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sabato 11 agosto 2018

DOMENICA XIX DEL TEMPO ORDINARIO ( B ) – 12 Agosto 2018






1Re 19,4-8; Sal 33 (34); Ef 4,30-5,2; Gv 6,41-51



La prima lettura ci racconta la disperata fuga del profeta Elia attraverso il deserto, perseguitato a morte dalla crudele e onnipotente regina fenicia, Gezabele, che dominava in Israele.  Stanco e sfinito al punto da desiderare la morte come suprema liberazione, l’angelo di Dio interviene ed il profeta viene rinvigorito da un cibo miracolosamente preparato davanti a lui. Il racconto conclude con queste parole: “Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb”, luogo natale del popolo ebraico. Anche noi nel nostro pellegrinare per il deserto della vita, specie nei momenti di stanchezza o di scoraggiamento, ci rendiamo conto che non abbiamo le forze per continuare, non ce la facciamo più, non ci basta il nutrimento terreno, abbiamo bisogno di qualcosa di più consistente, un nutrimento che ci rinvigorisca dentro.



La pagina evangelica che leggiamo oggi ci presenta, per la seconda domenica consecutiva, un brano del grande discorso di Gesù dopo il miracolo dei pani. Gesù si proclama “pane disceso dal cielo”, dato agli uomini perché “chi ne mangia non muoia” ma viva in eterno. Questo pane, se mangiato e assimilato, è sorgente in noi di una vita perenne che non teme la morte. Se Gesù si identifica con il pane della vita dato da Dio, allora vuol dire che “mangiare” significa anche “credere”. Solo così viene superata la morte. In altre parole, la vita piena e definitiva si ottiene solo mediante la fede in Cristo, anzi mediante la condivisione del destino di colui che è il pane vivo disceso dal cielo. Il brano evangelico esalta la forza trasformatrice e “divinizzante” del pane di vita, germe della nostra risurrezione. Mangiando questo pane inizia in noi la risurrezione, inizia un processo di crescita che sarà più forte di ogni deserto. Non invocheremo più il Signore perché ci faccia morire, come aveva fatto Elia; sapremo vivere la nostra morte secondo quanto insegna il mistero racchiuso in quel pane della vita.



Nella seconda lettura, san Paolo ci spiega che Gesù è diventato salvezza dell’uomo perché “ha dato se stesso per noi”. Gesù è “il pane della vita” perché è la rivelazione di Dio a noi e, più in particolare, perché ha dato tutto se stesso per la liberazione dell’uomo dal male e dal peccato. L’incarnazione storica del Figlio di Dio in Gesù Cristo, culminante nella croce con la donazione della sua vita per la nostra salvezza, si prolunga nel segno sacramentale del pane eucaristico. L’Apostolo aggiunge ancora: “camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato”. E’ un invito a diventare noi stessi “eucaristia”, dono per gli altri. Nella solidarietà reciproca, nell’impegno per gli altri, nella fede e nella speranza nonostante ogni scacco, si esperimenta e si esprime la vitale presenza di Cristo tra noi.