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domenica 5 agosto 2018

L’AZIONE RITUALE FESTIVA MEDIA TRA TEMPO PRESENTE E SENSO DEL TEMPO






Avere un tempo e, più ancora, essere nel tempo è la caratteristica che distingue l’uomo dall’animale. Anticipare il futuro e ricordare il passato permette all’uomo di essere una specie animale del tutto eccezionale, perché capace di uscire dal suo presente. O, meglio, di entrare nel presente, di stare nel presente in un modo riflesso, profondo, cosciente. A differenza dell’animale, l’uomo, continuamente facendo del presente la miscela di memoria del passato e di apertura al futuro, può essere se stesso. Può affermare se stesso nel ringraziamento della relazione che lo fonda o può negare se stesso, affermandosi indipendentemente dalla relazione fondante, scadendo a ciò che teologicamente prende nome di peccato.

Il tempo è allora il poter essere della libertà, è il luogo eminente della salvezza e della perdizione, del “grazie” alla grazia o del “diritto” al peccato. L’animale, poiché è senza tempo, è anche esterno o estraneo al peccato. Non può peccare perché è fuori dal regime della possibilità. Non ha alternativa ad essere se stesso, e per questo non ha un io. L’uomo, che può dire io, può tradire quel se stesso che ha miracolosamente di fronte a sé. Proprio perché ha un poter essere futuro, l’uomo nel presente può smentire il suo passato, la sua origine.

Ma come accede l’uomo al tempo? Domanda strana, questa. Sembra quasi che l’uomo possa essere nel tempo solo a un certo punto e che non si ritrovi “naturalmente” nel tempo. Eppure, c’è un modo peculiare dell’uomo per accedere al tempo. Il passato e il futuro non sono come il presente immediato. Solo il presente “è” in senso stretto. Il passato e il futuro possono “essere” solo mediante condizioni complesse, ossia attraverso il pensiero, il linguaggio e la relazione ad altri. Pensiamo a ieri, pensiamo a domani, ma siamo nel presente. Ci pare che il tempo derivi quasi magicamente dal nostro rielaborare concettuale nella memoria e nell’anticipazione. In realtà, già Aristotele sapeva bene che il tempo, come elemento distintivo dell’uomo, deriva all’uomo non semplicemente da una caratteristica naturale del soggetto (o peggio dell’individuo), ma da una relazione sociale mediata dal linguaggio.

A partire da qui possiamo dire che non è una semplice ontologia, non è una struttura bio-fisio-psico-logica a dare il tempo all’uomo, ma una relazione con l’altro mediata corporalmente, linguisticamente e concettualmente. Tale passaggio tra la relazione sociale e il tempo vissuto è assicurato da un linguaggio determinato, dalla parola. Un’ontologia relazionale scopre così che tra pensiero ed essere non può esservi alternativa né identità, ma mediazione linguistica. Il tempo rientra – quasi come esempio principe – in questa regola, e questo vale anche per la festa, capace di mediare tra tempo del lavoro e tempo del riposo. Come il linguaggio media tra essere e pensiero, così l’azione rituale festiva media tra tempo presente e senso del tempo.



Fonte: Andrea Grillo, Tempo graziato. La liturgia come festa, Messaggero, Padova 2018, pp. 60-62.