Papa Francesco è intervenuto
più volte sulla Messa in rito antico, o meglio sull’uso del Messale del 1962.
Serve riavvicinarsi a chi è legato a questa modalità celebrativa?
Nella Chiesa tutti i
battezzati hanno cittadinanza, se ne condividono il Credo e la morale
conseguente. Nei secoli la diversità di riti celebrativi dell’unico sacrificio
eucaristico non ha mai creato problema all’autorità, perché era chiara l’unità
della fede. Anzi, ritengo sia una grande ricchezza la varietà dei riti nel
mondo cattolico. Un rito, poi, non si compone alla scrivania, ma è il frutto di
stratificazione e sedimentazione teologico-cultuale. Mi chiedo se si possa
“vietare” un rito ultramillenario. Infine, se la liturgia è una fonte anche per
la teologia, come vietare l’accesso alle “fonti antiche”? Sarebbe come vietare
lo studio di sant’Agostino a chi volesse riflettere correttamente sulla grazia
o sulla Trinità.
(Dall’intervista al Card.
Robert Sarah, pubblicata nel giornale L’Avvenire del 12.09.2025).
Il card. Sarah parla di un
rito ultramillenario (“vietato”), nel caso specifico, il rito romano nella sua
versione del 1962. Anzitutto, il rito romano nella sua versione del 1962 non è
stato vietato, ma riformato in ossequio a quanto deciso dal Concilio Vaticano
II nella Costituzione Sacrosanctum Concilium. I libri liturgici del 1962
possono sempre essere adoperati come fonti anche per la teologia, e lo studioso
noterà, tra l'altro, che in alcuni aspetti (nel loro linguagio verbale e non verbale) non esprimono
la ecclesiologia del Vaticano II.