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domenica 16 luglio 2023

IL VINO E MAOMETTO

 



 

Se adesso il vino segna una frontiera fra i due Mediterranei, quello ebraico- cristiano e quello musulmano, in origine non era così. Tant’è che i protagonisti delle Mille e una notte, la celebre raccolta di fiabe mediorientali del X secolo, brindano spesso e volentieri con il nettare fermentato dell'uva e di altri frutti. Perché, in realtà, nelle sure meccane, quelle che precedono l’Egira, cioè il trasferimento di Maometto dalla Mecca a Medina, che nel 622 d.C. dà inizio all’era musulmana, non c'è traccia della proibizione del vino. La sedicesima sura, detta An-Nahl (“Le api”), dice addirittura: “Pure dai frutti dei palmeti e delle vigne ricavate bevanda inebriante e cibo eccellente”.

Molte interdizioni compaiono invece nelle sure medinesi, quando l'Islam diventa religione di Stato, caricandosi di valenze politiche e identitarie. “In verità col vino e il gioco d'azzardo, - dice la quinta sura, - Satana vuole seminare inimicizia e odio tra di voi e allontanarvi dal ricordo di Allah”. Ma i musulmani del tempo non interpretano questa rivelazione come un vero e proprio divieto. Così capita di frequente che fedeli ubriachi assistano ai riti religiosi diventando molesti. Per evitare queste pericolose derive dell'ebbrezza Maometto dà un giro di vite con una ulteriore rivelazione. “Oh voi che credete, non accingetevi alla preghiera in stato di ebbrezza, ma attendete di poter sapere quello che dite” (Cor IV, 43). Ma nemmeno questa volta le persone si danno una regolata. E addirittura, alla piaga dell'alcol si somma quella del gioco d'azzardo. All'epoca i seguaci del Profeta impazziscono per il maysir, la competizione con le frecce che ha anche un tradizionale valore divinatorio. Allora Maometto si vede costretto a usare il pugno di ferro: “Oh voi che credete! In verità il vino, il gioco d'azzardo, le pietre idolatriche, le frecce divinatorie, sono sozzure, opere di Satana; evitatele, così che per avventura possiate prosperare” (Ibid. V, 90). È allora che la rinuncia al vino diventa un comportamento che fa la differenza tra i credenti della Mezzaluna e tutti gli altri popoli.

Tutte le scuole coraniche del tempo e quelle che si sono susseguite convengono che con la quinta sura il Profeta abbia vietato senza appello il vino. Ma di quale vino si tratta? Molto probabilmente non quello d’uva, ma quello prodotto dalle classi popolari attraverso la fermentazione di diversi tipi di datteri. A quel tempo si producono ben cinque tipologie di vino. Con uva, datteri, miele, farina di grano e orzo. Insomma, la scure maomettana finisce per cadere anche sul semplice succo d'uva non fermentato e in particolare sugli alcolici senza eccezione. E i musulmani più rigorosi non si azzardano nemmeno a toccare le bottiglie che contengono le bevande di Satana. E tantomeno sono disposti a servirle ad altri. Perché l'impurità di queste sostanze è simbolica prima ancora che materiale. Ma anche nelle religioni esiste il lieto fine. Infatti, nella quarantasettesima sura Muhammad ci dice che dopo la morte il buon musulmano verrà premiato con il “vino paradisiaco”. Per dissetarsi, infatti, il defunto avrà a disposizione liquidi in abbondanza: “Vi saranno fiumi d'acqua incorruttibile, e fiumi di latte dal gusto immutabile, e fiumi di vino delizioso per chi beve, e fiumi di miele purissimo” (Ibid. XLVII, 15).

 

Fonte: Elisabetta Moro – Marino Niola, Mangiare come Dio comanda (Vele 213), Giulio Einaudi editore, Torino 2023, pp. 110-112.