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domenica 26 febbraio 2023

UNA SPIRITUALITÀ DELLA QUARESIMA



 

Nella tradizione della Chiesa romana, la Quaresima ha tre aspetti fondamentali: è preparazione alla Pasqua, è un tempo penitenziale e ha anche un carattere battesimale.

Oggi però sembra che sia rimasto in evidenza solo il primo aspetto, mentre gli altri due non hanno più il rilievo che avevano nei primi secoli del Cristianesimo. A quei tempi era la norma farsi battezzare da adulti, e questo avveniva nella Veglia pasquale, dopo il lungo periodo quaresimale di preparazione con catechesi, con digiuni e preghiere, chiamato catecumenato. L’intera comunità cristiana accompagnava i candidati al battesimo partecipando anch’essa ai digiuni e preghiere.

La Quaresima era un periodo penitenziale per coloro che si riconoscevano colpevoli di peccati gravi. Chi si dichiarava pubblicamente peccatore, confessava in privato il suo peccato al Vescovo, e iniziava il Mercoledì delle Ceneri un percorso pubblico di penitenza che durava l’intera Quaresima.  Anche in questo caso, la comunità cristiana era solidale con i penitenti e li sosteneva con la preghiera.

Dopo il concilio Vaticano II, la Chiesa ci propone di ricuperare tutti e i diversi aspetti della Quaresima: nella Costituzione sulla sacra liturgia, al n. 109, si ricorda il duplice carattere battesimale e penitenziale di questo periodo e si insiste su una duplice linea di “ascolto più attento della parola di Dio” e di un impegno “più a fondo nella preghiera”. Per la prima dimensione, quella battesimale, si raccomanda il ricupero degli elementi battesimali; per la seconda, quella penitenziale, si insiste nel senso personale e sociale del peccato. Nel n. 110 dello stesso documento si parla della penitenza quaresimale che non deve essere soltanto interna e individuale, ma anche esterna e sociale. Si raccomanda in una maniera speciale il digiuno pasquale nel venerdì e sabato santi “in modo da giungere con cuore aperto ed esultante ai gaudi della domenica di Risurrezione”. In questo caso, il digiuno esprime l’antico senso di attesa del Risorto.

San Pietro Crisologo (ca. 380 – 450), vescovo di Ravenna e dottore della Chiesa, illustra con poche parole il rapporto che intercorre tra preghiera, digiuno ed elemosina (= misericordia) nel modo seguente: “Ciò per cui la preghiera bussa, lo ottiene il digiuno, lo riceve la misericordia” (Disc. 43: PL 52,320). Le tre pratiche quaresimali sono quindi strettamente collegate, una richiama l’altra, come le tre virtù teologali di fede speranza e carità. Possiamo affermare che la preghiera nutre la fede, l’elemosina alimenta la carità e il digiuno accresce la speranza, orienta verso i beni definitivi.

Non c’è dubbio che è il digiuno l’elemento costante e quindi tradizionale della prassi quaresimale. Parlare oggi di digiuno in una società in cui molti popoli vivono nella miseria e i loro cittadini muoiono di sete e di fame, può sembrare una provocazione. Ma anche nella nostra vecchia Europa che, nonostante la perdurante crisi economica continua a godere un alto livello di benessere, il digiuno quaresimale può configurarsi come un formalismo inaridente o un moralismo ritualistico, insomma una prasi irrilevante, forse inutile, che non sta più al passo coi tempi. Come possiamo dare a questa prassi un senso che sia al tempo stesso tradizionale e adatto ai tempi?

Si potrebbe praticare il digiuno nello spirito di una contestazione radicale della società dei consumi. Questa contestazione può esprimersi in un atteggiamento più critico e più libero nei confronti delle molteplici seduzioni di questa società. Ad esempio, in un uso più sobrio e in una scelta più accurata della quantità e qualità dei programmi televisivi. O anche in una disciplina di quel registro orale che è la parola, soprattutto in culture loquaci come la nostra, dove le parole sono trattate come una materia da consumare in vista di un’affermazione di sé dinanzi agli altri. Il nostro mondo è incredibilmente verboso e noi siamo costantemente sommersi da parole che hanno perso il loro significato e, quindi, la loro forza. Il cristianesimo proclama la sacralità della parola, vero dono fatto da Dio all’uomo. È per questa ragione che il nostro parlare è dotato di un potere tremendo, sia positivo che negativo, ed è per questa ragione che saremo giudicati sulle nostre parole, come dice Gesù: “Ma io vi dico: di ogni parola vana che gli uomini diranno, dovranno rendere conto nel giorno del giudizio” (Mt 12, 36). Ecco, quindi, che un’ascesi parallela a quella del digiuno, e a lei complementare, può consistere nell’iniziazione al silenzio in modo di liberarsi dal verbalismo e dalla chiacchiera e farci riscoprire la parola come dono divino e come responsabilità nei confronti degli altri. Il silenzio favorisce l’ascolto: nella tradizione cristiana la Quaresima è anche, dicevamo, un tempo in cui siamo invitati ad un più assiduo ascolto della parola di Dio. Il filosofo Epitteto diceva: “Dio ci ha dato due orecchie, ma soltanto una bocca, proprio per ascoltare il doppio e parlare la metà”.

Si può, poi, rivalutare la pratica, confermata dalla Bibbia e dalla prima tradizione cristiana, della “Quaresima di condivisone” dei nostri beni, del nostro cibo, del nostro tempo e anche delle nostre conoscenze. La Quaresima di condivisione può esprimersi pure in un gesto di riconciliazione con i fratelli da cui ci separano idee politiche o divergenze confessionali, che troppo spesso ci induriscono in esclusione reciproca, odio e anche scontri violenti. Elisabetta di Ungheria, chiamata la santa della carità, diceva ai poveri da lei beneficati: “Fale anche voi la carità”. A loro che le rispondevano: “Ma come fare, se siamo poveri?”, la santa regina replicava: “Non è sempre comandato di aprire le borse; è sempre comandato di aprire il cuore, e quando non abbiamo denaro, possiamo sempre avere un cuore per compatire i bisognosi, due occhi per vederli, due orecchi per ascoltarli, due piedi per visitarli, due mani per servirli, una lingua per consolarli, incoraggiarli, istruirli, esortarli, correggerli…” Sono alcuni esempi di un digiuno che sta al passo con i tempi. È stato detto che la castità vale quel che vale l’amore in nome del quale viene serbata. Si potrebbe dire la stessa cosa del digiuno: il digiuno può essere vissuto con autenticità solo in un contesto di comunione. Ridurre il digiuno quaresimale alla consumazione di un pasto più sobrio o all’astinenza della carne il Mercoledì delle Ceneri e i venerdì quaresimali, non basta. Il rapporto con il cibo di chi digiuna può essere pienamente compreso solo se oltrepassa, se va oltre la funzione biologica del cibo stesso. Bisogna domandarsi perché molti mettono con facilità in pratica i consigli del medico e considerano sorpassate le concezioni religiose in materia. Se il digiuno lo propone il prete, è una imposizione anacronistica. Se è il dietologo a proporlo, è legge sacrosanta da osservare quotidianamente con scrupolosità e con controlli periodici. Se la cuoca prepara una bistecca, tutti sbuffano: uffa… la solita carne! Se la Chiesa dice è venerdì di Quaresima: c’è astinenza dalla carne; magari ci viene voglia di bistecca.