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domenica 7 febbraio 2021

UNA LITURGIA CONTACTLESS?

 

 

Il Comunicato finale del Consiglio permanente della CEI del 26 gennaio scorso, afferma, tra l’altro: “I Vescovi si sono confrontati sul Rito della pace nella Messa e hanno deciso di ‘ripristinare’, a partire da Domenica 14 febbraio, un gesto con il quale ci si scambia il dono della pace, guardandosi negli occhi o facendo un inchino del capo”.

https://www.chiesacattolica.it/consiglio-permanente-del-26-gennaio-il-comunicato-finale/


Dato che in tempo di pandemia, non è opportuno darsi la mano, la Conferenza Episcopale Italiana ha stabilito che nello scambio del dono della pace nella celebrazione eucaristica possa essere sufficiente guardarsi negli occhi o fare un inchino del capo. Volgere gli occhi per intercettare quelli del vicino e accennare un inchino, secondo i Vescovi, può esprimere in modo eloquente, sicuro e sensibile, la ricerca del volto dell'altro, per accogliere e scambiare il dono della pace, fondamento di ogni fraternità. C'è però una maggior possibilità di espressione: le scarne parole della CEI non vietano, a mio avviso, di arricchire l'inchino con altri gesti come, ad esempio, poggiare la mano sul cuore o chinare la testa con le mani giunte. 


 





La Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, in una nota del 12.01.2021, dispone che in tempo di pandemia l’imposizione delle ceneri all’inizio della Quaresima sia fatta nel modo seguente: benedette le ceneri, il sacerdote rivolto ai presenti dice una volta sola la formula: “Convertitevi e credete al Vangelo”, oppure “Ricordati, uomo, che polvere tu sei e in polvere ritornerai”. Quindi, indossata la mascherina, impone le ceneri lasciandola cadere sul capo di ciascuno senza dire nulla.

http://www.cultodivino.va/content/cultodivino/it/documenti/note/nota-mercoledi-delle-cenere/italiano.html



 

È doveroso osservare queste norme, ma al tempo stesso bisogna ricordare alcuni principi importanti su ciò che possiamo chiamare la dimensione corporea dell’azione liturgica. La liturgia vive di linguaggi corporei. È tutto il corpo che parla, ascolta, canta, mangia, ecc., assumendo di volta in volta le posizioni e gli atteggiamenti corrispondenti al dinamismo della celebrazione. Il corpo è lavato, unto, profumato, incensato. Parlare di partecipazione interna e di partecipazione esterna come di due momenti diversi e separabili, è ambiguo e deviante. Il Concilio Vaticano II ha avuto il merito di condensare in una espressione lapidaria e ormai nota le modalità della partecipazione: “per ritus et preces id [= mysterium fidei] bene intellegentes” (SC 48). I riti e le preghiere non sono una realtà esterna, ma sono la mediazione con cui si accede al mistero che si celebra. In tempo di pandemia, costretti a ridurre al minimo alcuni gesti rituali, corriamo il rischio di affidarci alle parole del rito, al linguaggio verbale. Non dobbiamo dimenticare che il linguaggio verbale va collocato all’interno della vivacità espressiva della gestualità liturgica.