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domenica 4 ottobre 2020

PREGHIERA E POESIA

 


 

Il nuovo protagonismo delle fedi apre lo scenario a un’epoca postsecolare dove le religioni entrano nel dibattito democratico, spronando le istanze culturali e politiche a un reciproco apprendimento in forza del bene comune. In questo nuovo orizzonte si sono modificato categorie e paradigmi di interpretazione del reale con cui il cristianesimo deve fare i conti per elaborare nuove modalità narrative e immaginative, perché il Vangelo possa avere ancora rilevanza in uno spazio condiviso con altre visioni della vita.

 

Mariangela Petricola ha affrontato questa problematica nel suo recente volume: Teologia e spazio pubblico. Cristianesimo e nuove narrazioni (Cittadella, maggio 2020). Da quest’opera propongo alcuni brani sul rapporto tra preghiera e poesia.

 

“La preghiera come linguaggio della soglia, della periferia esistenziale, trova nel linguaggio poetico un alleato. Le sue risorse sono più ampie rispetto a quelle del linguaggio discorsivo, può suscitare risonanze di senso più ricche e adeguate ad interpretare le sfumature dell’esistenza per poter raggiungere anche quella più lontana dell’esperienza di fede, riuscendo a dare voce pure all’invocazione di chi non crede, perché pregare non è questione meramente religiosa ma umana.

In questo senso più inclusivo si annullano le barriere divisorie tra fede e incredulità e si tocca con mano la concretezza del vivere con tutte le sue comuni espressioni di imprecazione o di ringraziamento, dove a prevalere è la dimensione apofatica del Dio nascosto e incomprensibile. Si può pensare alla poesia come ad un linguaggio più laico, feriale, che raccoglie la voce di chi non riesce ad esprimersi o a ritrovarsi nel linguaggio canonico della preghiera cristiana.

[…]

La poesia invita a prendere coscienza che c’è sempre di più di quanto normalmente siamo disposti ad ammettere, ci educa alla pluralità semantica e simbolica delle parole che meglio ci avvicinano alla Scrittura, ci sprona ad un’ermeneutica più libera e creativa. E allora la contiguità e reciprocità feconda dei linguaggi, filosofico, teologico, poetico, ci indica una direzione, quella dello sconfinamento cordiale dei rispettivi parametri epistemologici nell’esercizio rispettoso della propria singolarità”

[…]

(pp. 114-119)