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domenica 5 novembre 2017

LA RIFORMA È IRREVERSIBILE



di Matias Augé 

Il discorso di papa Francesco, lo scorso 24 agosto, ai partecipanti alla 68.ma Settimana Liturgica Nazionale, non è stato un discorso di circostanza, ma un importante discorso nitido e articolato sulla liturgia nel momento presente. Ricordati i 70 anni dalla nascita del Centro di Azione Liturgica (CAL), il papa ha subito affermato che in questo arco di tempo nella Chiesa “sono accaduti eventi sostanziali e non superficiali”, tra cui il concilio Vaticano II e la riforma liturgica che ne è sgorgata.

La prima parte del discorso ripercorre le tappe di questa riforma: il movimento liturgico e gli interventi dei Sommi Pontefici, in particolare quelli di Pio X e di Pio XII, fino ad arrivare al Vaticano II e alla Costituzione Sacrosanctum Concilium (SC), “le cui linee di riforma generale rispondevano a bisogni reali e alla concreta speranza di un rinnovamento”. Viene ricordato in seguito Paolo VI, l’artefice della riforma, che egli guidò col suo magistero fino alla morte. Arrivati a questo punto, papa Francesco afferma: “Dopo questo magistero, dopo questo lungo cammino possiamo affermare con sicurezza e con autorità magisteriale che la riforma liturgica è irreversibile”. Parole solenni che hanno stupito ad alcuni e fatto discutere ad altri. Riforma irreversibile? Anzitutto, il papa fa suo il magistero dei pontefici che hanno preparato e attuato la riforma, in particolare quello di Paolo VI che un anno prima della morte diceva ai Cardinali riuniti in Consistoro: “È venuto il momento […] di applicare integralmente nei suoi giusti criteri ispiratori, la riforma da Noi approvata in applicazione ai voti del Concilio”.  La irreversibilità della riforma va capita appunto nel contesto dei “giusti criteri ispiratori” che hanno guidato l’opera dei pontefici e  trovato un autorevole compimento nella Costituzione sulla sacra liturgia.

Interpretare la irreversibilità della riforma come irreversibilità dei riti e dei testi dei libri liturgici è da miopi. La storia ci insegna che sia Pio V che Paolo VI nella promulgazione dei loro Messali hanno usato formule vincolanti: “Quanto abbiamo qui stabilito e ordinato vogliamo che rimanga valido ed efficace, ora e in futuro…” (Costituzione Missale Romanum di Paolo VI). E ciò nonostante, i due Messali hanno avuto nelle successive edizioni tipiche dei cambiamenti più o meno rilevanti, che hanno però rispettato i criteri ispiratori dei rispettivi Messali.

Bisogna quindi muoversi in un’altra direzione: riscoprire i motivi delle decisioni compiute con la riforma liturgica, superare letture infondate e superficiali di essa e ricezioni parziali e prassi che la sfigurano. Il papa vuole “obbedienza pratica, sapiente attuazione celebrativa da parte, prima, dei ministri ordinati, ma anche degli altri ministri, dei cantori e di tutti coloro che partecipano alla liturgia”. E ricorda che “l’educazione liturgica di Pastori e fedeli è una sfida da affrontare sempre di nuovo”.  Alcuni si sono meravigliati che il papa non abbia condannato con più decisione gli abusi che non di rado si verificano nelle celebrazioni liturgiche. Certamente gli abusi vanno combattuti, ma non a scapito degli usi. La riforma va accolta, spiegata se necessario, ma non combattuta.  Non si butta il bambino insieme con l’acqua sporca: “Non si tratta di ripensare la riforma rivedendone le scelte, quanto di conoscerne meglio le ragioni sottese”.

Nella seconda parte del discorso, papa Francesco si è soffermato sul tema che ha animato i lavori del CAL: “Una liturgia viva per una Chiesa viva”. Il papa afferma che “come senza battito cardiaco non c’è vita umana, così senza il cuore pulsante di Cristo non esiste azione liturgica”. Nella liturgia sperimentiamo la comunione con Cristo attraverso “i riti e le preghiere (cf. 48), per quello che sono e non per le spiegazioni che ne diamo”. È un richiamo a rivalutare il linguaggio rituale della celebrazione (parole, gesti, silenzi) senza riempirlo di inutili commenti. L’azione rituale, se eseguita correttamente, parla e comunica da sé.  Il papa ricorda poi, riprendendo quanto dice l’Ordinamento generale del Messale Romano e il Rito della dedicazione di un altare. che “tra i segni visibili dell’invisibile Mistero vi è l’altare, segno di Cristo, pietra viva…” L’altare costituisce il centro verso cui “si orienta lo sguardo degli oranti”. Il lungo paragrafo dedicato alla centralità dell’altare, sembra che intenda dare una risposta al dibattito odierno sull’orientamento nella celebrazione “rivolti al Signore”.

Col suo tipico linguaggio, papa Bergoglio afferma che “per sua natura la liturgia è ‘popolare’ e non clericale”.  È l’azione che Dio compie in favore del suo popolo, ma anche l’azione del popolo che ascolta Dio e reagisce lodandolo e invocandolo. Come aggiunge SC, 33, le preghiere rivolte a Dio dal sacerdote che presiede l’assemblea, vengono dette a nome di tutto il popolo santo e di tutti gli astanti. La liturgia va partecipata “consapevolmente, piamente, attivamente” (SC, 48). Ed è una liturgia inclusiva e non esclusiva. Riprendendo quanto egli stesso aveva detto nell’omelia della solennità del SS.mo Corpo e Sangue di Cristo di quest’anno, papa Francesco afferma: “L’Eucaristia non è un sacramento ‘per me’, è il sacramento di molti che formano il suo corpo, il santo popolo fedele di Dio”.

Non sono mancati coloro che hanno affermato che il grande assente nel discorso è Benedetto XVI. Noto che il motu proprio Summorum Ponatificum non forma parte del processo di riforma voluto dal Vaticano II. Sarebbe però meschino  contrapporre papa Francesco a Benedetto XVI che, da Sommo Pontefice, non ha parlato mai di “riforma della riforma” e nella Lettera che accompagna il suddetto motu proprio parla del “valore e santità del nuovo rito” nonché della “ricchezza spirituale e la profondità teologica del Messale di Paolo VI”. Ricchezza spirituale e profondità teologica che papa Francesco ci invita a approfondire e interiorizzare.

Il discorso di papa Francesco sconfessa il pessimismo sulla riforma liturgica che serpeggia in alcuni ambienti ecclesiali e traccia la strada da percorrere per il futuro.

                                                                                              
Pubblicato in Vita Pastorale di Novembre 2017, pp. 56-57