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domenica 3 ottobre 2021

LA SOLITUDINE E L’ASCOLTO DELL’INFINITO

 



 

Ci si può sentire soli anche immersi in una grande folla, e non ci si può sentire soli nel deserto, se l’isolamento, in cui ci troviamo, è riscattato e redento dalla apertura a noi stessi e agli altri, siano o non siano presenti, e a Dio. Le cose sembrano semplici: non siamo soli quando siamo in compagnia di altri, e siamo soli quando non c’è nessuno accanto a noi; ma non è così. La solitudine ci consente di ascoltare l’infinito, che è un andare al di là dei confini del nostro io, e un sentire la precarietà e la inconsistenza, la finitudine, delle cose terrestri. Ma ascoltare l’infinito in noi è possibile solo quando non ci lasciamo affascinare e divorare dal tumulto e dal frastuono, non solo delle cose che sono al difuori di noi, ma anche, e soprattutto, da quelle che si agitano in noi, nella nostra vita interiore, così fragile e così impalpabile, così nascosta e così friabile, così sensibile e così inafferrabile.

Come salvare la solitudine, e aprirsi all’infinito che è in noi, quando viviamo assediati dalle televisioni sempre accese, e dal parlare senza fine, ad alta voce, dai telefoni cellulari, che nel loro nome sembrano indicare le prigioni in cui ci troviamo reclusi? Certo, se è facile mantenere viva la fiaccola della solitudine in montagna, al mare, o in un monastero, non lo è nel mondo di oggi, in cui la solitudine è ferita da mille cose, e il raccoglimento è lacerato dalla fretta e dalla indifferenza di persone, che non si salutano, anche se vivono in case le une vicine alle altre.

 

(Eugenio Borgna, In dialogo con la solitudine, Einaudi, Torno 2021, 39-40)