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venerdì 22 maggio 2020

DOMENICA VII DI PASQUA - ASCENSIONE DEL SIGNORE (A) – 24 Maggio 2020




At 1,1-11; Sal 46; Ef 1,17-23; Mt 28,16-20

Il Sal 46 celebra, con il trionfale ingresso dell’arca dell’alleanza nel tempio, la gloria di Dio, re universale e sovrano cosmico, che ascende sul trono, da lui stabilito in mezzo al popolo eletto, e dal quale estende il suo dominio su tutta la terra. Questo salmo acquista tutto il suo senso nella prospettiva messianica; perciò la Chiesa lo canta oggi, solennità dell’Ascensione del Signore: con la sua ascensione, Cristo è stabilito re dei secoli, Signore dell’universo, sacerdote e mediatore unico tra Dio e gli uomini, capo del suo corpo mistico. L’ascensione di Cristo al cielo è il momento culminante della pasqua del Signore: il suo trionfo e la sua glorificazione personale dopo l’apparente disfatta della morte in croce.

Il racconto dell’evento dell’ascensione del Signore è affidato alla prima lettura, costituita dai versetti iniziali degli Atti degli Apostoli. Tuttavia la preoccupazione maggiore dei brani della Scrittura che vengono proposti oggi alla nostra attenzione è di dare indicazioni sul senso del tempo che noi stiamo vivendo tra l’ascensione del Signore e il suo ritorno alla fine dei tempi. San Paolo nella seconda lettura parla della speranza che l’ascensione di Cristo inaugura. Cristo, entrando nel mondo di Dio, rende accessibili a tutti noi le realtà divine. Guidati da questa speranza, siamo in grado di valutare in modo giusto le realtà terrene. Gesù è passato in mezzo a tutte queste realtà del mondo tenendo fisso lo sguardo verso il Padre, senza deviare dalla strada della sua missione. La solennità dell’Ascensione è certamente un invito a guardare in alto e lontano, oltre le lotte e i limiti del tempo presente, ma non certo per restare inoperosi nella contemplazione di quel mondo che è oltre il tempo e lo spazio. Il “cielo” è una nostalgia giusta, una promessa sicura, perché Cristo lo ha reso accessibile; ma non per questo deve far dimenticare il cammino che dobbiamo percorrere perché diventi una concreta realtà per tutti noi. Il cielo diventa alienazione e inganno se ci distoglie dalle sue premesse nella storia, dai nostri compiti attuali. Il messaggio cristiano non è evasione religiosa, disimpegno del quotidiano, fuga dalla realtà. Il messaggio cristiano è il lievito che deve trasformare la realtà quotidiana indirizzandola verso il traguardo di Dio. Perciò questo messaggio è destinato ad essere annunciato a tutti gli uomini.

Infatti, Gesù congedandosi dei discepoli, li invia in missione. Il breve brano del vangelo d’oggi è tutto incentrato su queste parole di Gesù: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque a fare discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Se il fatto della missione rende la Chiesa apostolica, cioè inviata nel mondo, i destinatari la rendono cattolica, cioè universale. Una caratteristica quest’ultima che si rende visibile quando la comunità cristiana non appare chiusa in se stessa, ma aperta a tutti, veramente incarnata in ogni situazione e travaglio umano, totalmente presente al mondo per il suo servizio. Solo allora il termine cattolica acquista il suo pieno senso. La missione della Chiesa ha il compito di incontrare l’uomo e di condurlo al di là di se stesso, a Cristo. Il ritorno di Cristo al Padre inaugura quindi il cammino della Chiesa e della sua missione nel mondo per condurre tutti gli uomini con Cristo al Padre.

Nell’eucaristia la Chiesa pellegrina sulla terra riaccende continuamente la speranza della patria eterna (cf. orazione dopo la comunione).