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venerdì 5 febbraio 2021

DOMENICA V DEL TEMPO ORDINARIO ( B ) – 7 Febbraio 2021

 


 

 

Gb 7,1-4.6-7; 146; 1Cor 9,16-19.22-23; Mc 1,29-39

 

 La liturgia odierna ci invita a riflettere sullo scandalo del dolore nella nostra vita. I lamenti del giusto Giobbe, di cui parla la prima lettura, sono espressione classica di quella continua ricerca di una risposta al senso della sofferenza che percorre la storia dell’umanità e d’ognuno di noi. A Giobbe non viene condonato nulla, la sua sofferenza non è soggetta a sconti. Sprofondato nella tristezza del tempo volato via in fretta e del bene perduto ormai irrimediabilmente, l’avvilimento di Giobbe è così profondo che egli non intravede altro futuro che la morte. Giobbe grida la sua ribellione contro questa situazione, entra in discussione con Dio e da lui vuole una spiegazione. Ecco quindi che al colmo dell’angoscia, che le considerazioni dei suoi amici non riescono ad alleviare, Giobbe si rivolge a Dio, sperando contro ogni speranza in qualcuno che lo libererà dal baratro in cui giace.

 

La risposta di Dio agli interrogativi di Giobbe e di tutta l’umanità sofferente non è una filosofia o un convincente ragionamento. La risposta definitiva al mistero della sofferenza ci viene data con l’avvento di Cristo, il quale è presentato da san Marco già all’inizio della sua vita pubblica (cf. vangelo) come colui che è efficacemente solidale con i nostri mali ed è quindi capace di liberarci dalla nostra situazione di sofferenza. In questa intensa giornata a Cafarnao, Gesù dopo aver guarito la suocera di Pietro che era a letto con la febbre, guarisce molti malati e indemoniati che vengono condotti a lui. Le guarigioni operate da Gesù, che lo accompagneranno poi durante tutta la sua vita pubblica, sono segno visibile dell’azione sovrana di Dio che in Cristo “risana i cuori affranti e fascia le loro ferite” (salmo responsoriale). Come ricorda il canto al vangelo, “Cristo ha preso le nostre infermità e si è caricato delle nostre malattie” (Mt 8,17).

All’immagine di Gesù che percorre tutta la Galilea predicando il vangelo e sanando i malati corrisponde l’immagine di san Paolo (cf. seconda lettura) che si fa tutto a tutti per guadagnare quanti più è possibile alla causa del vangelo. Per l’apostolo la predicazione del vangelo non si esaurisce in un insegnamento teorico, ma diventa personale partecipazione alla situazione di coloro cui si rivolge.

 

Concludendo questa breve riflessione, è doveroso che ne traiamo alcune conseguenze per noi. L’esperienza della sofferenza è in sé una situazione ambigua, può far attecchire l’erba velenosa della disperazione o far sbocciare il fiore della speranza. Alla luce della nostra fede, la sofferenza non è assurda. Anche se può sembrare paradossale, l’esperienza della sofferenza può costituire un momento di crescita ed essere poi il primo passo per aprirsi al desiderio della salvezza che Cristo annuncia e comunica.