Translate

domenica 23 giugno 2019

USI E ABUSI IN LITURGIA






Una serie di interventi apparsi nel fascicolo n. 334 (maggio-giugno 3/2019) della Rivista di Pastorale Liturgica mi hanno interessato in modo particolare per la tematica di cui si occupano. Mi riferisco agli articoli di Giuseppe Laiti, Andrea Grillo, Daniele Piazzi e Marco Gallo – Michele Roselli. Riassumendo, possiamo dire che tutti questi autori si domandano in qualche modo se sia possibile una certa “creatività” nella celebrazione liturgica e se essa sia da considerarsi sempre un abuso o, semplicemente, un nuovo uso. 


C’è un uso “abusivo” della liturgia, non creativo ma “difettoso”, di cui si parla poco e che in genere non sembra preoccupare troppo all’autorità della Chiesa, a cui “compete unicamente regolare la sacra liturgia” (SC 22, § 1), perché di fatto si tratta di un uso rispettoso della lettera del rituale, che non introduce cambiamenti di sorta ma è fedele a quanto prescrive il libro liturgico. Tuttavia, è vero che la semplice ripetizione “materiale” del rito non garantisce da sé stessa quella partecipazione conscia, pia e attiva, di cui parla SC 48. Non di rado, le nostre celebrazioni sono di scarsa qualità, mancano di incisività. Come dice Giuseppe Laiti, “non si tratta semplicemente di fare, ma di lasciarsi coinvolgere” (p. 12)


È vero che il rito richiede accoglienza e coinvolgimento. Mi domando però se il coinvolgimento richiesto dal rito esiga anche una creatività. Si afferma infatti che “la celebrazione è sempre creativa” (p. 10). Se per creatività intendiamo che l’assemblea celebra come un corpo vivo come fa, ad esempio, una orchestra quando interpreta uno spartito in modo più o meno originale, non c’è dubbio che ogni celebrazione è, o dovrebbe essere, creativa. Se invece si tratta di una creatività che incoraggia dei cambiamenti nei riti e nelle preghiere della celebrazione, il problema è diverso, anche quando “i cambiamenti non introducono deformazioni” (p. 12). Credo infatti che non basti questo criterio per giustificare un uso “creativo” della liturgia. 


Daniele Piazzi nel suo intervento Nuova eucologia: sempre un abuso? (pp. 28-31), afferma che in questo settore ci sono dei “tentativi ‘fuorilegge’, ma interessanti e perfettibili”, e cita al riguardo le proposte della pubblicazione Servizio della Parola. L’autore propone la creazione di una serie di nuovi testi eucologici (prefazi, embolismi del Padre nostro, ecc.) e si domanda se “davvero tutta e sempre l’eucologia che non è ufficialmente ratificata, ma è ispirata alla Scrittura ed è rispettosa degli stilemi liturgici di una famiglia rituale sia della lingua della assemblea che prega, è per forza un abuso”.  


Certamente, come afferma Andrea Grillo (p. 20), tra il Ritus servandus del Messale Tridentino e il Ritus celebrandus (vedi l’Institutio generalis) del Messale di Paolo VI, c’è una diversità di impostazione. Secondo me, questa diversità di impostazione può essere descritta nei seguenti termini: ad una visione semplicemente normativa del Messale Tridentino, subentra nel Messale di Paolo VI una visione della celebrazione non solo normativa ma anche dottrinale e orientata alla sua applicazione pastorale. Si tratta quindi di norme, che sono al servizio della partecipazione conscia, pia e attiva dell’assemblea. Fino a che punto si può andare oltre le norme del ritus celebrandus con il lodevole scopo di favorire una partecipazione più intensa dell’assemblea all’azione rituale? Farlo sarebbe semplicemente un “nuovo uso” o un “abuso”? 


Queste brevi osservazioni esprimono anzitutto una mia perplessità suscitata dalla lettura degli interventi sopra citati. Vorrei che le mie parole fossero interpretate come un invito ad approfondire la tematica più che come una critica, avendo anche presente che molte delle cose che si dicono in questi interventi possono essere lette in modo poco illuminato e diventare nella prassi e in casi determinati, veramente e propriamente degli abusi. Non credo che la lotta agli abusi in liturgia sia una priorità. Tuttavia ogni iniziativa privata non può dimenticare che “le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa stessa…” (SC 26). 

                                                                              M. Augé