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domenica 19 gennaio 2020

IL SACERDOZIO MINISTERIALE




L’uso del linguaggio sacerdotale applicato a quello che oggi definiamo ministero ordinato o presbiterale – semplicemente i “sacerdoti – è tardivo rispetto ai testi neotestamentari, appare soltanto nel IV secolo e non è privo di ambiguità: rischia di confondere i piani e addirittura di neutralizzare la novità dell’evento di Gesù Cristo, principio e forma del sacerdozio della nuova alleanza.

È tuttavia inevitabile che il “vecchio” continui a riaffiorare, che si parli ancora di “nuovi leviti”, che si sacralizzino luoghi, vesti, atteggiamenti in riferimento all’Antico Testamento. Si giunge così ad appropriare al presbitero il termine “sacerdote”, riservato al popolo di Dio, di cui anch’egli fa parte, come se il sacerdozio fosse una sua prerogativa esclusiva, con rischio di innalzarlo al di sopra del popolo, anziché collocarlo al suo posto di servizio, fino quasi a non riconoscere più l’originale dignità sacerdotale e regale della comunità dei fedeli. Vi è certamente una distinzione tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale, ma distinzione che non dovrebbe mai esprimersi nel distacco, nella lontananza, nella separazione, favorita da una ritualità esasperata, attenta alle minuzie, agli abiti ricercati, a marcare le distanze, a rivendicare presunte dignità con una serie di titoli altisonanti e altrettanto privi di significato, che si sono accumulati nel corso dei secoli.

La purità delle mani sacerdotali non è più quella dell’Antico Testamento, ma quella che deriva dall’aver lavato i piedi sporchi, dall’aver toccato la carne di Cristo nei poveri. La sacralità della liturgia non è data dai riti, ma dal clima di fraternità e semplicità che regna nel cenacolo e che deve informare le nostre celebrazioni. Il presbitero non può “salire” l’altare (espressione comunque ambigua, perché non esprime la realtà del sedersi attorno alla stessa mensa) se prima non ha condiviso nella ferialità il sacerdozio regale con i suoi fratelli e sorelle, che rimangono tali – fratelli e sorelle – anche dopo la sua ordinazione presbiterale e verso i quali egli rimane fratello, espressione di tutto il popolo di Dio, uno del popolo, che si identifica col popolo e nel quale il popolo si sente espresso e identificato. Allora e solo allora, con loro e per loro, può fare la “memoria” del Signore.


Fonte: Fabio Ciardi, Il Cenacolo. La nostra casa, Rogate, Roma 2019, 62-63.