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domenica 1 maggio 2022

Sal 130 (131) Confidare in Dio come il bimbo nella madre

 



1 Canto delle salite. Di Davide.
Signore, non si esalta il mio cuore
né i miei occhi guardano in alto;
non vado cercando cose grandi
né meraviglie più alte di me.
2 Io invece resto quieto e sereno:
come un bimbo svezzato in braccio a sua madre,
come un bimbo svezzato è in me l'anima mia.
3 Israele attenda il Signore,
da ora e per sempre.

 

La Liturgia delle Ore propone il Sal 130 nell’Ufficio delle letture del sabato della prima settimana (nel Tempo ordinario) e nei Vespri del martedì della terza settimana. Come sottotitolo si cita Mt 11,29: Imparate da me che sono mite ed umile di cuore.

Il salmo viene chiamato “canto delle salite” (v. 1). Era, infatti, cantato dai pellegrini quando salivano verso Gerusalemme. Un testo breve, che esprime una profonda fiducia in Dio, Considerato da molti biblisti il poema più bello dell’intero Salterio, uno dei più preziosi nel cammino della nostra ascensione spirituale. L’orante non sollecita nulla, esprime soltanto la sua grande fiducia in Dio.

Il v.1, costruito mediante una triplice antitesi, descrive l’opposto alla fiducia in Dio, cioè l’atteggiamento orgoglioso del superbo: un cuore che si esalta, occhi altezzosi che guardano gli altri assumendo atteggiamenti di superiorità, piedi che camminano alla ricerca di cose grandi, superiori alle proprie forze. In questo primo versetto c’è un’ammonizione ai presuntuosi che vanno dietro a sogni o progetti troppo grandi, che frequentemente sono immaginazioni fantasiose della loro mente. Concetti simili troviamo in altri libri dell’Antico Testamento. Così, ad esempio, Geremia rimprovera, in nome di Dio, il suo collaboratore Baruc: “Dice il Signore: Ecco io abbatto ciò che ho edificato e sradico ciò che ho piantato; così per  tutta la terra. E tu vai cercando grandi cose per te? Non cercarle, poiché io manderò la sventura su ogni uomo. Oracolo del Signore. A te farò dono della tua vita come bottino, in tutti i luoghi dove tu andrai”  (Ger 45, 4-5). E nello stesso Salterio, l’autore del Sal 17 (18) è consapevole che il Signore “salva il popolo dei poveri, ma abbassa gli occhi dei superbi” (v. 28).

Possiamo interpretare questo primo versetto come una specie di confessione che il salmista fa dinanzi al Signore di quei sentimenti che talvolta si impadroniscono della sua mente e che egli riconosce come qualcosa che va rifiutato. Questa confessione sarebe incompleta senza il v. 2. Dopo il cuore, gli occhi e i piedi, si fa riferimento alla persona umana come un essere di desideri ed emozioni per esprimere in forma positiva l’atteggiamente profondo dell’orante dinanzi al suo Dio: egli si sente sicuro nelle braccia del Signore come un bambino piccolo si può sentire sicuro nelle braccia di sua madre. Il salmista non si considera solo un bambino piccolo; il testo originale si può tradurre “un bimbo appena svezzato”, di due o tre anni. In questo caso, il bambino non vede sua madre solo come fonte di nutrimento, ma instaura con essa un rapporto più consapevole di affetto e d’intimità. Con questa immagine materna si parla di Dio, secondo le modalità con cui Egli si ci rivela nella Sacra Scrittura: “Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia” (Os 11,4), parole indirizzate ai figli d’Israele che il profeta pone nella bocca di Dio. Anche altri profeti, come Isaia, si esprimono in modo simile: “Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati” (Is 66,13). In risposta a questo rivelarsi materno di Dio, il credente vive con gioia il presente senza fare piani e progetti a lunga scadenza, saddisfato di accogliere nella pace il dono di Dio.

Qualcuno potrebbe sospettare che questo salmo descriva una situazione idilliaca, frutto della fantasia, qualcosa impossibile di essere vissuto in questo mondo e, quindi, illusorio ed egoista. Questa interpretazione è smentita dalla parte finale del salmo, il v. 3. Qui il testo passa dal singolare al plurale, ossia alla comunità: “Israele attenda il Signore, da ora e per sempre”. Con questa esortazione, l’orante si pone in un atteggiamento di attesa, a cui invita l’intero popolo credente. Alla luce della presenza e del contesto in cui si adopera il verbo attendere/sperare nel Salterio, si può affermare che il Sal 130 descrive una situazione in cui l’abbandono e la fiducia sono passati attraverso il vaglio della prova e della sofferenza, ossia della vita concreta e reale. Possiamo spingerci oltre. Sperare nel Signore significa anche ridimensionare, purificare e semplificare altre molte attese che si annidano nel nostro cuore.

Troviamo frequentemente nei commenti moderni la lettura del Sal 130 in chiave di elogio dell’umiltà. Lettura fondata su un’ampia base di interpretazioni antiche. Si tratta, quindi, di una interpretazione tradizionale del salmo. Nel testo del nostro salmo, l’umiltà è in rapporto con la figura del bambino, ossia dell’infanzia. Lo stesso Gesù ha adoperato più volte questa immagine come esempio di umiltà. San Matteo ci racconta che in una certa occasione i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli domandarono chi era il più grande nel regno dei cieli? Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: “In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli” (Mt 18,3-4; Mc 10,15; Lc 10,21). Lo stesso Gesù si presenta come colui che “non è venuto a farsi servire, ma per servire…” (Mt 20,28). E la lettera ai Filippesi ci invita ad avere gli stessi sentimenti di Cristo Gesù, che “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo” (Fil 2,6-7). Anche Maria, la madre di Gesù, si dichiara “la serva del Signore” (Lc 1,38).

Su questi e altri testi simili è fondato il chiamato “cammino dell’infanzia spirituale” di santa Teresa del Bambin Gesù. Secondo la santa di Lisieux, la santità non consiste in tale o quale pratica; consiste in una disposizione del cuore che ci rende umili e piccoli nelle mani di Dio, consapevoli della nostra debolezza e pienamente fiduciosi nella bontà del Padre. Il cammino dell’infanzia spirituale condurrà questa santa alle più alte esperienze mistiche con un profondo senso di abbandono e di speranza in Dio. Santa Bernardette, contemporanea di Teresa, diceva semplicemente: “Amo tutto ciò che è piccolo”.

È evidente che né il salmo, né Gesù, ne santa Teresa ci invitano ad un cammino di regressione psicologica, a negare il cammino di maturazione umana percorso, o a tornare indietro ad una mitica, inesistente innocenza infantile. Colui che intende in questo modo l’infanzia spirituale, oltre ad assumere atteggiamenti fisici e spirituali ridicolmente infantili, va incontro ad un rischio che con grande acutezza ha evidenziato sant’Agostino commentando proprio il salmo 130: “C’è della gente che, ascoltando discorsi sull’obbligo dell’umiltà, si deprimono e rifiutano d’imparare anche le cose più elementari, convinti che, se progrediranno nella scienza diverranno per forza superbi: per cui rimangono sempre al livello del latte. Per costoro c’è un rimprovero nella [stessa] Scrittura, là dove si dice: Vi siete costretti ad avere bisogno di latte invece del cibo solido (Eb 5,12)Difatti, se Dio vuole che ci nutriamo di latte, non è perché rimaniamo sempre bisognosi di latte ma perché, nutriti di latte, cresciamo fino a renderci capaci di cibo solido”.

Si tratta, quindi, di un atteggiamento che possiamo chiamare di “infanzia matura” (il contrario di tante maturità secondo il registro civile, che sono invece vissute in modo infantile). Si tratta di avere un atteggiamento di sorpresa, di stupore: lo stupore del bambino è il motore interno che in modo naturale lo conduce a scoprire il mondo che lo circonda; un atteggiamento di fiducia nella sincerità e bontà delle azioni umane. È così che si dimostra di essere maturi, senza cadere nell’orgoglio e nell’arroganza, perché si ha imparato a non avere potere sugli altri, a conservare un atteggiamento di apertura e una posizione di ascolto. In poche parole, possiamo riassumere dicendo con san Paolo: “Siate sottomessi gli uni agli altri” (Ef 5, 21). Essere capaci di questa sottomissione significa essere maturi senza esaltarsi, conservando lo stupore dei bambini, lo stupore tranquillo e pacifico di colui che gode del presente come di un dono del Signore sempre rinnovato. Platone diceva che il principio della filosofia, dell’amore per la sapienza, non è altro che lo stupore; lo stupore di colui che ogni giorno accetta di essere svezzato dalla durezza della vita senza perdere la fiducia in Dio, ossia di colui che dinanzi alle prove della vita riposa tranquillo e fiducioso nelle braccia del Signore.

 

Preghiera:

Donaci, Signore, di accettarci come tu stesso ci accetti, con i nostri limiti e le nostre debolezze; e di seguirti in umiltà di cuore con la semplicità e la serenità dei fanciulli.

 

Bibliografia: Spirito Rinaudo, I salmi preghiera di Cristo e della Chiesa, Elle Di Ci, Torino-Leumann 1973; David M. Turoldo – Gianfranco Ravasi, “Lungo i fiumi… I Salmi. Traduzione poetica e commento, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1987; Angel Aparicio – José Cristo Rey García, I Salmi preghiera della comunità. Per celebrare la Liturgia delle Ore, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1995; Vincenzo Scippa, Salmi, volume 1. Introduzione e commento, Messaggero, Padova 2002; Ludwig Monti, I salmi: preghiera e vita, Qiqajon, Comunità di Bose 2018; Temper Longman III, I salmi. Introduzione e commento, Edizioni GBU, Chieti 2018; Vincenzo Bonato, I Salmi. Pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l’intelligenza, Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia 2021.