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venerdì 15 ottobre 2021

DOMENICA XXIX DEL TEMPO ORDINARIO ( B ) – 17 Ottobre 2021

 



 

Is 53,10-11; Sal 32; Eb 4,14-16; Mc 10,35-45


Nel brano evangelico odierno possiamo distinguere due momenti. Nel primo, vediamo gli apostoli e fratelli Giacomo e Giovanni che si avvicinano a Gesù per chiedergli l’onore dei primi posti accanto a lui nella gloria. Notiamo che la richiesta degli apostoli segue immediatamente il terzo annuncio della passione, morte e risurrezione fatto da Gesù ai Dodici sulla strada per Gerusalemme (cf. Mc 10,32-34). Con la Ioro incosciente richiesta, i due figli di Zebedeo dimostrano, da un lato, la loro incomprensione delle parole che Gesù ha appena pronunciato sul futuro di sofferenza e di morte e, dall’altro, rivelano di vivere la comunità come finalizzata alla loro personale riuscita. Evidentemente gli interessi dei discepoli si muovono su un livello del tutto diverso da quello su cui si muove Gesù, totalmente proteso a fare la volontà del Padre. Nel secondo momento, troviamo la risposta di Gesù, il quale rifiuta le pretese dei discepoli e al tempo stesso propone un nuovo ordine di valori ai quali si deve attenere colui che intende seguirlo: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse […] Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti”. Gesù dice come orientare la tendenza a primeggiare in modo che l’agire del discepolo sia una vera contestazione del comune agire degli uomini e serva a costruire una comunità di fratelli: ognuno deve mettere i propri doni, i carismi ricevuti, al servizio del bene comune, senza ricerca di privilegi.

 

Il discepolo, quindi, deve distanziarsi dalle logiche mondane e conformarsi al comportamento del Figlio dell’uomo, che “non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (cf. anche la prima lettura). In queste lapidarie parole di Gesù sono racchiuse quattro avvertenze: la prima è che servire è una dimensione dell’intera esistenza, non un frammento del nostro tempo o del nostro agire. Servire cioè è un modo di esistere, uno stile che nasce dal profondo di se stessi. La seconda avvertenza è che lo stile del servizio si oppone nettamente alla logica del farsi servire. Non si possono vivere alcuni spazi come servizio e altri come ricerca di sé. La terza avvertenza è che servire significa in concreto vivere sentendosi responsabile degli altri. La quarta avvertenza e forse la più importante: il vero servizio non raggiunge soltanto i bisogni, ma accoglie la persona. Si potrebbe essere efficienti per quanto riguarda i bisogni, trascurando poi del tutto le persone. Per Gesù i “molti” per i quali dona la vita sono persone, volti, non masse anonime o semplicemente problemi da risolvere.

 

L’insegnamento di Gesù punisce la nostra ambizione, il nostro pensare incentrato sull’esito personale, sulla nostra inconfessata brama di potere, la nostra ricerca di prestigio, il nostro vaneggiare di grandezza. I discepoli di Gesù siamo chiamati a porre nella società i germi concreti di uno stile di vita nuovo, di una generosità grande e piena. La parola di Gesù stigmatizza la logica dei poteri mondani, ma soprattutto si rivolge alla Chiesa. La prima testimonianza “politica” della Chiesa consiste nella sua strutturazione interna, nell’organizzazione delle sue strutture di autorità e nel modo di vivere l’autorità, che dev’essere conforme a quanto vissuto da Cristo e da lui richiesto ai discepoli.