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sabato 23 gennaio 2016

ARMONIA




 
 


Giuseppe Ungaretti, in una strofa della sua poesia “I Fiumi” scriveva: “Il mio supplizio è quando non mi credo in armonia”. Quando partecipo a certe celebrazioni della Messa piene di parole, canti, rumori e movimenti, mi viene in mente questo testo che il grande poeta scrisse nel 1916, cento anni fa. In siffatte celebrazioni non mi sento in armonia con me stesso e con gli altri.  

Qualcuno ha scritto: “la musica che mi piace dii più è il silenzio”. Intendiamoci, non si tratta di costruire celebrazioni silenziose in cui il prete di spalle al resto dell’assemblea mastica silenziosamente le parole del Messale ed i fedeli si immergono nei loro pensieri talvolta lontani dalla proposta rituale. Si tratta piuttosto di eseguire il rito con “armonia”.

Ci sono silenzi che non costruiscono armonia, silenzi malvagi come diceva Martin Luther King: “La nostra generazione non si rammaricherà tanto dei crimini dei perversi quanto del imbarazzante silenzio dei buoni”. Ci sono silenzi che possiamo chiamare perversi perché distruggono l’armonia del rito, come, ad esempio, quelle Messe in cui nessuno risponde alle parole che il sacerdote rivolge ai fedeli presenti al rito: “il Signore sia con voi”...; “rendiamo grazie al Signore, nostro Dio”...; “Mistero della fede”...; ecc. Quante volte nelle Messe dii funerale, il povero prete si trova dinanzi ad assemblee mute…

Ci sono invece silenzi che costruiscono armonia. Silenzi previsti dal libro liturgico, che vanno rispettati senza però prolungarli in modo tale da interrompere il ritmo della celebrazione. Questi silenzi sono parte della celebrazione, non pause inserite nella celebrazione. C’è poi un modo che possiamo chiamare discreto, mite, silenzioso, lento di adoperare la parola e gli altri linguaggi del rito. La lentezza immerge il partecipante nel cuore della celebrazione, pone i dettagli del rito all’altezza dei sensi e offre i mezzi per appropriarsene subito. Un rito pieno di parole e consumato in fretta è “indigesto”.