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domenica 14 marzo 2021

UNA DICHIARAZIONE CRITICA DEL CARD. RAYMOND BURKE SULLE NUOVE NORME CHE DISCIPLINANO LA CELEBRAZIONE DELLE MESSE NELLA BASILICA DI SAN PIETRO

 



 

Lo scorso 12 marzo, la Prima sezione della Segreteria di Stato di Papa Francesco ha pubblicato un Documento che disciplina la celebrazione delle Sante Messe nella basilica di San Pietro.  Il Card. Raymond Leo Burke sul suo sito internet ha rilasciato una Dichiarazione critica sia sulla forma che sui contenuti del suddetto Documento:

https://www.cardinalburke.com/presentations/statement-on-the-offering-of-the-holy-mass-in-the-papal-basilica-of-saint-peter

 

Lasciando in disparte le critiche sulla forma del Documento, intendo fare qui una breve riflessione sulle critiche che la Dichiarazione fa ai contenuti del Documento. Possiamo riassumerle dicendo che le sei osservazioni critiche si muovono nell’ambito del “minimo necessario ad validitatem”.

 

La Dichiarazione nega che la prassi finora in vigore abbia generato una mancanza di “di raccoglimento e di decoro”, come sembrerebbe affermare il Documento. Ci si potrebbe domandare però se è decoroso e dignitoso che più sacerdoti celebrino soli e simultaneamente l’eucaristia in diversi altari del recinto basilicale. L’eucaristia non è un atto di pietà del singolo sacerdote, ma celebrazione di Cristo e della Chiesa che, per sua natura, è espressa in modo congruo quando la comunità cristiana è riunita in assemblea. La Costituzione Sacrosanctum Concilium ci ricorda che “le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa” (SC 26), e più avanti si determina che “ogni volta che i riti comportano, secondo la particolare natura di ciascuno, una celebrazione comunitaria caratterizzata dalla presenza e dalla partecipazione attiva dei fedeli, si inculchi che essa è da preferirsi, per quanto è possibile, alla celebrazione individuale e quasi privata. Ciò vale soprattutto per la celebrazione della Messa” (SC 27).

 

La Dichiarazione riafferma il diritto del sacerdote a celebrare in modo individuale (cf. CIC, can. 902). Si dovrebbe però aggiungere, che questo diritto è moderato dall’Ordinamento generale del Messale Romano: “La celebrazione senza ministro o almeno qualche fedele non si faccia se non per un giusto e ragionevole motivo” (n. 254). La preferenza di alcuni sacerdoti per la celebrazione abituale dell’eucaristia senza il popolo può dimostrare uno scarso senso ecclesiale.

 

Il Documento vuole che le Messe concelebrate siano animate liturgicamente con il servizio di lettori e cantori. A questa affermazione la Dichiarazione risponde che “solo Cristo, nella cui persona attua il sacerdote, anima la sacra liturgia”. E allora quale valore ha quanto Sacrosanctum Concilium determina sulla partecipazione attiva dei fedeli, che rispondono, cantano e intervengono con i gesti e l’atteggiamento del corpo (cf. SC 30-31 e passim)? I riti e le preghiere non sono una realtà esterna, ma sono la mediazione con cui si accede al mistero che si celebra.

 

La Dichiarazione afferma che nessun sacerdote ha bisogno di un permesso per celebrare la Messa secondo la forma straordinaria del rito romano e lamenta che il Documento offra soltanto quattro orari fissi al giorno per queste celebrazioni. Bisognerebbe ricordare però che Summorum Pontificum, art. 5, § 1, prevede che il parroco deve armonizzare tali celebrazioni con la cura pastorale ordinaria della parrocchia. Ciò va applicato anche alla basilica di san Pietro.

 

Le critiche della Dichiarazione sono espressione di una mentalità tipicamente clericale e, come dicevo all’inizio, si muovono nell’ambito ristretto del minimo necessario. Celebrare la liturgia secondo la sua pienezza chiede di abbandonare la logica del minimo necessario. Non è sufficiente che il rito sia valido, piuttosto deve essere espressivo di tutta la ricchezza di quello che viene celebrato.