Il rapporto ritualizzato delle
donne con la morte altrui è vicenda antica. Lo si trova in tempi e luoghi
remoti. Il pianto e il lamento rituali erano pratiche comuni.
Si legge in Ezechiele: “Mi
condusse alla porta del tempio del Signore che guarda a settentrione e vidi
donne sedute che piangevano Tammuz” (Ez 8,14). In questo caso si tratta di una
azione idolatrica, ma riflette un fatto comune in quella società. Nel mondo
mediterraneo il threnos greco, le lamentazioni romane e i molti esempi
folklorici prolungatisi nel tempo riservarono un ruolo rilevante alle donne: le
matrici di vita non potevano restare estranee ai riti che accompagnavano la
fine dell’esistenza.
In altre aree del mondo, sono
testimoniati costumi in cui la presenza femminile è determinante. Malinowski,
nel suo volume dedicato alla Melanesia, riporta un rito in cui, tra l’altro, il
cadavere del defunto, dopo essere stato lavato, unto e coperto di ornamenti, è
disposto su una fila di donne sedute per terra che accarezzano il cadavere,
premono oggetti preziosi sul petto e sull’addome, smuovono leggermente le sue
gambe e ne scuotono la testa al ritmo delle lamentazioni.
La sepoltura di Gesù fu un
atto compiuto in fretta; incombeva il tramonto e con esso il riposo del settimo
giorno. Non c’era tempo per il lamento. Le donne si predisponevano a prendersi
cura del corpo di Gesù. Il racconto evangelico è costruito, fin dalla
sepoltura, per renderle le prime testimoni della resurrezione. Preparano gli
unguenti per la morte e incontreranno la vita.
Non è azzardato concludere che
la mancanza di un esplicito e ufficiale ruolo femminile nella liturgia funebre
cattolica contrasta con un sentire profondo dell’umanità.
Fonte: Piero Stefani, Donne
e sepoltura, in “Il Regno” Attualità 15.05.25, pp. 302-303. Ho fatto una
brevissima sintesi del testo che vale la pena di leggere per intero.
