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venerdì 20 giugno 2025

DOMENICA II DOPO PENTECOSTE: SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO (C) 22 Giugno 2025

 

 



 

 

Gen 14,18-20; Sal 109 (110); 1Cor 11,23-26; Lc 9,11b-17

 

La prima lettura parla di Melchisedek, “re di Salem” e “sacerdote del Dio altissimo”, che, come segno di ospitalità e amicizia, “offrì pane e vino” e “benedisse” Abram che tornava da una vittoriosa campagna militare. La seconda lettura invece riporta la descrizione dell’ultima cena, in cui Gesù istituisce l’eucaristia col pane e col vino, sacrificio della nuova ed eterna alleanza. Il brano evangelico racconta la moltiplicazione dei pani e dei pesci, in cui Gesù compie gli stessi gesti con cui istituisce poi l’eucaristia: “prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli” (v. 16). Le tre letture fanno riferimento al mistero eucaristico che la Chiesa propone oggi di nuovo alla nostra attenzione dopo averlo contemplato la sera del Giovedì Santo con gli occhi rivolti alla Croce del Venerdì Santo. Che cos’è l’eucaristia? Non è possibile dare una risposta esauriente. Ci limitiamo ad una lettura del mistero eucaristico a partire dalla persona di Cristo sacerdote, come suggeriscono le letture bibliche odierne.

 

Possiamo prendere come punto di partenza un aspetto tipico del racconto di Paolo, soffermandoci cioè sul mandato di Gesù, ricorrente ben due volte in questa breve lettura: “fate questo in memoria di me”. Fare qualcosa “in memoria” non è semplicemente ripetere e neppure ricordare qualcosa o qualcuno. Sullo sfondo del contesto del rituale della Pasqua biblica, “fare memoria” vuol dire rendere presente l’evento salvifico per prendervi parte. Nell’orazione della messa si dice che nell’eucaristia il Signore Gesù “ci ha lasciato il memoriale della sua Pasqua”. Gesù, che ha vissuto una vita di totale obbedienza al Padre e di servizio agli uomini, cioè il vero culto e il vero sacrificio, alla fine della sua esistenza la riprende riassumendola ed esprimendola con il gesto simbolico, cultuale, del pane spezzato e condiviso e del calice del vino distribuito. Riassunta in un gesto rituale, ripetibile, celebrativo, Gesù consegna la sua vita ai discepoli perché noi tutti ne facciamo memoria nel rito (“fate questo in memoria di me”) e nella propria esistenza (“prendete e mangiate”) inseparabilmente. Come Cristo ha raccolto la sua esistenza (il vero culto) nei segni, così l’esistenza umana (il culto spirituale) si raccoglie in momenti – segno che in certo qual modo separano dal quotidiano per celebrare però il grande evento che dà senso al quotidiano. Ciò che dà consistenza all’eucaristia non è un rito, ma un’esistenza, quella di Cristo. Ciò che quindi è essenziale in questa celebrazione è la “memoria” di questa esistenza e di questa persona, la comunione con essa, l’appropriazione dei suoi stessi atteggiamenti esistenziali.  

 

Il sacerdozio di Cristo non è né rituale né semplicemente esteriore, bensì personale e vitale. Cristo si rende presente nell’eucaristia perché, partecipando ad essa, facciamo nostra la sua vita di oblazione e di condivisione. Celebrare l’eucaristia vuol dire riprodurre in noi i sentimenti di Cristo, di colui che ha vissuto una vita di totale obbedienza al Padre donandosi per la nostra salvezza. Egli diventa per noi pane, perché noi impariamo a diventarlo per gli altri.

 

 

domenica 15 giugno 2025

LO SPIRITO SANTO DONO DI CRISTO RISORTO

 



Durante la festa delle Capanne, che durava non meno di una settimana, si compivano due riti fondamentali. Durante il primo, quello della luce, si accendevano piccole candele, ardenti nella notte. È in tale contesto che Gesù proclama d’essere Lui la luce del mondo. Durante il secondo rito, quello dell’acqua, i sacerdoti in processione si recavano verso la parte sud del colle di Gerusalemme, per raggiungere la piscina di Siloe, prendervi l’acqua con le anfore, tornare nel tempio e farvi libazioni, per impetrare la pioggia autunnale. La festa veniva celebrata all’inizio dell’autunno. Gesù dona di sé una interpretazione nuova, quella della luce vera ed eterna, così adesso, riferendosi al rito dell’acqua, trae di sé una nuova immagine: “Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù, ritto in piedi, gridò: ‘Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva’. Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato” (Gv 7,37-39).

Chi ha sete di credere e chi, credendo, ha ancora più sete, non beve da quell’acqua attinta con le anfore dalla piscina di Siloe e sparsa nel tempio, ma da Lui, da Gesù, perché dal suo seno sgorgheranno fiumi e sarà l’acqua sovrabbondante dello Spirito Santo, la quale inonderà i credenti quando Lui, il Cristo, sarà glorificato.

 

Fonte: Giuseppe D’Amore, Lo Spirito Santo e i suoi sette doni, Edizioni Rinnovamento nello Spirito Santo, Rimini 2024, pp. 42-43.

venerdì 13 giugno 2025

DOMENICA DOPO PENTECOSTE: SANTISSIMA TRINITÀ ( C ) – 15 Giugno 2025

 


 

 

Pro 8,22-31; Sal 8; Rm 5,1-5; Gv 16,12-15

 

Nel giorno di Pentecoste gli apostoli hanno ricevuto lo Spirito Santo e, fedeli al comando del Maestro, sono partiti per annunciare la buona novella e battezzare tutte le genti nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. È dunque giusto che la solennità della Ss.ma Trinità segua immediatamente quella della Pentecoste.

 

Le letture bibliche della solennità sono un invito a non fermarsi sulla soglia di un dogma, ma a contemplare la Trinità come un mistero di comunione, di vita e di amore. La lettura del libro dei Proverbi parla della Sapienza come la prima delle opere di Dio e suo strumento nella creazione del mondo, che la tradizione cristiana ha interpretato riferito al Verbo incarnato (cf. Gv 1). San Paolo (seconda lettura) afferma che l’uomo, giustificato per la fede, è “in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo”. Finalmente, il vangelo ripropone le parole di Gesù che promette lo Spirito Santo per portare a compimento la stessa opera sua in noi. Il disegno di Dio, che si è compiuto pienamente in Cristo, trova attuazione in noi per mezzo dello Spirito Santo. Attraverso Gesù Cristo e guidati dallo Spirito abbiamo accesso al Padre. Possiamo riassumere il messaggio delle tre letture dicendo che Dio crea, salva e santifica. Il mistero della Trinità non è un mistero lontano, ma il mistero della nostra vita che si svolge nel tempo verso l’eternità di Dio. Ecco, quindi, che la Trinità non si presenta come una realtà misteriosa chiusa in se stessa, irraggiungibile, ma come comunione di vita che tende ad espandersi e a raggiungere ogni altra realtà, attraendola con il suo amore: Dio non è il solitario perfetto, ma ha voluto essere più persone che si amano in una comunione di essere, di vita e di donazione assoluti.

 

La solennità della Trinità, celebrata dopo che abbiamo percorso tutte le tappe della storia della salvezza, è un invito a scoprire la fonte e il senso di tutto, il protagonista assoluto della storia della salvezza: il Dio uno e trino. La riflessione sulla Trinità non è quindi semplice speculazione astratta, ma è un tentativo di comprensione del mistero di Dio per meglio comprendere il mistero dell’uomo in Cristo. È alla Ss.ma Trinità che riconduciamo insieme il mistero della creazione e il mistero della redenzione. Il Dio in cui crediamo è colui che ci ha creati e ci ha salvati ricomponendo quel che era al principio con quel che ora sperimentiamo in Cristo. Perciò anche la liturgia, il cui cuore è l’eucaristia, è opera della Santa Trinità (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n.1077). Adorare “l’unico Dio in tre persone” (orazione colletta) non vuol dire alienarci da questo mondo e metterci in una dimensione spirituale o astratta. Cristo, inviato dal Padre, ha ricreato con la forza dello Spirito quel che era stato creato. È dunque proprio dal mistero trinitario che prendono nuova luce, mentre aspettiamo la luce eterna, il mondo in cui viviamo, il mistero dell’uomo, e la varietà delle cose.

 

domenica 8 giugno 2025

INTRA OMNES

 



 

Andrea Grillo – Luigi Mariano Guzzo (edd.), Intra Omnes. Dal popolo di Dio al conclave, Queriniana, Brescia 2025. 184 pp. (€ 18,00).

Con 26 lemmi-guida – da Abusi a Vocazione, da Donna a Pace, da Creato a Politica, da Cultura a Sessualità – Intra omnes offre un vero e proprio glossario di sfide e speranze per la Chiesa che verrà. Con pochi tratti, ciascuna voce riassume lo “stato dell’arte” dei processi di riforma avviati da Francesco (sinodalità, cura del creato, lotta agli abusi, dialogo ecumenico…), rileva le domande aperte e i nodi che restano ancora da sciogliere, indovina le traiettorie future su cui continuare a camminare.

Da un lato, questo libro corale è la felice sintesi retrospettiva su un pontificato che ha scavato un solco indelebile – un “prima” e un “dopo” Francesco – restituendo voce al popolo di Dio e ridisegnando la geografia ecclesiale. Dall’altro ciascuna voce lancia un ponte verso il futuro, tracciando le tappe indispensabili di un cammino ancora da compiere.

Un Extra omnes rovesciato: la voce di tutti per la Chiesa di domani.

Un’agenda “dal basso” che diventa risorsa “dall’alto”.

 

(Quarta di copertina)

     

venerdì 6 giugno 2025

DOMENICA DI PENTECOSTE (C) – 8 Giugno 2025 Messa del giorno

 



 

At 2,1-11; Sal 103 (104); Rm 8,8-17; Gv 14,15-16.23b-26

         

La Pentecoste celebra la presenza dello Spirito che rinnova mondo e uomini. È la Pasqua comunicata, senza misura, alla Chiesa.

 

Le tre letture bibliche offrono una ricca riflessione sull’azione dello Spirito Santo nella vita cristiana. La prima lettura descrive l’evento della Pentecoste, in cui la Chiesa nascente riceve il dono dello Spirito. L’intreccio dei simboli assume il ruolo di presentare allusivamente lo Spirito e la sua opera. Il vento è improvviso e inarrestabile, il fuoco illumina e riscalda, la parola dà senso e comunica in tutte le lingue. Il dono delle lingue, detto “glossolalia”, significa il dono dei carismi diversi che lo Spirito elargisce; doni diversi, ma donati dallo stesso Spirito, che è sorgente di unità nella diversità. Ecco, quindi, che Dio irrompe nella nostra vita per ricrearla e unificarla. Ce lo ricorda san Paolo nella seconda lettura: la carne divide; lo Spirito unifica. È lo Spirito di Dio che, pur nella diversità di razze e di culture, rende accoglienti gli uni verso gli altri nella carità di Cristo.

Il brano evangelico continua il discorso sugli effetti della presenza dello Spirito nel cuore dei credenti. Lo Spirito è con noi per sempre. È la promessa di Gesù: “il Padre vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre”. Cristo è stato il primo Paraclito o Consolatore - Protettore dei discepoli; lo Spirito Santo è il secondo Consolatore che accompagna la comunità dei discepoli di Gesù nel loro cammino fino all’incontro definitivo con il Signore. Non abbiamo bisogno di vivere con gli occhi rivolti costantemente verso il cielo dal quale dovrà ritornare un giorno il Figlio dell’uomo, e neppure con gli occhi rivolti ad un passato, al Gesù terreno, che ormai non è più. Noi cristiani abbiamo a che fare con una forma nuova di presenza di Gesù Cristo: il Consolatore, il Protettore, il Sostegno è d’ora in poi lo Spirito Santo, la cui funzione è appunto quella di rendere comprensibile e attuale per noi il Gesù terreno.

Possiamo sintetizzare con le parole di Atenagora cosa sarebbe il cristianesimo senza o con lo Spirito: “…senza di lui, Dio è lontano, il Cristo è nel passato, il vangelo è lettera morta, la Chiesa una semplice organizzazione, l’autorità dominio, la missione propaganda, il culto evocazione e l’agire cristiano una morale da schiavi. Ma in lui il cosmo è innalzato e geme nella gestazione del Regno, l’uomo è in lotta contro la carne, il Cristo risorto è presente, il vangelo è potenza di vita, la Chiesa significa comunione trinitaria, l’autorità è al servizio liberatore, la missione una Pentecoste, la liturgia memoriale e anticipazione, l’agire umano è deificato”. Con l’effusione dello Spirito viene “portato a compimento il mistero pasquale” (prefazio). La Pasqua non sarebbe completa senza il dono dello Spirito. Il disegno del Padre portato a termine dal Figlio incarnato nel mistero della sua morte e risurrezione trova compimento nel dono dello Spirito, dono di Cristo che proviene dal Padre, fonte ultima dalla quale anch’egli viene.

L’eucaristia è il cibo spirituale che ci nutre per la vita eterna. In questo cibo è “sempre vivo il dono dello Spirito” (orazione dopo la comunione). Anzi, la comunione eucaristica fa sì che lo Spirito “abiti in noi” (cf. 1Cor 3,16) e che “il nostro corpo sia tempio dello Spirito Santo” (cf. 1Cor 6,19).          

domenica 1 giugno 2025

LO SPIRITO SANTO E I SUOI DONI

 



 

Tradizionalmente si parla dei sette doni dello Spirito Santo: “la sapienza, l'intelletto, il consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà e il timore di Dio” (CCC n. 1831).

Il dono della pietà. Nel linguaggio più vicino a quello originario del latino pietas, è la disposizione dell’animo a sentire affetto e devozione verso i genitori, verso Dio, e a operare di conseguenza. Modello supremo è la pietà filiale di Cristo, che si esprime in un abbandono completo alla volontà del Padre, che ha come momento sommo il sacrifico della croce: “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito” (Lc 23,46).

Il dono del timore di Dio. Il dono di pietà è congiunto strettamente a quello del timore di Dio e si integrano a vicenda. Il timore di Dio è un sentimento di reverenza e amore verso Dio. Non è un timore servile, ma un timore riverenziale che allontana dal peccato che dispiacerebbe a Colui che si ama. Il Sal 27 inizia con queste parole: “Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò timore? Il Signore è difesa della mia vita: di chi avrò paura?”.

Il dono di fortezza. L’amore si manifesta nelle opere e, per queste, è necessaria la virtù della fortezza, che porta a compimento ciò che l’intelletto conosce e la volontà desidera, assapora e propone. Lo Spirito Santo è sorgente di forza, non quella fisica, ma la forza secondo Dio: “Quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti” (1Cor 1,27). Si tratta quindi di una fortezza che coabita con la nostra fragilità.

Il dono del consiglio. Nell’intimità con Dio e nell’ascolto della sua Parola, pian piano mettiamo da parte la nostra logica personale, dettata il più delle volte dalle nostre chiusure, dai nostri pregiudizi e dalle nostre ambizioni, e impariamo invece a chiedere al Signore: qual è il tuo desiderio?, qual è la tua volontà?, che cosa piace a te? In questo modo matura in noi una sintonia profonda, quasi connaturale nello Spirito e si sperimenta quanto siano vere le parole di Gesù riportate nel Vangelo di Matteo: “Non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi” (Mt 10,19-20).

Il dono della scienza. Il dono della scienza ci permette di conoscere le cose create nella loro relazione con Dio. Secondo san Tommaso d’Aquino, “è il dono che ha per attività propria comunicare il retto giudizio sulle creature. Chi non ha il retto giudizio sulle creature, pensa che in esse ci sia la felicità perfetta, le scambia per il vero fine, così pecca e perde il vero bene” (Somma teologica II-II, 48,3,1). E san Bernardo, nel suo Itinerarium, considera la creazione come mezzo attraverso cui l’anima compie il suo primo grado di passaggio verso il Signore.

Il dono dell’intelletto. Non si tratta qui dell’intelligenza umana, della capacità intellettuale di cui possiamo essere più o meno dotati. È invece una grazia che solo lo Spirito Santo può infondere e che suscita in noi la capacità di andare al di là dell’aspetto esterno della realtà e scrutare le profondità del pensiero di Dio e del suo disegno di salvezza. San Paolo descrive bene gli effetti di questo dono: “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito” (1 Cor 2,9-10). 

Il dono di sapienza. Questo dono distoglie l’anima dalle cose terrene e passeggere, per una cognizione soprannaturale dei beni eterni. Questo discernimento e giusto giudizio delle cose divine non è frutto di ragionamento e di riflessione, ma deriva da una luce superiore, la quale infonde una conoscenza sperimentale. Chi è il sapiente? Non è colui che sa le cose di Dio, ma colui che vive le cose di Dio. Non è colui che parla di Dio, ma è colui che contempla Dio. “Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di Lui” (Ef 1,17).