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domenica 16 gennaio 2022

I CANTI DELL’ALBA MESSIANICA ADOPERATI NELLA LITURGIA DELLE ORE

 



Il Magnificat si apre con una voce solista che parla in prima persona: “Anima mia […] mio spirito […] mio salvatore […] la sua serva […] mi chiameranno beata […] ha fatto in me […]”. Poi è coinvolto tutto il coro dei “poveri del Signore” (in ebraico gli ‘anawim), cioè i giusti e fedeli già presenti nell’Antico Testamento, che elencano in sette verbi greci all’aoristo le azioni salvifiche di Dio, in difesa degli ultimi e dei miseri contro i potenti e i ricchi della terra: “Ha spiegato la potenza […] ha disperso i superbi […] ha rovesciato i potenti […] ha innalzato gli umili […] ha ricolmato gli affamati […] ha respinto i ricchi […] ha soccorso Israele […]”.

 

È un canto della Chiesa delle origini – almeno nello stato attuale della citazione lucana – che è messo sulle labbra di Maria per esaltare le scelte di Dio, estrose e sconcertanti agli occhi degli uomini. “Dio ha scelto ciò che è debole per confondere i forti, ciò che ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono”, scriveva Paolo nella Prima lettera ai cristiani di Corinto (1,27-28).

 

In parallelo al Magnificat può essere posto il cantico intonato da Zaccaria, il padre del Battista, dopo la nascita del figlio. Intitolato anch’esso dalla tradizione con la prima parola della versione latina, Benedictus, l’inno si compone nell’originale greco di Luca di due sole frasi monumentali (Lc 1,68-75 e 76-79). È quasi una sintesi di tutta la storia biblica che sta ora approdando al suo apice. La promessa e l’alleanza divine, che avevano avuto le loro tappe più significative in Abramo e in Davide, ora in Cristo raggiungono la loro pienezza.

 

[…] L’ultimo canto che Luca incastona nel tessuto narrativo del suo “Vangelo dell’infanzia” è pronunciato nel tempio di Gerusalemme da “un uomo giusto e timorato di Dio” di nome Simeone (2,25.35). Egli raffigura tutta l’attesa dell’Israele fedele che riconosce nel piccolo Gesù, presentato al tempio per essere riscattato come tutti i primogeniti ebrei (considerati appartenenti a Dio, secondo la norma biblica presente in Es 13), l’attuazione della sua speranza. Egli pronuncia anche un severo oracolo sulla storia futura, che sarà quasi lacerata dalla presenza di Cristo: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori” (2,34).

 

Ma il suo canto è dolce, è il Nunc dimittis, così chiamato dalle prime parole della versione latina di san Girolamo: “Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, da te preparata davanti a tutti i popoli, luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo Israele” (2,29-32). Il breve “salmo” di Simeone, fin da V secolo è divenuto la preghiera serale del cristiano, il canto della Compieta, l’orazione liturgica serale. Anzi, c’è chi ha ipotizzato che questo fosse il canto funebre di un fedele giusto, messo in bocca a Simeone.  

 

Fonte: Gianfranco Ravasi, Biografia di Gesù secondo i Vangeli, Raffaello Cortina Editore, Milano 2021, 157-158.