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domenica 19 ottobre 2025

LA PROSPETTIVA DI FUTURO DELLA LITURGIA

 



 

Proprio la liturgia, che era stata il primo oggetto di espressione conciliare e su cui la riforma ha lavorato a fondo, avviando processi, era diventata, prima di Francesco e durante il suo pontificato, terreno per eccellenza di resistenza al concilio. Il vero oggetto del contendere è stato espresso dallo stesso Francesco nel modo più limpido in Desiderio desideravi, al n. 31: “Sarebbe banale leggere le tensioni, purtroppo presenti attorno alla celebrazione, come una semplice divergenza tra diverse sensibilità nei confronti di una forma rituale. La problematica è anzitutto ecclesiologica”.

La resistenza alla liturgia è resistenza alla ecclesiologia. Ecco allora, nella prospettiva di futuro che si apre oggi alla Chiesa cattolica, alcune linee di sviluppo possibile.

a) La pace liturgica: i padri e i figli del concilio Vaticano II cercavano la pace. Lo hanno fatto con oscillazioni di giudizio molto grandi. Ricuperare la evidenza dello “sviluppo organico” della liturgia romana esige la resistenza a cadute ideologiche. Non vi è alcuna “messa di sempre”. Piuttosto, la messa si è sempre evoluta, secondo i tempi e le circostanze. Tutta la liturgia è. Insieme, continuità e discontinuità. Solo così resta viva e vitale, purché assuma la vita nel mistero, oltre che il mistero nella vita.

b) I simboli rituali: se la intelligenza del mistero avviene per ritus et preces, tutti i linguaggi verbali e non verbali devono essere in gioco. Le parole prendono senso del loro uso e così le azioni. Una accurata elaborazione delle traduzioni – sia delle parole sia delle azioni – tra diverse culture non ha alcunché di univoco. L’unità non è garantita da una lingua che nessuno parla e pensa più, ma da accurate traduzioni tra lingue.

c) I soggetti della azione: la graduale valorizzazione di tutti i soggetti della celebrazione richiede anche un linguaggio adeguato. Continuare a parlare, nei libri rituali, di “celebrante” per indicare “colui che presiede” costituisce la inerzia si un “canone medievale” rispetto alla nuova coscienza, espressa per esempio dal Catechismo della Chiesa cattolica, secondo cui “tutti celebrano”. Riconoscere la Chiesa come “comunità sacerdotale” avrà nel riconoscimento del sacerdozio battesimale il suo punto di svolta.

d) La custodia del mistero: infine il tratto più delicato del compito di “formazione liturgica”. Imparare a dare la parola al rito significa lasciarsi rieducare dai linguaggi più elementari: dal tatto, dal gusto, dall’olfato, dall’udito e dalla vista. La Chiesa incontra il suo Signore morto e risorto e diventa il suo Corpo se onora questa duplice richiesta: di prendere l’iniziativa, con tutta l’autorità, e di perdere l’iniziativa, rimettendo a Dio ogni autorità. La consapevolezza che tutta la sua azione prende origine e si compie su questo livello simbolico e rituale (SC 10) permette di leggere la riforma liturgica davvero come esordio di una “scuola di preghiera”. A questa idea di Paolo VI Francesco ha creduto di nuovo, aprendo il campo ad uno sviluppo promettente.

 

Fonte: Andrea Grillo, “Liturgia”, in Andrea Grillo – Luigi Mariano Guzzo (edd.), Intra Omnes. Dal popolo di Dio al conclave, Queriniana, Brescia 2025, pp. 84-89 (qui: 88-89).