Con la morte di papa Francesco
e l’elezione di papa Leone XIV, si sono risvegliati i dibattiti sull’uso della
liturgia di Pio V nella sua edizione del 1962. Ripropongo ai miei lettori, come
meditazione estiva, quanto avevo scritto quattro anni fa.
LE
APORIE DI “SUMMORUM PONTIFICUM”
In questo blog e altrove, ho
più volte segnalato i punti deboli o, mi si permetta di chiamarli, le “aporie”
del Motu proprio “Summorum Pontificum” [SP] con la Lettera ai vescovi che
l’accompagna. Dopo la pubblicazione del Motu proprio “Traditionis custodes”,
queste aporie acquistano una maggior evidenza.
1. Si afferma che il Messale
del 1962 “non fu mai giuridicamente abrogato”. È un’affermazione che
contraddice quanto ripetutamente aveva detto Paolo VI. D’altra parte, esiste il
Pontificio Consiglio per i testi legislativi, “la cui funzione consiste
soprattutto nella interpretazione delle leggi della Chiesa”, e non consta che
questo Consiglio si abbia pronunciato al riguardo.
2. Si riconosce, citando SC
22, che “ogni vescovo è il moderatore della liturgia nella propria diocesi”. D’altra
parte, però si sottrae al vescovo la possibilità di regolare l’uso del Messale
del 1962. A tal punto che la Conferenza dei vescovi della Francia nella
risposta al formulario sull’applicazione del Motu proprio SP inviato dalla
Congregazione per la dottrina della fede, dice, tra l’altro, che “l’autorità
dei vescovi su queste comunità (che celebrano col Messale del 1962) è quasi
nulla”.
3. SP introduce accanto alla
“forma ordinaria” del rito romano (la riforma di Paolo VI) una “forma
straordinaria” dello stesso rito romano (la liturgia del 1962). Rimane
incomprensibile come due Liturgie, con ordinamento di letture diverso,
calendari differenti, testi diversi nei Tempi centrali dell’Anno liturgico,
come cioè due forme espressive diverse della lex orandi possano
realmente armonizzarsi con una lex credendi della Chiesa. Ciò
si può sostenere soltanto se non è il rito in sé ma il significato del rito a
confrontarsi con la lex orandi. In questo modo verrebbe meno una
visione teologica che è maturata nel corso del Movimento liturgico e svanirebbe
una fattiva acquisizione della teologia liturgica postconciliare.
4. Si afferma che “le due
forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda”. Affermazione
ambigua che qualche anno fa ha ispirato ad un Emmo. Cardinale la proposta di
aggiungere nell’offertorio del Messale paolino le preghiere (ad libitum) dell’offertorio
del Messale del 1962.
5. “Ciò che per le generazioni
anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande”. Questa solenne
affermazione, come è stato notato anche recentemente, è un principio che
scatena una vera e propria anarchia, perché si può applicare non solo al Messale
del 1962, ma ad altre espressioni rituali precedenti. Infatti, è noto che
alcuni gruppi che adoperano il Messale del 1962 non accettano il Triduo
pasquale riformato da Pio XII in esso inserito e, nell’occasione, adoperano una
edizione del Messale anteriore a tale riforma.
6. Sembra chiaro che i criteri
con cui la Lettera del 7 luglio 2007 giustifica il ripristino della liturgia
del 1962 sono di carattere soggettivo (desiderio, forma a loro cara, sentirsi
attirati, forma appropriata per loro…). Diverso è il criterio che il card.
Joseph Ratzinger nel 2001, al tempo Prefetto della Congregazione per la
dottrina della fede, esprimeva quando affermava: “Se l'ecclesialità diventa una
questione di libera scelta, se ci sono nella Chiesa delle chiese rituali scelte
secondo un criterio soggettivo, questo diventa un problema. La Chiesa è
costruita sui vescovi secondo la successione apostolica, nella forma di Chiese
locali, quindi con un criterio oggettivo. Io mi trovo in questa Chiesa locale e
non cerco i miei amici, incontro i miei fratelli e le mie sorelle; i fratelli e
le sorelle non si cercano, si incontrano” (Autour de la question
liturgique. Avec le Cardinal Ratzinger, Actes des Journées liturgiques
de Fontgombault 22-24 Juillet 2001, Association Petrus a Stella, Fontgombault,
2001). Permettere di scegliere “à la carte” la propria tradizione rituale
è un modo di ferire gravemente l’unità e la struttura della Chiesa.
Il problema non è solo rituale, ma ecclesiologico.