Proprio la liturgia, che era
stata il primo oggetto di espressione conciliare e su cui la riforma ha
lavorato a fondo, avviando processi, era diventata, prima di Francesco e
durante il suo pontificato, terreno per eccellenza di resistenza al concilio.
Il vero oggetto del contendere è stato espresso dallo stesso Francesco nel modo
più limpido in Desiderio desideravi, al n. 31: “Sarebbe banale leggere
le tensioni, purtroppo presenti attorno alla celebrazione, come una semplice
divergenza tra diverse sensibilità nei confronti di una forma rituale. La
problematica è anzitutto ecclesiologica”.
La resistenza alla liturgia è
resistenza alla ecclesiologia. Ecco allora, nella prospettiva di futuro che si
apre oggi alla Chiesa cattolica, alcune linee di sviluppo possibile.
a) La pace liturgica: i
padri e i figli del concilio Vaticano II cercavano la pace. Lo hanno fatto con
oscillazioni di giudizio molto grandi. Ricuperare la evidenza dello “sviluppo
organico” della liturgia romana esige la resistenza a cadute ideologiche. Non
vi è alcuna “messa di sempre”. Piuttosto, la messa si è sempre evoluta, secondo
i tempi e le circostanze. Tutta la liturgia è. Insieme, continuità e
discontinuità. Solo così resta viva e vitale, purché assuma la vita nel
mistero, oltre che il mistero nella vita.
b) I simboli rituali:
se la intelligenza del mistero avviene per ritus et preces, tutti i linguaggi
verbali e non verbali devono essere in gioco. Le parole prendono senso del loro
uso e così le azioni. Una accurata elaborazione delle traduzioni – sia delle
parole sia delle azioni – tra diverse culture non ha alcunché di univoco. L’unità
non è garantita da una lingua che nessuno parla e pensa più, ma da accurate
traduzioni tra lingue.
c) I soggetti della azione:
la graduale valorizzazione di tutti i soggetti della celebrazione richiede
anche un linguaggio adeguato. Continuare a parlare, nei libri rituali, di “celebrante”
per indicare “colui che presiede” costituisce la inerzia si un “canone
medievale” rispetto alla nuova coscienza, espressa per esempio dal Catechismo
della Chiesa cattolica, secondo cui “tutti celebrano”. Riconoscere la Chiesa
come “comunità sacerdotale” avrà nel riconoscimento del sacerdozio battesimale
il suo punto di svolta.
d) La custodia del mistero:
infine il tratto più delicato del compito di “formazione liturgica”. Imparare a
dare la parola al rito significa lasciarsi rieducare dai linguaggi più
elementari: dal tatto, dal gusto, dall’olfato, dall’udito e dalla vista. La
Chiesa incontra il suo Signore morto e risorto e diventa il suo Corpo se onora
questa duplice richiesta: di prendere l’iniziativa, con tutta l’autorità, e di
perdere l’iniziativa, rimettendo a Dio ogni autorità. La consapevolezza che
tutta la sua azione prende origine e si compie su questo livello simbolico e
rituale (SC 10) permette di leggere la riforma liturgica davvero come esordio
di una “scuola di preghiera”. A questa idea di Paolo VI Francesco ha creduto di
nuovo, aprendo il campo ad uno sviluppo promettente.
Fonte: Andrea Grillo, “Liturgia”,
in Andrea Grillo – Luigi Mariano Guzzo (edd.), Intra Omnes. Dal popolo di
Dio al conclave, Queriniana, Brescia 2025, pp. 84-89 (qui: 88-89).