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domenica 2 luglio 2023

LA LETTERA APOSTOLICA "DESIDERIO DESIDERAVI". UN COMMENTO (UN ANNO DOPO)

 



MATIAS AUGE  

 

La Lettera apostolica Desiderio desideravi, firmata da Papa Francesco il 29 giugno dell’anno scorso, è un documento, come dice il testo, "sulla formazione liturgica del Popolo di Dio". Tuttavia, nel primo paragrafo della Lettera, viene ulteriormente precisato l'obiettivo che il Papa si propone con questa pubblicazione: "Vorrei semplicemente offrire alcuni elementi di riflessione per contemplare la bellezza e la verità della celebrazione cristiana" (n. 1). Non si tratta, quindi, di una nuova Istruzione o di un Direttorio con norme specifiche sulla formazione liturgica, ma piuttosto di una meditazione o di una catechesi per comprendere la bellezza della celebrazione liturgica e il suo ruolo nella vita cristiana e nell'annuncio del Vangelo. D'altra parte, la Carta è esplicitamente collocata "dopo la pubblicazione [un anno prima] del Motu Proprio Traditionis custodes" sull'uso della liturgia romana con i libri anteriori alla riforma del 1970, di cui il Papa conferma e approfondisce le decisioni.

I 65 paragrafi del documento sono suddivisi in 8 sezioni, più una breve introduzione (n. 1) e una lunga conclusione (nn. 61-65): nelle prime sei sezioni predomina la dimensione dottrinale e spirituale della liturgia (nn. 2-26); nelle ultime due sezioni, più lunghe, dedicate alla formazione liturgica e all'Ars celebrandi, predomina la dimensione pratica o pastorale della liturgia (nn. 27-60). In ogni modo, però, dottrina, spiritualità e prassi sono intrecciate lungo tutto il documento. Nella presentazione e commento della Lettera apostolica seguirò lo schema appena proposto, diviso in due grandi parti, sottolineando ciò che mi sembra più importante e commentando alcuni punti che lo richiedano.

 

1. La natura della liturgia vista nel contesto della storia della salvezza.

Nel discorso di questa prima parte del documento, si percepisce un itinerario che va da Cristo alla Chiesa per arrivare alla comprensione della liturgia. È lo stesso metodo che adopera la Costituzione sulla liturgia del Vaticano II (cfr. SC, nn. 5-7). La domanda chiave di questa prima parte potrebbe essere: "Che cos'è la liturgia nel contesto della storia della salvezza?"  Come prima risposta, mi piace definirla dicendo che la liturgia o, se vogliamo, l'anno liturgico è il Vangelo celebrato. Il Vangelo è la "buona notizia" dell'adempimento delle promesse fatte da Dio ad Abramo, Isacco e Giacobbe. Queste promesse trovano compimento nel Figlio di Dio incarnato, fatto uomo, morto e risorto, cioè nel mistero pasquale di Cristo. E qui possiamo collegarci alla Lettera apostolica quando afferma: "Se non avessimo avuto l'Ultima Cena, cioè l'anticipazione rituale della sua morte [di Gesù], non avremmo potuto comprendere come l'esecuzione della sua condanna a morte potesse essere l'atto di culto perfetto e gradito al Padre, l'unico vero atto di culto" (n. 7).  Con altre parole: Gesù spezza il pane per darci una chiave di lettura di ciò che poi sarebbe successo sulla croce. Quando Gesù dice: "Questo è il mio corpo dato per voi", "Questo è il mio sangue versato per voi", possiamo comprendere il significato della sua morte. In questa morte, atto di perfetta obbedienza al Padre e di supremo amore per noi, "Dio è perfettamente glorificato e gli uomini santificati" (SC, n. 7). Questa "ultima" e irripetibile Cena è presente nella celebrazione dell'eucaristia fino al ritorno del Signore alla fine dei tempi (cfr. n. 4).  Siamo tutti invitati a questa Cena. Ma non tutti hanno ancora ricevuto l'invito e altri lo hanno dimenticato o perso nei tortuosi sentieri della vita (cfr. n. 5).  L'eucaristia, quindi, ha anche una dimensione evangelizzatrice.  "Per questo la Chiesa ha sempre custodito, come suo tesoro più prezioso, il comando del Signore: ‘Fate questo in memoria di me’ " (n. 8).

Il mistero dell’Incarnazione ci permette di farci delle domande, come, ad esempio: Chi sa come era Gesù? Il tono della sua voce, il suo sguardo, come si muoveva, come si avvicinava ai malati, e li toccava per guarirli… A questo proposito, la Lettera cita le parole di san Leone Magno, quando dice: "Ciò che era visibile di Gesù, ciò che si vedeva con gli occhi e si toccava con le mani, le sue parole e i suoi gesti, la concretezza del Verbo incarnato, è passato nella celebrazione dei sacramenti" (n. 9).  Queste parole ci aiutano a comprendere la profondità di quello che chiamiamo la presenza “sacramentale” del Signore. Nella celebrazione liturgica incontriamo il Signore Gesù e siamo raggiunti dalla potenza della sua Pasqua (cfr. n. 11). "La fede cristiana o è un incontro con Lui o non è" (n. 10). "La forza salvifica del sacrificio di Gesù, di ogni sua parola, di ogni suo gesto, sguardo, sentimento, ci raggiunge nella celebrazione dei Sacramenti" (n. 11). Nella celebrazione liturgica c’è la potenza di Cristo che continua a raggiungerci per guarirci. Il nostro primo incontro con la Pasqua del Signore è il battesimo: "In perfetta continuità con l'Incarnazione, ci è data la possibilità, in virtù della presenza e dell'azione dello Spirito, di morire e risorgere in Cristo" (n. 12). L’Incarnazione non è solo un evento, è anche un metodo.

Il breve riferimento alla Chiesa inizia con una citazione della Costituzione Sacrosanctum Concilium, n. 5, che, a sua volta, cita parole di sant'Agostino: "Dal costato di Cristo addormentato sulla croce sgorgava il mirabile sacramento di tutta la Chiesa" (n. 14). "Il soggetto che agisce nella liturgia è sempre e soltanto Cristo-Chiesa, il Corpo mistico di Cristo" (n. 15).

E ora passiamo al significato teologico della liturgia (nn. 16-26). Possiamo dividere questa parte in tre temi principali: la bellezza della verità della celebrazione cristiana; i pericoli che possono sfigurarla; e lo stupore davanti al mistero. Il Papa ricorda ancora una volta che con questa Lettera vuole invitare tutta la Chiesa a "riscoprire, custodire e vivere la verità e la forza della celebrazione cristiana" (n. 16). La verità della bellezza della celebrazione cristiana si riferisce soprattutto al suo significato teologico come descritto al n. 7 della Costituzione sulla liturgia del Vaticano II, che la Lettera apostolica commenta con queste parole: "la liturgia è il sacerdozio di Cristo rivelato e donato a noi nella sua Pasqua, presente e operante oggi attraverso i segni sensibili [...] perché lo Spirito, immergendoci nel mistero pasquale, trasformi tutta la nostra vita, conformandoci sempre più a Cristo" (n. 21).

Questa è la verità della celebrazione cristiana. Quali sono i pericoli che possono sfigurarla? In primo luogo, "una comprensione superficiale e riduttiva del suo valore o, peggio ancora, la sua strumentalizzazione al servizio di una qualche visione ideologica, qualunque essa sia" (n. 16). In secondo luogo, il Papa cita due tentazioni di cui egli ha parlato in diverse occasioni: lo gnosticismo, che riduce la fede cristiana a un soggettivismo che rinchiude l'individuo nell’immanenza della propria ragione o dei suoi sentimenti; e il neo-pelagianesimo, che annulla il valore della grazia per confidare solo nelle proprie forze (cfr. n. 17). La liturgia può essere sfigurata se cade in queste tentazioni, ma, ben compresa, è essa stessa un antidoto efficace contro tali tentazioni. Contro il soggettivismo dello gnosticismo, la celebrazione liturgica, che non appartiene all'individuo ma a Cristo-Chiesa, ci libera dalla prigione dell'autoreferenzialità (cfr. n. 19). Contro il neo-pelagianesimo, che presuppone una salvezza conquistata con le proprie forze, la celebrazione liturgica ci purifica proclamando la gratuità del dono della salvezza accolta nella fede (cfr. n. 20). Infine, un altro pericolo che può deturpare la liturgia è "la ricerca di un estetismo rituale, che si compiace solo nella cura della formalità esteriore di un rito, o si appaga di una scrupolosa osservanza rubricale" (n. 22). Naturalmente, le rubriche devono essere osservate "per non privare l'assemblea di ciò che le è dovuto, vale a dire il mistero pasquale celebrato nel modo rituale che la Chiesa stabilisce" (n. 23). Le parole e i gesti della liturgia ci vengono dati dalla Chiesa, non è roba nostra.

Infine, questa prima parte, secondo la divisione che abbiamo proposto della Lettera apostolica, si conclude con l'invito a "stupirsi" davanti al mistero pasquale celebrato. Questo stupore non si riferisce alla vaga espressione "senso del mistero", citato da alcuni, contro la riforma liturgica che l'avrebbe eliminato.  Lo stupore di cui parla il Papa non è una sorta di disorientamento di fronte a una realtà oscura o ad un rito enigmatico, ma è proprio il contrario: è l’ammirazione per il fatto che il disegno salvifico di Dio ci è stato rivelato nella Pasqua di Gesù, la cui efficacia continua a raggiungerci nella celebrazione dei sacramenti. Possiamo, quindi, affermare che liturgia è per noi l'oggi della storia della salvezza. Se la riforma avesse eliminato questo "senso del mistero", piuttosto che un'accusa, sarebbe stato un merito. Quando lo stupore è vero, non c'è rischio che non si percepisca l'alterità della presenza di Dio. La bellezza, come la verità, genera stupore e spinge oltre il senso fisico delle cose, oltre l’estetica e, riferendosi al mistero di Dio, conduce all'adorazione (cfr. n. 25).  È attribuita a Platone l'affermazione, ripresa in seguito dalla Scolastica: "pulchritudo est splendor veritatis", la bellezza è lo splendore della verità. È in questo contesto che dobbiamo comprendere la bellezza della liturgia.

 

2. La necessità della formazione liturgica e l'arte della celebrazione.

In questa seconda parte del documento si incontrano due grandi sezioni: la necessità di una seria e vitale formazione liturgica (nn. 27-47) e l'Ars celebrandi (nn. 48-60).

2.1. All'inizio della prima sezione, dedicata alla formazione, il Papa si domanda: come recuperare la capacità di vivere pienamente l'azione liturgica? (cfr. n. 27). E più avanti al n. 31, citando SC n. 10, afferma: se la liturgia è "il culmine a cui tende l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui scaturisce tutta la sua forza", si comprende la posta in gioco nella questione liturgica. E qui vale la pena citare la seguente parte di questo numero del documento: “Sarebbe banale leggere le tensioni, purtroppo presenti attorno alla celebrazione, come una semplice divergenza tra diverse sensibilità nei confronti di una forma rituale. La problematica è anzitutto ecclesiologica. Non vedo come si possa dire di riconoscere la validità del Concilio – anche se un po’ mi stupisce che un cattolico possa presumere di non farlo – e non accogliere la riforma liturgica nata dalla Sacrosanctum Concilium che esprime la realtà della Liturgia in intima connessione con la visione di Chiesa mirabilmente descritta dalla Lumen gentium. Per questo – come ho spiegato nella lettera inviata a tutti i Vescovi – ho sentito il dovere di affermare che “i libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano” (Motu Proprio Traditionis custodes, art. 1)”.

Si tratta, quindi, di un problema ecclesiologico. Ci possiamo domandare: Quale visione di Chiesa ha il Vaticano II? In poche, scarne ed essenziali parole, possiamo affermare che la Chiesa è un mistero di comunione. In questo contesto, la celebrazione liturgica è un atto comunitario e, al tempo stesso, personale, che richiede la partecipazione libera e responsabile dei battezzati all'azione cultuale.

La non accettazione della riforma, così come una comprensione superficiale di essa, non favorisce la ricerca delle risposte adeguate alla domanda: come crescere nella capacità di vivere pienamente l'azione liturgica? Abbiamo bisogno di una formazione liturgica seria e vitale. La Lettera apostolica distingue e analizza poi i due aspetti strettamente connessi di questa formazione: la formazione alla liturgia e la formazione dalla liturgia (cfr. n. 34).

La formazione alla liturgia deve superare l'ambito accademico, da lungo tempo fiorente, e trovare forme accessibili a tutti i fedeli, affinché acquisiscano la capacità di comprendere i testi delle preghiere, il dinamismo rituale e il loro valore antropologico (cfr. n. 35). Ma la conoscenza che viene dallo studio è solo il primo passo per poter entrare nel mistero celebrato. I ministri che presiedono le assemblee liturgiche hanno una particolare responsabilità in questo compito formativo, che potranno svolgere adeguatamente se vivranno essi stessi la celebrazione come esperienza di fede e conformeranno la loro vita al mistero che celebrano (cfr. n. 36).

Poi, e in questo contesto, il Papa sottolinea l'importanza della formazione liturgica nei seminari. Oltre allo studio, i seminaristi dovrebbero avere l'opportunità di sperimentare celebrazioni esemplari anche dal punto di vista rituale che permettano loro di vivere la vera comunione con Dio. “Tale esperienza è fondamentale perché una volta divenuti ministri ordinati, possano accompagnare le comunità nello stesso percorso di conoscenza del mistero di Dio” (n. 39).

E ora ci riferiamo alla formazione liturgica dalla liturgia stessa o attraverso la liturgia, che è quella che occupa più spazio nella Lettera apostolica. La conoscenza del mistero di Cristo non consiste nell'assimilazione mentale di un'idea, ma in un reale coinvolgimento esistenziale con una persona, Cristo (cfr. n. 41). Questa implicazione esistenziale avviene – in continuità e coerenza con il metodo dell'Incarnazione – attraverso la via sacramentale. La liturgia è fatta di cose, non di astrazioni spirituali: pane, vino, olio, acqua, suoni, luci, odori, gesti, silenzi, ecc. Possiamo dire che è tutto il creato che viene assunto per essere messo a servizio dell’incontro con il Verbo incarnato, crocifisso, morto, risorto, e asceso al Padre (cfr. nn. 42-43).

La riforma liturgica è stata necessaria, ma non è sufficiente. Occorre mettere in atto una formazione che educhi a celebrare. In questo contesto, si ricorda che Romano Guardini affermava che il primo compito della formazione liturgica è che l’uomo diventi nuovamente capace di simboli, capace di leggere i simboli, qualcosa in cui l'uomo moderno è analfabeta. È un impegno che riguarda tutti, ministri ordinati e fedeli. Il compito non è facile perché l’uomo moderno non solo non sa più leggere i simboli, ma quasi non ne sospetta nemmeno l’esistenza. Ciò accade anche con il nostro corpo, che è il primo ad essere coinvolto nell’azione simbolica. Il corpo è simbolo perché è visibilità dell’anima spirituale nell’ordine del corporeo. La nostra apertura al trascendente, a Dio, è costitutiva: non riconoscerla ci porta inevitabilmente ad una non conoscenza oltre che di Dio, anche di noi stessi. Basta vedere il modo paradossale con il quale viene trattato il corpo, ora curato in modo quasi ossessivo inseguendo il mito di una eterna giovinezza, ora ridotto ad una materialità alla quale è negata ogni dignità. Il fatto è che non si può dare valore al corpo partendo solo dal corpo. Ogni simbolo è nello stesso tempo potente e fragile: se non viene rispettato, se non viene trattato per quello che è, si infrange, perde di forza, diventa insignificante. Non abbiamo lo sguardo di Francesco d'Assisi che guardava il sole e lo chiamava fratello. Si tratta di recuperare la capacità di porre e di comprendere i simboli della liturgia. L’aver perso la capacità di comprendere il valore simbolico del corpo e di ogni creatura rende il linguaggio simbolico della liturgia quasi inaccessibile all’uomo moderno. Non si tratta, tuttavia, di rinunciare a tale linguaggio: non è possibile rinunciarvi perché è ciò che la Santissima Trinità ha scelto per raggiungerci nella carne del Verbo (cfr. n. 44). La lettura simbolica non è una questione di conoscenza mentale, è invece un'esperienza vitale (cfr. n. 45). Se le cose create sono parte indispensabile dell'azione sacramentale, dobbiamo porci davanti ad esse con uno sguardo nuovo, non superficiale, rispettoso, grato (cfr. n. 46). La liturgia educa a una sana visione ecologica del mondo

Vorrei commentare la grave affermazione di Guardini che ho appena citato, secondo cui l'uomo moderno è “analfabeta" nella lettura dei simboli. Un filosofo di origine coreana Byung-Chul Han, professore in una università di Berlino, ha recentemente scritto un piccolo libro tradotto in diverse lingue, il cui titolo in italiano è La scomparsa dei riti. I riti, dice l’autore, sono azioni simboliche, che trasmettono e rappresentano quei valori e quegli ordini che mantengono coesa una comunità. Il mondo di oggi soffre di una forte scarsità del simbolico. E nel vuoto simbolico si perdono quelle immagini e metafore generatrici di significato che danno stabilità alla vita. Sono le forme rituali che, come la cortesia, rendono possibile, non solo un bel rapporto interpersonale, ma anche un bel rapporto delicato con le cose (edizione italiana edita da Nottetempo, Milano 2021, cfr. pp. 11-27).

Il Papa pensa che nell'educazione ad acquisire questa sintonia con i simboli della liturgia, i genitori, i nonni, così come i parroci e i catechisti possano avere un ruolo importante. Molti di noi hanno imparato da loro la forza dei gesti liturgici, come il segno della croce, l'inginocchiarsi o le formule della nostra fede (cfr. n. 47).

2.2. L'ars celebrandi è un modo per salvaguardare e crescere nella comprensione dei simboli della liturgia. Ci muoviamo sempre nel settore del simbolico. E presupponiamo sempre ciò che abbiamo detto sulla natura teologica della liturgia. Infatti, l'ars celebrandi “non può essere ridotta alla mera osservanza di un apparato di rubriche, né può essere pensata come una fantasiosa – a volte selvaggia – creatività senza regole" (n. 48).

Come ogni arte, l'ars celebrandi richiede alcune conoscenze: la comprensione del dinamismo descritto dalla liturgia (memoriale, presenza del mistero, per viverlo nella vita); l'armonia con l'azione dello Spirito; la conoscenza delle dinamiche del linguaggio simbolico (cfr. n. 49). Senza trascurare tutte le conoscenze tecniche, che possono sempre essere utili, come, ad esempio, le tecniche di comunicazione persuasiva, è necessario soprattutto rispettare la natura della liturgia e l'azione dello Spirito in essa. Secondo R. Guardini, citato più volte dal Papa, l'arte di celebrare è una "disciplina, la rinuncia ad una sentimentalità morbida; un serio lavoro, svolto in obbedienza alla Chiesa, in rapporto al nostro essere e al nostro comportamento religioso”.  È così che si impara l’arte del celebrare. (cfr. n. 50).

L'ars celebrandi non riguarda solo i ministri ordinati che presiedono la celebrazione. È una realtà alla quale sono chiamati tutti i battezzati. La liturgia ci offre gesti e parole che mettono ordine nel nostro mondo interiore, facendoci sperimentare sentimenti, emozioni, atteggiamenti, comportamenti. La celebrazione liturgica è un'azione che coinvolge il corpo nella sua totalità (cfr. n. 51). Il Papa ricorda che tra questi gesti rituali che appartengono a tutta l'assemblea, il silenzio occupa un posto molto importante. Non è un rifugio per nascondersi in un intimo isolamento, come se la ritualità fosse una distrazione. Il silenzio liturgico è il simbolo della presenza e dell'azione dello Spirito Santo, che anima ogni azione celebrativa. Il silenzio ci aiuta a interiorizzare il mistero celebrato (cfr. n. 52). Ogni gesto e ogni parola della celebrazione espressa con "arte" forma la personalità cristiana del singolo e della comunità (cfr. n. 53).

A questo proposito, mi piace citare il filosofo francese Paul Ricoeur, il quale, parlando di una particolare esperienza liturgica alla quale aveva partecipato, affermava: "mi strappa dalla mia soggettività e mi offre non le mie parole o i miei gesti, ma quelli della comunità"; e proseguiva: "Sono contento di questa oggettivazione dei miei sentimenti: quando entro nell'espressione cultuale [...] entro nella forma che mi forma"; e conclude: "Sì, grazie alla liturgia vengo fondamentalmente strappato dalla preoccupazione di me stesso" (Paul Ricoeur, La logica di Gesù.  Testi scelti a cura di Enzo Bianchi, Qiqajon, Magnano [BI] 2009, 87).  Questa esperienza è possibile se la mente concorda con la voce, se ci lasciamo guidare dal rito, parole e gesti, non dalle nostre fantasie (cfr. SC, n. 90).

La Lettera apostolica si concentra poi sulla responsabilità specifica che i ministri ordinati hanno nell'ars celebrandi. Molte volte, il modo di vivere la celebrazione delle comunità è condizionato – nel bene, e purtroppo anche nel male – dal modo in cui i parroci presiedono la celebrazione: con austera rigidità o creatività smodata, frettolosi o lenti, spensierati o eccessivamente raffinati, affabili o ieratici, ecc. L'inadeguatezza di questi e di altri modelli ha una radice comune: "un personalismo esagerato nello stile celebrativo che, a volte, esprime una malcelata mania di protagonismo" (n. 54).  Come dice il Vaticano II, “la liturgia è azione sacra per eccellenza” (SC, n. 7). Se la liturgia è “actio”, fa quello che dice, non dice quello che fa: avanzano, quindi, gli interventi esplicativi. I tentativi di alcuni, poi, di trasformare i riti della liturgia in riti "stravaganti", non funziona: festeggiare con paramenti barocchi in latino o con il naso del clown e musica pop. Si tratta di iniziative rituali opposte, ma con la stessa matrice: l'illusione che il problema siano "questi" riti proposti dal libro liturgico. La soluzione cambia secondo i gusti personali: alcuni preferiscono "fughe retrò", all'indietro, e altri "sfoghi da cabaret", ma sono solo due facce della stessa medaglia.

Sul tempo del Covid-19 è stato scritto: "molti sacerdoti hanno scoperto la celebrazione [dell'Eucaristia] senza la presenza del popolo. In questo modo, hanno sperimentato che la liturgia è primariamente e soprattutto il culto della maestà divina [...] Celebrando da soli non avevano più davanti agli occhi il popolo cristiano, e così hanno potuto prendere coscienza che la celebrazione della Messa è sempre rivolta a Dio Trinità" (https://www.hommenouveau.fr/3199/religion/exclu---covid-19-et-culte-chretien--br-une-lettre-du-cardinal-sarah.htm). Meraviglia questa esaltazione della celebrazione eucaristica senza la presenza del popolo. Noto che il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1329), tra i nomi dati all'Eucaristia, cita quello di "Assemblea eucaristica [sinassi], in quanto l'Eucaristia viene celebrata nell'assemblea dei fedeli, espressione visibile della Chiesa". Il servizio dei ministri non va inteso separatamente o al di sopra di quello di tutta l'assemblea, ma va inteso in una visione unitaria e globale: nella Chiesa riunita che celebra, ciascuno interviene secondo ruoli diversi (cfr. 1 Cor 12,4-11.28-30; Rm 12,6-8). Il sacerdote che deve celebrare da solo per capire il senso della messa probabilmente non ha capito il significato del suo sacerdozio che è "ministeriale". Il ministero ordinato, nella comunità e davanti alla comunità, non esiste come struttura parallela rispetto alla ministerialità di alcuni e alla partecipazione di tutti. È giusto, anzi necessario, distinguere le rispettive competenze, ma allo stesso tempo va sottolineata l'unità dell'azione rituale.

A questo proposito, il Papa dice: “Il presbitero vive la sua tipica partecipazione alla celebrazione in forza del dono ricevuto nel sacramento dell’Ordine: tale tipicità si esprime proprio nella presidenza” (n. 56). Perché questo servizio sia fatto bene – con arte – è di fondamentale importanza che il sacerdote sia accuratamente consapevole di essere una presenza particolare del Risorto (cfr. SC, n. 7). Il Risorto è il protagonista e non la nostra immaturità. E il Papa aggiunge qui una bella affermazione: “Presiedere l'Eucaristia è immergersi nella fornace dell'amore di Dio. Quando questa realtà è compresa o anche solo intuita, non abbiamo certo più bisogno di un direttorio che ci imponga un comportamento corretto" (n. 57).

E ormai verso la fine del documento, si afferma: “Divenuti strumenti per far divampare il fuoco del suo amore sulla terra, custoditi nel grembo di Maria, Vergine fatta Chiesa (come cantava san Francesco), i presbiteri si lasciano lavorare dallo Spirito che vuole portare a compimento l’opera che ha iniziato nella loro ordinazione" (n. 59). Il sacerdote che presiede: non siede su un trono; non ruba la centralità dell'altare, segno di Cristo; non può vantarsi del ministero che gli è stato affidato; “non può narrare al Padre l’ultima Cena senza esserne partecipe. Non può dire: ‘Prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi’, e non vivere lo stesso desiderio di offrire il proprio corpo, la propria vita per il popolo a lui affidato. È ciò che avviene nell’esercizio del suo ministero” (n. 60). Parole forti e chiare che ci interpellano e ci fanno capire che la liturgia ben celebrata è la fonte primaria della spiritualità sacerdotale come lo è di tutti i battezzati.

In conclusione, possiamo dire che il Papa colloca in qualche modo quanto detto nel testo della Lettera nel contesto dell'anno liturgico e della celebrazione domenicale: "Vi invito a riscoprire il senso dell'anno liturgico e del giorno del Signore" (n. 63). E chiude il documento invitando anche ad abbandonare le polemiche e mantenere la comunione.

Come abbiamo visto, la Lettera apostolica Desiderio desideravi non è un trattato teologico, giuridico o disciplinare, ricco di norme e rubriche, né è un trattato sugli abusi liturgici. Si tratta, invece, di un documento fresco, dal tono pastorale e spirituale, anche meditativo, una sintesi vera e adeguata di ciò che la liturgia è nella vita della Chiesa e di ciascuno di noi. Con questo documento siamo invitati a recuperare il gusto del celebrare insieme, lasciandoci trasformare dallo Spirito Santo che opera nella liturgia. In tal modo saremo capaci di innalzare con la voce di Cristo la lode, la supplica e il rendimento di grazie al Padre.