ricerca di Dio partendo da
se stessi, dalla propria interiorità, dai segni, dall’impronta che il Creatore
deve aver lasciato da qualche parte nella mente umana.
Il mondo terreno è oggi ricco
di attrazioni e ha un grande fascino. Si aggiunga la tecnologia che crea
ambienti digitali e community attraenti come i social network.
Richiami a Dio e al cielo sono
quindi utili, anche se dovrebbero limitarsi a luoghi di totale libertà, di
libera ricerca, senza imposizioni, privi di richiami che finirebbero per
rappresentare altre distrazioni.
Il “monastero dei non
credenti” ha ancora per me un grande fascino. Anche perché in questo monastero
si può scoprire di essere credenti. Un luogo dove fare esperienza di Dio. E
basta. Lo si può incontrare dappertutto, ma è più facile qui che in un pub di
Londra.
Fonte: Vittorino Andreoli, Preghiera
del non credente, TS, Milano 2025, pp. 8-86.